FRANCESCO PIO TAMBURRINO

Per una Icona della Chiesa

 

L'icona, nella tradizione delle Chiese, ha un riferimento essenziale ad un archetipo: l'immagine ha senso in relazione a ciò che rappresenta. Questa distinzione tra la materia dell'immagine e l'archetipo raffigurato, è colta spontaneamente in molte espressioni umane che utilizzano la mediazione figurativa. Una vedova che, in una stanza di casa, depone un fiore davanti al ritratto di suo marito o una mamma che imprime un bacio alla fotografia del figlio lontano, intendono esprimere il loro affetto per la persona cara e manifestare, in un gesto esteriore rivolto ad una immagine, la continuità di un rapporto d'amore, reso vivo e attuale dall'immagine.

L'iconografia sacra consente di trasporre nei gesti cultuali, diretti alle immagini, i rapporti di fede che legano il credente con l'archetipo raffigurato. "L'onore reso all'icona - afferma S. Basilio - è diretto al prototipo" (Sullo Spirito Santo, XVIII, 45, 19, Sources Chrétiennes, 17 bis, 469).

Questo criterio di fede presiede a tutta l'arte cristiana, che accompagna il culto da molti secoli ed ha avuto nel VII Concilio Ecumenico la definitiva sanzione dogmatica (cfr. S. Manna, Contesto storico-teologico del Concilio Niceno II, in AA. VV., Il Concilio Ecumenico Niceno II e l'Iconografia mariana in Calabria, a cura di M. Squillace, Catanzaro 1990, pp. 27-51).

L'iconografia cristiana raggiunge il suo apice di significato quando l'immagine riesce a veicolare un atteggiamento di fede. Tuttavia non si possono negare anche altre valenze, derivanti anch'esse dal rapporto tra la raffigurazione e l'archetipo. Mi riferisco, ad esempio, al valore simbolico, didascalico, estetico dell'immagine: tre dimensioni che evidenziano la portata antropologica dell'icona come dimensione di apertura dell'uomo al trascendente.

Un soggetto iconografico in cui queste dimensioni assumono un particolare rilievo è quello relativo alla Chiesa. La sua raffigurazione non può essere oggetto di latria; la "timetikè proskynesis" è necessariamente riferita alla santità che le deriva dall'essere corpo e prolungamento del Cristo glorioso, luogo in cui agisce lo Spirito Santo. Secondo la nota distinzione teologica, registrata negli antichi simboli della fede, il cristiano afferma di "credere in (oppure a) Dio Padre onnipotente, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo" ma di "credere alla Chiesa", perché l'atto di fede, per sua natura, esprime il dono e l'abbandono personale e radicale di una persona ad un'altra persona.

Questa opportuna distinzione ha un suo riflesso anche nella funzione delle icone che traducono visivamente e simbolicamente il mistero della Chiesa. In ogni epoca, nell'immagine figurativa della Chiesa si rileva una netta prevalenza del tipo simbolico, con intento didascalico, e di illustrazione del mistero ecclesiale. Ne è risultato con maggiore evidenza il riferimento latreutico al mistero di Dio, di cui la Chiesa è "segno e sacramento".

Il tema della Chiesa, nell'iconografia cristiana, rivela un dinamismo straordinario sia in ordine ai diversi simboli raffigurati, sia in riferimento alla varia angolazione con cui la "multiforme sapienza di Dio" è penetrata "per mezzo della Chiesa" (Ef 3, 10) nelle epoche culturali.

Questa intrinseca capacità dinamica nella raffigurazione della Chiesa è uno spazio aperto non tanto all'arte figurativa, quanto piuttosto ai cristiani di tutti i tempi, perché posano dilatare la loro comprensione del mistero ecclesiale in riferimento costante agli enunciati biblici e alle espressioni di fede della Chiesa indivisa. Nella nostra epoca in cui - per dono di Dio - il cammino dell'ecumenismo è diventato irreversibile, è importante pensare insieme come potrà aiutare a superare il contenzioso teologico che, proprio in materia di ecclesiologia, ha i suoi nodi più difficili da sciogliere.

