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Il giorno di Natale del 1890, in strada di Napoli, un passante
poveramente vestito crolla al suolo. Quelli che corsero a soccorrerlo non
trovarono su di lui né denaro né alcun elemento per poterlo identificare, ma
soltanto un pezzetto di carta su cui era segnato il nome e l'indirizzo di un
medico; quando questi fu chiamato dalla polizia, riconobbe nello sconosciuto
colpito da emiplegia, l'uomo che egli aveva visitato il giorno precedente, e
che aveva problemi agli orecchi, dove recentemente aveva subito un intervento.
Al medico aveva fatto impressione quel paziente che, da un sacchetto pieno di
monete d'oro, ne aveva tirata fuori una con cui lo aveva pagato. Dopo una più
attenta ricerca sotto la camicia dello sconosciuto fu trovato il prezioso
sacchetto, e allora lo portarono in un albergo. Ma la mattina successiva,
quando i medici andarono per visitarlo, il malato era già morto. Quell'uomo si
chiamava Heinrich Schliemann e aveva 68 anni. Finì così una delle personalità
più discusse della storia.
Schliemann conobbe la ricchezza dal commercio e la gloria
dall'archeologia. Fu un vero figlio del romanticismo del XIX secolo, un
miscuglio di romanticismo e di spirito avventuriero, sempre assetato di cose
nuove, esperienze, viaggi e scoperte. Con la vita che visse, sempre all'insegna
del non convenzionale, avrebbe potuto essere – e alla fine lo fu – l'eroe di un
romanzo in cui si intrecciavano denaro, diplomazia, passione, odio, scienza,
verità, menzogna. Non è dunque fortuito che degli psicanalisti si siano
occupati di lui e abbiamo cercato di indagare il suo misterioso carattere e le
sue complicate reazioni.
E' difficile tracciare la personalità di Schliemann, perché non
è stato ancora scritto uno studio storiografico su di lui, uno studio vero
basato da un lato sugli innumerevoli testi pervenutici relativi all'uomo, il
mercante, l'archeologo, e dall'altro lato sui diciotto diari che tenne, sui
dodici libri che scrisse e sulle decine di migliaia di lettere (80.000), che
egli stesso inviò a personalità illustri o meno con le quali corrispondeva e
che furono scritte in molte lingue diverse, ma soprattutto in inglese. Uno
studio simile dovrebbe evitare gli elementi aneddotologici che inevitabilmente
caratterizzano una vita tanto originale e penetrare invece nell'opera di
Schliemann, che costituì realmente non solo una tappa importante ma anche
l'inizio della archeologia preistorica.
Heinrich Schliemann nacque nel 1822 nel Mecklemburg, in Germania. Era figlio di un pastore e, a 14 anni, non avendo i
mezzi per continuare gli studi, cominciò a lavorare prima come garzone in un
negozio di generi alimentari a Fürstenberg, successivamente studiò per un anno
ragioneria a Rostock, quindi si imbarcò come mozzo ad Amburgo su una nave in
partenza per il Venezuela; ma la nave naufragò e le onde lo gettarono sulle
coste olandesi. Ad Amsterdam trovò un impiego in una ditta di
importazioni-esportazioni, cominciò a viaggiare in tutta Europa e in seguito si
stabilì come rappresentante della ditta a San Pietroburgo dove allora vivevano
molti tedeschi – 39.000 secondo le informazioni che abbiamo. Nel 1847 lasciò la
ditta e fondò una sua propria compagnia di importazioni-esportazioni, che
divenne una importante fonte di guadagno. A 25 anni era già uno straordinario
spirito imprenditore con la capacità di prevedere le conseguenze economiche
degli eventi politici. Nel 1851 viaggiò in America e aumentò di molto il suo
patrimonio con investimenti lucrosi nell'oro e nelle ferrovie. Allora prese
anche la cittadinanza americana della quale fu sempre orgoglioso. Nel 1852
sposò una russa, Ekaterina Lyjina, che gli diede tre figli. Ma fu un matrimonio
infelice. Sua moglie non lo amava, per lei si era trattato di un matrimonio di
interesse.
