Di notte aveva fretta di rincasare. Cercava di vivere il più a lungo possibile di notte, perché soltanto nel tenebroso grembo di essa egli sentiva la propria esistenza schiudersi tutta, e poteva rivivere la propria vita con la dolorosa densità dei ricordi. Supino sul letto, rievocava non solo le figure e i corpi di coloro che erano passati nella sua figura e ne suo corpo e che, in un dato momento, avevano determinato il suo modo di esistere. Richiamava alla memoria anche i luoghi nei quali aveva portato a vagare il proprio corpo e dai quali lo aveva portato ndietro – ma non così il proprio spirito. Lo spirito, eterno, inconcepibile, a immagine di Dio, si attardava ancora là, a vagare in quei luoghi perduti: quartieri, case, città, alberghi, stanze in case estranee, scale estranee, balconi, giardini, salotti estranei, letti estranei...
Kostas E. Tsiropoulos: SULLA TENEREZZA
Non si era mai sentito così in accordo con l'intero creato. Dio gli parlava con il suo silenzio. E allora, come una lancia di cristallo, sulla riva del mare cadde il primo raggio di sole, proprio il primo, l'unico. Cadde e colpì dolcemente, con tenerezza, una bianca pietra levigata. E la pietra, onorata, brillò, stendendo al sole un anello d'argento. Ammutolito per la gioa, si chinò sulla pietra, la sollevò dal suo letto, se l'appoggiò ad una guancia: una pietra millenaria in rapporto con l'uomo di breve durata.