Senza la pretesa di fornire un inventario completo, desidero passare in rassegna alcune immagini della Chiesa, particolarmente significative, formulate sulla scia della Bibbia nel contesto della liturgia, dove la Chiesa ha espresso la sua autocoscienza, in un ambiente vitale di fede, di preghiera e di gioia.

 

1. Ecclesia Mater

Nella Veglia pasquale il diacono, nel Preconio, invita la Chiesa alla gioia: "Lætetur et mater Ecclesia tantis irradiata fulgoribus". Mai come in quella notte si manifesta la funzione della Chiesa, mentre genera a Cristo, suo Sposo, i nuovi figli nel fonte battesimale. Si può dire che la raffigurazione della Chiesa come una donna in atteggiamento materno, sia il tipo fondamentale di ogni icona a soggetto ecclesiale. Per Clemente Alessandrino "la madre attira a sé i bambini e noi cerchiamo la madre, la Chiesa" (Paed., 1, V, 21, 1). "Mistero meraviglioso! C'è un solo Padre di tutti, e anche un solo Spirito Santo, lo stesso dappertutto; c'è anche una sola vergine divenuta madre, che amo chiamarla Chiesa. Soltanto questa madre non ha latte perché, sola, non divenne moglie; essa è al tempo stesso vergine e madre, intatta in quanto vergine, piena di amore in quanto madre; essa attira a sé i bambini e li allatta con un latte sacro, il Logos adatto ai bambini" (ID., Ibi., 1, VI, 42, 1-2).

S. Ambrogio osserva che la Chiesa per la castità è vergine, per i suoi figli è madre. Si nasce da essa non nel dolore del parto, ma nella gioia degli angeli. Si è nutriti dalla vergine non con il latte corporale, ma con il latte di cui l'Apostolo nutre la crescita del popolo cristiano (1 Cor 3, 2). Nessuna donna sposata ha più figli della santa Chiesa. Lo dice Isaia (54, 1): più numerosi sono i figli di colei che è sola che della maritata. La madre Chiesa non ha marito ma uno sposo che è nei suoi fedeli (Virg., 1, 6, 31).

Un insigne studioso di questo tema ecclesiologico ha scritto: "Nell'espressione ‘madre Chiesa’ è contenuta come in un fecondo grembo materno la pienezza del pensiero teologico, che innumerevoli testimoni e numerose lingue per la durata di mille anni sanno esporre intorno alla Chiesa. Questa teologia riguardante la dignità materna della Chiesa è come lo sfondo dorato dei mosaici cristiani primitivi, che raccoglie in una meravigliosa unità la varietà di colori delle figure" (H. Rahner, Mater Ecclesia, Milano 1972, p. 11).

 

2. Mysterium Lunae

Secondo l'antica tradizione iconografica della Crocifissione, comune all'Oriente e all'Occidente, il mistero della morte di Cristo è raffigurato con due "testimoni" cosmici dell'evento salvifico: il sole e la luna. Essi non solo esprimono la portata universale della salvezza operata da Cristo sulla croce, ma sono, in qualche modo, il simbolo permanente del rapporto tra Cristo (Sole di giustizia) e la Chiesa (Selene).

La luna con i suoi fenomeni cosmici simboleggia il mistero della Chiesa. Il suo crescere e morire è immagine della incarnazione e della kenosi del Logos. Essa non rifulge di luce propria, ma proietta quella che riceve dal sole. "Non è cosa da poco la luna, che Cristo ha scelto come suo simbolo e che rappresenta l'immagine dell'amata Chiesa (...). Giustamente la Chiesa somiglia alla luna: anch'essa risplende su tutto il mondo illuminando le tenebre del tempo presente ed esclama: ‘la notte è trascorsa, si avvicina ormai il giorno’" (S. Ambrogio, In Exaem., 4, 8, 32). La Chiesa "è la vera luna. Dall'intramontabile luce dell'astro fraterno ottiene la luce dell'immortalità e della grazia. Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria, ma della luce di Cristo. Trae il suo splendore dal sole della giustizia, per poter poi dire: Io vivo, però non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo! Veramente beata tu sei, o luna, che sei stata degna di tanto onore" (ID., Ibi.).