Schliemann visse in Russia per quasi diciotto anni. Guadagnò lì
i milioni che gli avrebbero permesso più tardi di effettuare le sue
costosissime campagne di scavi. A San Pietroburgo viveva una vita lussuosa, manteneva
una grande casa, con servitori e carrozze. In quella città cominciò a
familiarizzarsi con gli studi classici. Si avvicinò all'ambiente della
intelligentsia russa e frequentò professori e uomini di cultura. Era egli
stesso poliglotta – parlava quattordici lingue diverse – ma gli mancava quella
formazione culturale che caratterizza i veri scienziati. Egli lo sapeva, e il
complesso della scienza lo perseguitò per tutta la vita; era il complesso di
inferiorità del dilettante al cospetto degli eruditi. Per questo, dopo che
prese da autodidatta la laurea all'università di Rostock, accanto alla firma si
compiaceva di scrivere il titolo di dottore. Con i nuovi interessi che si era
creato, gli divennero necessarie le lingue antiche, per questo si mise a
studiare greco antico e latino.
Nel 1858, a 36 anni,
era già molto ricco e decise che era venuto il momento di dedicarsi al
suo vecchio sogno: scoprire il mondo omerico. Lo stesso Schliemann, nella sua autobiografia,
scrive che aveva otto anni quando suo padre gli regalò un libro nel quale erano
raffigurate le mura di Troia tra le fiamme, e che allora aveva deciso che un
giorno sarebbe andato a scoprire quella famosa città.
Alcuni storici hanno messo in dubbio tutto ciò, sostenendo che
Schliemann aveva preso tale decisione in Russia, e questo perché era
estremamente ambizioso e desiderava acquisire in tal modo una posizione elevata
nel mondo scientifico, posizione che non avrebbe potuto acquisire con il
commercio.
E' vero che nella sua autobiografia, che scrisse nel 1880
quando aveva già quasi 60 anni, e che scrisse per difendersi da molte cose di
cui lo accusavano, Schliemann aveva abbellito molti venti della sua vita. E'
probabile che avesse abbellito anche questo punto. Ma forse è vero che uno dei
suoi sogni infantili era quello di scoprire il mondo omerico.
Nel 1859 fece il suo primo viaggio nei paesi del Mediterraneo,
che ormai costituivano per lui il principale polo di attrazione: Italia, Siria,
Palestina, Grecia.
Conformemente alle nuove prospettive che gli si schiudevano,
nel 1863 liquida le sue imprese in
Russia e, da vero cosmopolita qual era, intensifica i viaggi intorno al mondo.
A parte i relativamente brevi periodi
che trascorse a fare gli scavi a Troia e a Micene, trascorse la maggior parte della vita sui treni e sulle navi. Nel
1864 va in India, in Cina, in Giappone, attraversa il Pacifico fino a San
Francisco. Nel 1864 si stabilisce per un po' di tempo a Parigi dove compra
diversi immobili e stringe relazioni con i circoli intellettuali della capitale
francese, professori, accademici, istituzioni scientifiche. Nel 1868 si recò
per la prima volta in Egitto che suscitò in lui una profonda impressione, al
punto che imparò l'arabo. In quello stesso anno ritornò in Grecia ed effettuò
degli scavi per un breve periodo. Visitò per la prima volta la Turchia,
Costantinopoli e Troia. Nel 1869, dopo essersi laureato, ritornò in America e
rimase per un certo periodo di tempo a Indianapolis, questa volta per
divorziare dalla sua moglie russa. Ma già prima di partire da Parigi, aveva
deciso di stabilirsi in Grecia e di sposare una greca.
Molto tempo innanzi, a San Pietroburgo, aveva conosciuto un
religioso greco, Vibos, che era già ritornato in Grecia. Schliemann scrisse a
lui chiedendogli di trovargli una moglie greca. Tra le molte fotografie che
ricevette, Schliemann ne scelse una, e così, nel 1869, sposò Sofia Kastroménu,
cugina di Vibos. Sofia aveva 17 anni, Schliemann 47, e si compiaceva di avere
una moglie così giovane da poter plasmare a proprio piacimento. Scrive egli
esteso alle sue sorelle: «Sofia nutre grande rispetto per suo marito – come
quasi tutte le greche – e io sarò sempre il suo professore. Ma non mi
raggiungerà mai... mi ammirerà sempre.»
Inizialmente la coppia si stabilì ad Atene, in una casa in via
delle Muse, dove ebbe due bambini ai quali furono dati i nomi squisitamente
omerici di Agamennone e Andromaca. Negli anni tra il 1878 e il 1881, Schliemann
costruì, su disegno dell'architetto Ziller, nel punto più centrale di Atene, un
piccolo palazzo che chiamò JIlivou Mevlaqron (Casa del Sole), in ricordo della
capanna di legno in cui abitò quando fece i primi scavi a Troia. Adornò la
propria dimora con colonne, statue, marmi, mosaici eseguiti da specialisti che
fece venire da Livorno, con mobili che acquistò a Parigi, a Londra e a Vienna,
e con affreschi nei quali erano rappresentate allegoricamente le sue imprese
archeologiche. In questa residenza riceveva ospiti con magnificenza
principesca. Tuttavia non smise mai di occuparsi delle sue attività
imprenditoriali perché ebbe sempre il senso del valore ma anche del bisogno del
denaro.
Senza il ricchissimo mercante Schliemann non sarebbe esistito
l'archeologo Schliemann; e infatti dietro l'archeologo ci fu sempre il
mercante. In uno dei suoi diari, redatto durante gli scavi di Troia, egli scrive
in maniera sintomatica: «Sono stato costretto, perché costituivano un
impedimento, a rompere le meravigliose placche di Lisimaco. L'ho fatto con grande dolore, perché ognuna di esse, a
Parigi, varrebbe almeno venti franchi. » Il denaro gli permetteva non solo di
effettuare le sue ricerche, ma anche di vivere nel lusso che aveva sempre
desiderato. Poiché aveva il sarto a Londra, capitava che intraprendesse il
viaggio Atene-Londra solo per fare una prova. Ma più importanza di ogni altra
cosa avevano per Schliemann le onorificenze. La scoperta del «tesoro di Priamo»
lo aveva reso celebre, ma la scoperta delle tombe reali di Micene gli portò la
gloria. Fu invitato a presentare le sue scoperte dalle più prestigiose
istituzioni scientifiche d'Inghilterra e di Francia, e fu ricevuto da personalità
di alto rango come il primo ministro d'Inghilterra Gladstone il quale scrisse
il prologo al libro Mycenæ di
Schliemann.
La carriera dell'archeologo iniziò nel 1870. Come archeologo
Schliemann fu un personaggio che suscitò numerose reazioni e molti lo
biasimarono per i suoi metodi di scavo che erano davvero alquanto drastici:
apriva grandi trincee, lavorava con molti operai e distruggeva opere murarie
sottostanti per raggiungere la profondità che voleva. Altri ancora credevano
che non dicesse la verità sui reperti che portava alla luce, che i gruppi di
reperti che presentava non fossero stati rinvenuti allo stesso tempo, che
fossero stati occultati alcuni elementi relativi agli scavi, che determinati
reperti fossero falsi mentre altri li avrebbe acquistati da trafficanti di
oggetti antichi eccetera. Il mondo scientifico lo considerò sempre con
sospetto. Il grande Furtwängler, allora direttore del Museo di Berlino,
scriveva nel 1881: «Schliemann è molto stimato
qui. Ma è un uomo mezzo pazzo e confuso che non ha idea del vero valore delle
sue scoperte.»
E in realtà, la serena analisi interpretativa dei reperti non
rientrava tra i metodi di Schliemann che sicuramente commise molti errori.
Aveva sempre fretta sia nell'eseguire gli scavi che nel trarne le conclusioni.
Forse perché aveva già una certa età quando cominciò a occuparsi di archeologia
e non era abituato alla ricerca. E nemmeno il suo carattere aiutava. Era autoritario, dispotico, irascibile e
incostante, impaziente, non accettava ostacoli ed era vanitoso. Ma a modo suo
era un genio. Lo dimostrano la sua grande facilità per le lingue, il successo
delle sue operazioni commerciali, il suo straordinario intuito nello scegliere
il luogo giusto per i suoi scavi. Era anche un precursore: aveva intuito quanto
fosse grande l'importanza della stratigrafia, per questo segnava il livello su
cui rinveniva ogni reperto. L'utilità di tale documentazione fu compresa dagli
archeologi molti anni dopo. Presso l'Istituto tedesco di Atene si conservano ancora
annotazioni manoscritte che Schliemann aveva appeso ai vasi. Del resto
riconobbe sette città nel sito di Troia, deduzione straordinaria per
quell'epoca. Oggi sappiamo che gli strati di Troia sono nove. Inoltre applicò
la documentazione fotografica alle ricerche e divenne un modello per la
pubblicazione veloce dei risultati degli scavi affinché l'accesso alle sue
scoperte fosse immediato.