Nel suo Commentario sull'Exameron, Anastasio Sinaita vede attuato nell'operare amoroso e congiunto dei due grandi luminari il disegno di Dio su Cristo e la Chiesa: l'annientamento nella morte dell'astro che presiede alla notte, l'abbandono amoroso al "fratello sposo", lo sprigionarsi della forza occulta dello sviluppo, la virtù generativa della vita spirituale. Anastasio conclude con il bellissimo inno riassuntivo di tutto il trattato:

Non eclissarti mai
nell'oscurità del novilunio,
o sempre raggiante Selene!
Rischiaraci il sentiero
nell'impenetrabile divina oscurità
delle Sacre Scritture!
Non cessare mai,
o sposa e compagna di viaggio del Sole Cristo,
che qual consorte lunare l'avvolge con la sua luce,
perché egli (Cristo) da sé e per tuo tramite
doni alle stelle la sua luce
e le infiammi di te
e per te!

(Anastasio Sinaita, Anagogica contemplatio in Hexaemeron, 4; PG 89, 1076 C-D).

 

3. Ecclesia ex circumcisione - ex gentibus

La comunità cristiana, radunata dalla predicazione degli apostoli, era composta di membri provenienti dall'ebraismo (ex circumcisione) e dal paganesimo (ex gentibus), uniti in "un solo popolo", in cui era confluita la ricchezza dei doni divini al popolo primogenito: l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi (Rm 9, 4-5) e, insieme, il desiderio di salvezza dei mondi culturali e religiosi dell'Impero romano. La Chiesa appariva, così, come una "creatura nuova", un popolo di figli radunato da tutta la terra, a compimento della promessa fatta ad Abramo di renderlo padre di tutte le nazioni.

L'apostolo Paolo, nel tentativo di illustrare la misteriosa chiamata degli incirconcisi alla fede di Cristo e il loro rapporto con i beneficiari della prima alleanza, abbozza una delicata icona della Chiesa di gusto prettamente biblico: essa è come una pianta di ulivo, dalla radice santa, in cui sono innestati rami di olcastro, destinati a partecipare della radice e a portare frutti grazie alla linfa dell'ulivo (Rm 11, 16-24).

In altre riflessioni Paolo propone altre immagini della Chiesa, che sottolineano l'unità vitale di tutti i chiamati alla fede: essi formano un solo corpo, un solo edificio, un unico tempio. Cristo "ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo" (Ef 2, 14).

Il corpo di Cristo è la Chiesa. Per questo l'iconografia cristiana antica non ha tardato a raffigurare la "corporeità" della Chiesa nell'immagine di una donna. Particolarmente espressiva è la rappresentazione della Chiesa nel mosaico di Santa Sabina a Roma, ove la stessa figura muliebre è rappresentata, a sinistra, come "Ecclesia ex circumcisione" con il codex dell'Antico Testamento e, a destra, come "Ecclesia ex gentibus" con il codex del Nuovo Testamento. Si tratta di un'unica figura femminile, per così dire sdoppiata, con le stesse sembianze, la stessa tunica purpurea e un identico velo che ricopre il capo e scende sulle spalle. Originariamente si potevano vedere al di sopra le figure di S. Pietro a sinistra e di S. Paolo a destra e fra gli archi in alto erano rappresentati i simboli dei quattro evangelisti (A Quacquarelli, Catechesi ecclesiale nella iconologia dei primi secoli, in Ecclesiologia e catechesi patristica, a cura di S. Felici, Roma 1982, p. 302).

Nella stessa basilica romana si può ammirare un'altra raffigurazione della Chiesa, scolpita nel portale ligneo del V secolo. Il pannello rappresenta una figura femminile con una tunica a vita e un velo che scende dal capo fino alle ginocchia. S. Pietro e S. Palo reggono sul suo capo una corona e una spada, simboli di vittoria. Nel registro sovrastante la Chiesa campeggia Cristo in piedi con il rotolo della Scrittura e i quattro simboli degli evangelisti.

Gli iconografi antichi avevano saputo penetrare il mistero della Chiesa ed esprimere i diversi aspetti: il rapporto di dipendenza della Chiesa da Cristo, la continuità dell'Antico e Nuovo Testamento, l'unità riconciliata delle diverse provenienze dei credenti, il fondamento apostolico della sua fede.