Ma fu un precursore anche per un'altra ragione: fu uno dei
primi che effettuò scavi non per trovare begli oggetti, bensì per illuminare e
risolvere problemi storici. Molto più dei tesori gli interessava la storia. Fu
lui a dare radici storiche ai poemi omerici, perché ebbe la perseveranza di
dimostrare le cose in cui credeva. Ma Schliemann fu soprattutto colui che
scoprì una grande civiltà: quella micenea. Anche per questo fu chiamato
giustamente padre dell'archeologia micenea.
Schliemann visitò per la prima volta Troia nel 1868 e vi
ritornò nel 1870, anno in cui effettuò i primi scavi di prova su piccola scala.
I grandi scavi ebbero luogo negli anni 1871-1873.
Con il suo infallibile intuito scelse e scavò, nella grande
piana della Troade, la collina di Hissarlik. E lì ebbe la fortuna di scoprire
la celebre città. Secondo la sua abitudine distrusse opere murarie di epoche
più recenti per raggiungere i resti preistorici. Scavò fino ad una profondità
di 10 metri e quando si trovò davanti alle mura e alla grande porta che
credette fossero le skaie;" puvle" di Omero, annunciò che aveva
scoperto la Troia di Priamo. In realtà quella città era Troia II (2600-2200 a.
C.), un millennio più antica di quella omerica (1250-1190). Schliemann ritornò
a Troia diverse volte e dal 1882 in poi fu accompagnato dall'archeologo Wilhelm
Dörpfeld. Ostinato come sempre, soltanto verso la fine della propria vita
Schliemann fu pronto ad accettare la vera datazione di Troia II.
Il 3 marzo 1873 Schliemann scoprì negli strati di Troia II
alcuni gioielli d'oro e d'argento, il cosiddetto «tesoro di Priamo». Più tardi,
nel bilancio degli scavi, sostenne che sua moglie Sofia era presente. Lei,
invece, si trovava ad Atene. Si tratta di una delle tante inesattezze di cui accusavano Schliemann. E'
probabile che nella falsificazione della realtà egli sia stato spinto dal
desiderio di dimostrare che sua moglie lo assisteva nel lavoro. In tal modo
cercava di incoraggiarla e di corroborare il suo interesse per le ricerche
archeologiche.
Il tesoro divenne una vera arma nelle mani di Schliemann che
cercò di approfittarne. Propose di donarlo o di venderlo a seconda dei
tornaconti del momento all'Inghilterra, alla Francia, alla Grecia, alla Russia
e all'Italia. Dopo molte trattative con questi paesi, ma anche con la Turchia,
Schliemann offrì nel 1880 il tesoro alla Germania con il desiderio che
rimanesse per sempre lì.
In Grecia Schliemann, a parte i limitati scavi eseguiti a
Itaca, e di cui abbiamo già parlato, scavò a Tirinto nel 1876 e soprattutto nel
1884 – con l'aiuto di Dörpfeld – quando portò alla luce l'importantissimo
palazzo. La cosa straordinaria fu che Schliemann comprese allora che la
distruzione di Tirinto fu contemporanea a quella di Micene, e che verso la fine
dell'epoca micenea vi è una cesura nella continuità della civiltà. Tutte queste
cose furono documentate relativamente presto e oggi sappiamo che una serie di
distruzioni si abbatté sui palazzi micenei intorno al 1200 a. C., allorché si
dissolsero i regni micenei, e che ebbe luogo anche un'altra serie di
distruzioni causò la fine della civiltà micenea intorno al 1100-1050 a. C.
Schliemann effettuò scavi anche ad Orcomeno nel 1880, 1881 e
1886; scoprì una tomba a tholos che chiamò «tesoro di Minio» e chiamò miniaca
la ceramica medioelladica e tardoelladica I, denominazione che porta ancora
oggi.
Schliemann visitò Micene per la prima volta nel 1868 quando,
spinto dalla sua passione per Omero,
volle conoscere da vicino i luoghi della tradizione omerica. Il sito di
Micene era noto e la grande porta era visibile.
Nel 1874 effettuò scavi di prova senza avere il relativo
permesso; per questo dovette interromperli molto preso. Il 5 agosto 1876, in
possesso di un regolare permesso e insieme alla Società Archeologica
rappresentata dal sovrintendente alle antichità Panagiotis Stamatakis, cominciò
scavi regolari aprendo, secondo le sue abitudini, profonde trincee, profondi
fossati. Per la scelta della località che avrebbe scavato si basò su Pausania,
l'ultimo scrittore antico che menziona Micene. Pausania aveva visto le mura e
la porta dei leoni e riferisce che le tombe di Agamennone e dei suoi figli si
trovavano dentro le mura, mentre quella di Clitennestra e di Egisto, che erano
traditori, erano fuori dalle mura. Era impossibile che Pausania avesse visto le
tombe reali che erano ricoperte da mucchi di terra, ma pare che una certa
memoria storica sul sito delle tombe si conservasse ancora viva nelle persone
semplici che Schliemann incontrò lì e che gli trasmisero quello che avevano
sentito dire.
Basandosi su questa descrizione Schliemann iniziò le sue
ricerche all'interno dell'acropoli, a sud della porta dei leoni, nonostante il
parere degli specialisti secondo cui gli elleni non seppellivano i morti
all'interno delle acropoli. Ma l'intuito di Schliemann aveva funzionato bene.
In teoria gli specialisti avevano ragione perché inizialmente le tombe venivano
poste davvero fuori delle acropoli e soltanto in epoca successiva furono
incluse entro le mura. Ben presto comparvero parte del recinto in cui si
trovavano le tombe ed alcune stele tombali; ma la ricerca procedeva lentamente
perché simultaneamente venivano fatti anche altri lavori: pulitura della porta
dei leoni, della tomba a volta detta di Clitennestra – un altro nome fantastico
attribuito da Schliemann alla tomba –, e diverse rovine di case nei pressi
delle tombe. Al rallentamento contribuì anche l'assenza di Schliemann dalla
scena degli scavi per tutto il mese di ottobre, perché era andato a Troia a
riceve l'imperatore del Brasile.
D'altronde anche i conflitti tra Schliemann e Stamatakis si
ripercuotevano sullo svolgimento dei lavori. Poi, alla metà di novembre, mentre
il tempo era molto brutto e i continui temporali rendevano difficili i lavori,
Schliemann era quasi pronto ad abbandonare l'impresa. Ma proprio allora,
scavando sotto una stele tombale, scoprì la prima tomba e poco dopo altre
quattro. Le tombe furono ripulite nell'incredibilmente breve periodo di venti
giorni ed è degno di ammirazione che, nonostante la fretta e il caos che
regnavano ovunque, nonostante la grande profondità delle tombe che la pioggia
riempiva continuamente d'acqua, i preziosi reperti si salvarono. Il ritmo di
lavoro durante gli scavi era frenetico. Lo stesso Schliemann narra che lui
stesso e Sofia lavoravano in ginocchio nel fango dalla mattina alla serra.
Molto grande fu il contributo di Stamatakis. Con profondo
attaccamento al dovere ebbe cura che avvenissero sin modo regolare sia le
operazioni di scavo che la raccolta dei reperti mentre allo stesso tempo cercava
di imbrigliare il comportamento autoritario e spesso strano di Schliemann.