Non sono mancati nell'iconografia, come nella letteratura cristiana antica e medievale, gli accenti polemici che contrapponevano la Chiesa alla Sinagoga. Basti ricordare la famosa Deposizione dalla croce di Benedetto Antelani (1178) nella cattedrale di Parma. Sotto le enormi braccia di Cristo, la Ecclesia accoglie in un grande calice il sangue che sgorga come un fiume dal fianco squarciato di Cristo, mentre, sul lato opposto, la Sinagoga è colpita da un angelo e perde la corona dal suo capo.

Oggi si ripropone alla ecclesiologia e, di conseguenza, all'iconografia della Chiesa, tutta la problematica teologica del rapporto tra i "rami" cristiani e la "radice santa" ebraica, nella cresciuta consapevolezza del vincolo privilegiato che unisce i discepoli di Cristo con i "fratelli maggiori" del popolo ebraico; ma anche la necessità di esprimere l'unità dei due Testamenti affidati alla Chiesa, il fondamento apostolico della sua fede e l'apertura universale del messaggio cristiano.

 

4. Urbs beata Ierusalem

Un anonimo innografo, nel VII-VIII secolo, ha creato un vero gioiello di poesia, che la liturgia ha destinato come inno della dedicazione della chiesa (Cfr. J. Julian, A Dictionary of Hymnology, New York 1957, 1198-1200). In esso s'intrecciano due immagini, di origine biblica, raffiguranti la Chiesa come la santa città di Gerusalemme e la vergine sposa preparata per l'incontro nuziale con Cristo.

Urbs beata Hierusalem, dicta pacis visio,
quae construitur in coelo vivis ex lapidibus,
et angelis coronata ut sponsata comite.

La forza evocatrice dell'inno è riposta soprattutto nella dinamica del "già" e del "non ancora", della Gerusalemme che viene dal cielo, ma che si costruisce con pietre vive quaggiù. Le sue porte splendono di perle, le sue piazze e le mura sono d'oro purissimo. Eppure, ad essa hanno accesso coloro che, in questo mondo, soffrono tribolazioni per il nome di Cristo. La mano dell'Artefice divino, con gran colpi di scalpello, ripulisce le pietre e le adatta al proprio luogo. Cristo è la pietra d'angolo mandata dal Padre a compaginare tutto l'edificio.

Nell'iconografia paleocristiana, per esprimere la linea di continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento, si raffigurava la Chiesa come Gerusalemme e Betlemme, perché l'una richiama e completa l'altra.

 

5. Navis est Ecclesia

L'immagine della Chiesa come nave percorre la letteratura religiosa della Chiesa antica e ricorre con straordinaria frequenza nei simboli cimiteriali (Cfr. H. Rahner, L'ecclesiologia dei Padri, Simboli della Chiesa, tr. it., Roma 1971, pp. 511-609).

Nel simbolismo della nave, frequente anche nella cultura profana, la teologia patristica ha visto le condizioni concrete di vita della Chiesa: i pericoli della navigazione, la comunità di destino dei naviganti, l'equipaggiamento di personale e di strumentazione che permettono di raggiungere la meta.

È comune, tra i Padri, la compilazione dei cataloghi delle singole parti delle immagini nautiche. Ippolito di Roma è il primo autore cristiano a scomporre la simbolica nei vari elementi che la compongono (De Antichristo, 59): il mare è il mondo, la nave è la chiesa, l'esperto pilota Cristo, l'albero maestro il trofeo della croce, i due timoni l'Antico e Nuovo Testamento, la prua e la poppa l'Oriente e l'Occidente della direzione del viaggio celeste, la gomena l'amore di Cristo, il contenitore d'acqua dolce il battesimo, la bianca vela lo Spirito Santo, l'ancora di ferro la legge di Cristo, i rematori gli angeli custodi, la vela superiore dell'albero i profeti, gli apostoli e i martiri che riposano in Cristo.