Schliemann distruggeva facilmente le opere murarie greche e romane e Sofia era
«fanatica per le stravaganze e le illegalità di suo marito». Nonostante le
miserabili condizioni di vita, Stamatakis riusciva a registrare tutto, chiedeva
che si limitassero i lavoratori e i siti da scavare perché si potessero
controllare e salvaguardare i reperti e cercava anche di limitare le
distruzioni di opere murarie meno antiche. Egli rappresentava lo stato greco ed
era colui che doveva fare osservare le leggi e le disposizioni
sull'archeologia. I rapporti tra Schliemann e Stamatakis si interruppero molto
presto. Già dal settembre del 1876 non si rivolgevano più la parola e
comunicavano per mezzo di terzi. Schliemann serbò rancore. Non menzionò mai ne l'opera svolta da
Stamatakis negli scavi né il suo nome se non una volta, e con disprezzo:
«a government clerk of the name of Stamatakes». Nella xilografia contenuta nel
libro di Schliemann Mycenæ, e che
divenne soggetto di una fotografia, Schliemann sostituì l'immagine di
Stamatakis, che era nella foto originale, con quella di un operaio. Stamatakis
morì giovane e la sua opera non è conosciuta. Il suo nome, mentre lui era
ancora in vita, fu oscurato da Schliemann, e solo dopo la sua morte Schliemann,
forse per pentimento, scrisse alcune
parole di elogio. Tuttavia Stamatakis, forse involontariamente, divenne il
migliore difensore di Schliemann perché la sua continua presenza sulla scena
degli scavi era una garanzia e indeboliva le accuse contro di lui di manipolazione
dei reperti.
E' significativo che la descrizione di questi scavi ci è
pervenuta in molti testi: nel diario di Schliemann, nelle sue lettere e
soprattutto in quelle al professor Max Muller di Oxford, negli articoli che
Schliemann scrisse per il Times, in
altri suoi articoli per quotidiani greci e in rapporti di servizio. Molto
importante è l'Album di Micene in tre
volumi, con fotografie degli scavi e rappresentazioni a colori, che
costituiscono una documentazione eccezionalmente avanzata per l'epoca. Molto
presto Schliemann pubblicò anche i risultati degli scavi nel suo monumentale
libro Mycenæ.
Dalle fonti risulta che lavorava alla preparazione del libro
contemporaneamente alle operazioni di scavo e che il suo scopo principale era
che la pubblicazione avvenisse in inglese. Tra l'altro in inglese sono scritti
anche il suo diario e le sue lettere. Tra gli scritti che si riferiscono agli
scavi di Micene vi sono anche il telegramma che Schliemann inviò a re Giorgio
I, per informarlo che aveva scoperto le tombe di Agamennone, di Eurimedonte, di
Cassandra e dei loro compagni che erano stati uccisi da Clitennestra e dal suo
amante Egisto mentre pranzavano. La maggior parte dell'archivio Schliemann si
trova nella Biblioteca Gennadios.
Dopo la ripulitura della quinta tomba, verso il 3-4 dicembre,
Schliemann interruppe improvvisamente gli scavi e partì per Atene. Questo suo
atteggiamento parve inspiegabile e suscitò perplessità. Dopo la sua partenza,
gli scavi furono portati avanti da Stamatakis il quale quasi subito scoprì,
fuori dal ciclo tombale, un «tesoro» costituito da suppellettili e ornamenti
preziosi. Quella scoperta turbò molto Schliemann. Un anno più tardi Stamatakis
scoprì anche la sesta tomba del recinto reale.
La superficie di terreno esaminata da Schliemann a Micene è
molto piccola e il tempo che dedicò a essa molto poco, solo quattro mesi, dal 5
agosto al 28 novembre (4 dicembre) 1876, ma i risultati di quegli scavi sono
ancora oggi i più importanti per la Grecia continentale. Quegli scavi
leggendari e la scoperta delle tombe reali sorpresero il mondo con gli
straordinari reperti che erano stati portati alla luce, fecero ascendere
Schliemann al massimo della celebrità, ma soprattutto posero le fondamenta per
la ricerca sulla preistoria greca e aprirono la strada allo studio di una
grande civiltà fino ad allora sconosciuta.
Questi scavi sono ancora oggi una pietra miliare; mostrarono
che la splendida Micene di Omero non era un mito. «Credo di avere scoperto un
mondo nuovo per l'archeologia» scrisse Schliemann a C. T. Newton, allora
direttore delle antichità greche al British Museum. Ed era vero!.
DORA VASSILIKÙ
Da O MENTOR, 53,
aprile 2000, pp. 25-37,
trad. a cura di Mauro
Giachetti