La Lettera dello Ps. Clemente all'apostolo Giacomo, datata al terzo secolo, espone lo stesso tema dottrinale con alcune varianti nell'attributo delle mansioni nautiche, derivanti dal maggiore sviluppo raggiunto nell'ordinamento della Chiesa locale:

"Tutta l'essenza della Chiesa somiglia ad una grande nave, che in tutte le tempeste alberga in sé quegli uomini di diversa origine, che soltanto ad una cosa aspirano, abitare nella città del buon regno. Perciò, Dio sia per voi come il proprietario della nave. E il pilota sia l'immagine di Cristo. Il pilota di prua rappresenti il vescovo, i marinai di ciurma i presbiteri, i sorveglianti dei rematori i diaconi, gli arrolatori i catechisti, i viaggiatori, poi, la massa dei fedeli" (PG 2, 49 A-C).

L'autore dell'Opus imperfectum in Matthaeum (Homilia 23, PG 58, 755) descrive la vera nave di Dio, la Chiesa dei fedeli, che scivola sicura sul mare del mondo:

Per mare s'intende il mondo,
la nave è la Chiesa,
che ha per pilota il Figlio di Dio,
i flutti sono i peccati e le tentazioni,
i venti (contrari) gli spiriti cattivi,
il timone è la fede,
i rematori gli angeli.
La nave trasporta i cori di tutti i santi,
al centro è drizzato l'albero della croce,
cui è sospesa la vela della fede evangelica
con il soffio dello Spirito Santo
raggiunge il porto del paradiso.

La metafora della nave ci permette non solo di acquisire gli elementi costitutivi della Chiesa di Cristo, ma anche di cogliere la tensione dei cristiani verso una appartenenza sempre più intima ad una realtà necessaria alla salvezza personale e del mondo.

 

6. Dei aedificatio

L'ultima immagine che vogliamo richiamare, tra le molte altre della tradizione, è la Chiesa come casa di Dio. L'apostolo Paolo la delinea nella sua lettera ai cristiani di Corinto (I Cor 3, 9 ss): "Voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio", il cui fondamento è Gesù Cristo (v. 11). Paolo pensa ad un edificio sacro, ad un tempio: "Voi siete il tempio il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi" (v. 16). Grazie a questa immagine, il rapporto di mutua carità tra i cristiani viene definito un edificare (Rm 15, 2), nello stesso tempo, i cristiani, "come pietre viventi" accostatisi alala "pietra vivente" (I Pt 2, 4 ss), formano tutti insieme una Chiesa paragonabile ad un edificio sacro, al tempio. A quest'opera concorrono non solo il Cristo fondamento, ma anche l'opera di Dio e quella dello Spirito (Ef 2, 19-22).

L'edificio, il tempio, in questa visione neotestamentaria, è solo metafora e simbolo di una azione divina di santificazione e di raduno sul suo popolo. Il prodotto di questa "edificazione" compiuta da Dio è il popolo "santo". La sacralità del tempio non deriva dal luogo sacro e dai muri, ma dai fedeli che sono consacrati dal battesimo. Uniti dallo Spirito Santo nel battesimo sono chiamati a formare un corpo solo con Cristo. Quindi il tempio materiale viene santificato dalla presenza della comunità cristiana.

Questa è una convinzione comune tra i Padri. Per S. Giovanni Crisostomo "la chiesa consiste nell'assemblea dei credenti" (Hom. ante exil., 2, PG 52, 429). E più esplicitamente: "Per la Chiesa io intendo non solo il luogo, ma ancora i costumi e le virtù (topon-tropon), non i muri del tempio, ma le leggi della Chiesa (...). La Chiesa, lo ripeto, non è né il muro, né il tetto: è la fede e la vita" (in Eutrop. hom. 2, 1, PG 52, 397).

Riunirsi e ritrovarsi in un medesimo luogo ha un valore teologico che esprime l'assemblea cristiana. "La sacra assemblea è come una icona celeste e atemporale" (Gregorio Nisseno, Or. Cat. magna 42, 26). L'unità del popolo cristiano adunato viene dall'alto, dalla Trinità santa: quello è "il luogo ove fiorisce lo Spirito" (Ippolito, Trad. Ap., 35). Lo stesso tempio materiale viene pervaso dallo Spirito: "Accedono i fedeli al tempio santo, che è tenuto insieme ed è anch'esso collegato alla medesima architettura dallo Spirito" (Gregorio Nazianzeno, Or., 19, 8).

Il rapporto tra l'edificio e la comunità che in esso si raduna è, dunque, di reciprocità iconica. La storia dell'architettura di culto lo dimostra, anche dal punto di vista della autocoscienza ecclesiologica di una comunità. Nelle raffigurazioni del secolo XVI le assemblee delle Chiese protestanti sono descritte come un gruppo di fedeli attorno ad un pulpito e ad un predicatore. Effettivamente, l'edificio di culto cristiano corrisponde alla comprensione che il popolo di Dio ha di se stessa nel tempo.

In un tempo di dialogo ecumenico e di mutuo scambio di doni spirituali tra le Chiese divise, è importante che ogni Comunità cristiana esprima tutta la genialità della propria fede nelle sue assemblee e nei suoi edifici sacri. Ma, il nostro, non è anche il tempo per costruire insieme una nuova icona della Chiesa, con l'apporto dei carismi e della sensibilità di ogni Chiesa?

 

Conclusione

Desidero segnalare il contributo che può venire, in questa fase inventiva di nuove espressioni dell'unità cristiana, da un recente documento della Conferenza Episcopale Italiana su La progettazione di nuove chiese (feb. 1993).

Vi si afferma, anzitutto, che "il luogo architettonico nel quale si riunisce la comunità cristiana per ascoltare la parola di Dio, per innalzare a lui preghiere di intercessione e di lode e soprattutto per celebrare i santi misteri, è immagine speciale della Chiesa, tempio di Dio, edificato con pietre vive" (n. 1).

Per questo, "lo spazio liturgico, sia durante che al di fuori della celebrazione, con una sua specifica modalità interpreta ed esprime simbolicamente l'economia della salvezza dell'uomo, divenendo visibile profezia dell'universo redento, non più sottomesso alla "caducità" (Rm 8, 19-21), ma riportato alla bellezza e all'integrità" (n. 2) "Il popolo di Dio, nella chiesa, deve ritrovare in qualche modo rispecchiata la propria identità" (n. 5).

Lo spazio interno trascrive architettonicamente il mistero della Chiesa-Popolo di Dio. Ma anche l'esterno dell'edificio di culto dev'essere in grado di esprimere la presenza e il segno dell'istanza divina in mezzo agli uomini in ambienti urbani non di rado anonimi.

All'interno, "la disposizione generale di una chiesa deve rendere l'immagine di una assemblea riunita per i santi misteri, gerarchicamente ordinata o articolata nei diversi ministeri, in modo da favorire lo svolgimento dei riti e l'attiva partecipazione di tutto il popolo di Dio" (n. 7). Nella chiesa vanno sottolineate le grandi presenze simboliche permanenti: l'altare, il battistero e il fonte battesimale, il luogo della Penitenza, la custodia eucaristica e la sede del Presidente, lo spazio dei fedeli, del coro e al collocazione delle immagini sacre.

Come si vede, questo documento cerca di interpretare e attuare le istanze del rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II, in cui sono confluite molte ricchezze di pensiero e di fede dell'ecumene cristiana.

* * *

Nella tradizione ortodossa recente (a partire dal secolo XVII), si trova una icona della Chiesa particolarmente significativa: sono raffigurati i dodici apostoli. Al loro centro Pietro e Paolo sorreggono un edificio al cui centro è posto un altare che sorregge la Scrittura e la colomba eucaristica. È una immagine che indica splendidamente il fondamento divino della Chiesa, sempre donato alle comunità cristiane radicate nella tradizione apostolica, nutrite dall'Eucaristia e convertite dall'Evangelo.

Oggi tutte le Chiese sono chiamate a ridisegnare un'icona nuova della Chiesa "una, santa, cattolica e apostolica". Sarà l'icona del "Mystikòs Deipnos", in cui i commensali di Cristo, radunati nell'unità della fede e nella piena comunione ecclesiale, saranno i pastori e i fedeli di tutte le nostre Chiese.

Questa, davvero, sarà una icona della Chiesa "non fatta da mano di uomo". Nonostante gli ostacoli, le ritrosie e le lentezze degli uomini, lo Spirito Santo vi sta lavorando!

 

Da Simposio Cristiano,
edizioni dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi "S. Gregorio Palamas", Milano 1994, pp. 43-51