PUBBLICITÀ: LA CIRCE DEL NOSTRO TEMPO

di SARANDOS KARGAKOS

 

Non so se ricorrere alla storia sia utile per dare una interpretazione al presente e al futuro; ma ricorrere alla mitologia serve sicuramente. Forse i popoli possono vivere senza storia, ma non senza mitologia. Quindi ciò che si ripete sempre non è la storia ma la mitologia. Non esiste nulla nel presente che non abbia il suo corrispettivo simbolico nel passato mitologico o nel passato storico mitizzato.

Ecco un esempio sintomatico: molti definiscono la pubblicità Democrazia di Mercato. In realtà la pubblicità impone la Dittatura delle Necessità. Trasforma ciò che chiamiamo abbondanza di beni di consumo in falsa necessità di tali beni. E ci offre soluzioni facili in situazioni difficili inesistenti. La pubblicità nutre la Idra di Lerna del consumismo. Quando Ercole tagliò la testa alla Idra mitologica gliene spuntarono subito altre due. Lo stesso accade alla Idra di Lerna di oggi. Acquistiamo un "bene" per soddisfare una nostra cosiddetta necessità e subito sentiamo, o piuttosto la pubblicità ci fa sentire, che abbiamo bisogno di altri due beni. Così la funzione del bene di consumo in quanto tale cessa di esistere. La pubblicità è riuscita a ridurre l'uomo al servizio delle cose e non le cose al servizio dell'uomo.

Il consumismo è la "religione" dei tempi moderni. La pubblicità è la teologia o, piuttosto, il clero della nuova religione. Quando gli antichi dovevano prendere una decisione importante chiedevano consiglio agli oracoli, soprattutto a quello di Delfi. Oggi le decisioni vengono prese esclusivamente in base ai consigli della pubblicità che è divenuta la Pizia del nostro tempo e che offre i propri vaticini in maniera del tutto gratuita. Ma non significa che non riceva un compenso. Un compenso lo riceve, e anche lauto, dai magnati della produzione i quali stabiliscono cosa mangeremo, cosa berremo, cosa indosseremo, cosa balleremo, cosa canteremo, come viaggeremo, come ci innamoreremo o come gli altri si innamoreranno di noi. Così smettiamo di pensare. Perché può darsi che, grazie al "segreto" offertoci dallo spot pubblicitario, riusciamo sì a limitare la calvizie esterna, ma non quella interiore. Quest'ultima aumenta sempre più. Infatti con i nuovi shampoo la forfora non scompare, ma semplicemente penetra nel cervello attraverso le fessure craniche e prende il posto della materia grigia.

Quanti studino attentamente l'Odissea troveranno innumerevoli casi che hanno corrispondenze simboliche con la pubblicità. Il canto delle Sirene, ad esempio, che incanta e distrugge chi lo ascolta. Polifemo è un altro figlio della pubblicità di oggi, e sebbene non sia più terrificante ma affascinante, divora l'uomo del nostro tempo proprio come faceva l'antico Polifemo di Omero. E c'è anche l'isola dei Lotofagi. Colui che mangerà del "loto pubblicitario" dimenticherà tutto ciò che potrebbe dare contenuto ed essenza alla propria vita. Smarrirà ogni interesse per la ricchezza spirituale. Il consumista di oggi somiglia a una scimmia evoluta che insegue banane telematiche. Ma trovo ancor più appropriata la similitudine con la maga Circe. La pubblicità conosce la tecnica per incantare, per sedurre l'uomo. Prima stimola la curiosità. Quindi la curiosità diviene desiderio e infine il desiderio si trasforma in volontà di acquistare. E una volta che l'uomo si è abituato a comprare e solo a comprare, prima o poi sarà comprato lui stesso, e certamente a un prezzo umiliante.

Dicono che l'uomo sia ciò che mangia. La Circe mitica nutrì di ghiande i compagni di Ulisse e li trasformò in maiali. La Circe di oggi nutre l'uomo di immondizie. Così fa di lui un divoratore di spazzatura. All'uomo non interessa quello che consuma. Così smarrisce la capacità di scegliere. Egli ha molte cose. Ma il segreto della pubblicità consiste proprio nel fargli credere che le cose che gli mancano sono più numerose di quelle che possiede. Un altro segreto della pubblicità consiste nel convincere il consumista che il "bene" che già possiede è invecchiato e che sia diventato inservibile. In altre parole, la pubblicità cerca abilmente di far apparire invecchiato ciò che è ancora nuovo. Così le nostre case e la nostra vita si sono riempite di pezzi di antiquariato del mese... scorso.

Una volta Efesto venne a sapere che sua moglie Afrodite lo tradiva con Marte. Allora fabbricò dei ceppi e quando la coppia giaceva nel letto per fare l'amore, i ceppi del dio tradito li legarono strettamente. Allora Efesto chiamò gli altri dei perché venissero a guardare quel licenzioso spettacolo. Si tratta della prima scena di oftalmopornìa che sia mai stata offerta al mondo. Oggi Efesto, quale dio produttore, è entrato al servizio della produzione. Non fabbrica più scudi, come quello che fabbricò per Achille, per proteggerci dai dardi della pubblicità, ma un diverso genere di ceppi. Ceppi per lo spirito. La Circe pubblicitaria sa che talvolta il corpo è sazio. È l'anima che non è mai sazia. Ma l'anima dev'essere avvinta da ceppi invisibili e desiderare ciò che offre la Canaa consumistica. Per questo oggi l'anima non è assetata di conoscenze, di ricerche, di nuove esperienze. Oggi il viaggio verso Itaca corrisponde a vagabondare in un super market e allora i versi del poeta non hanno più senso: "Itaca t'ha dato il bel viaggio (...) Altro non ha da offrirti". La moderna Itaca del consumismo ha molto da dare a l'uomo, moltissimo. Basta che la sera accenda il televisore. Dagli spot pubblicitari trasmessi negli intervalli di una partita di basket, il telesuddito di oggi sarà informato sulle "nuove mercanzie", sulle "madrepore e coralli, ebani e ambre / e voluttuosi profumi d'ogni sorta". Soprattutto su ogni sorta di "innumerevoli voluttuosi profumi".

Ma all'uomo non basta esser profumato e farsi profumare. Deve anche non puzzare. Per questo ha bisogno di detergenti. E meglio che siano numerosi, detergenti "potenti" e "biologici" che offrono "il bianco più splendente". Così all'uomo consumista, nutrito di "cultura pubblicitaria", può capitare quello che capitò al gatto del mito che leccava la lima e che credeva che il sangue che sorbiva fosse della lima. Ma era il sangue della sua lingua. Eppure l'uomo non si accorge della propria distruzione. Perché la pubblicità è una sequela ininterrotta di iniezioni di allucinazioni. Egli crede, ad esempio, che l'acquisto del prodotto reclamizzato dall'oracolo pubblicitario lo renda diverso dagli altri. In realtà diventa identico agli altri. Perché la stessa iniezione è stata fatta a milioni di altre persone. Ciò che cambia ogni volta è il livello della standardizzazione

In fin dei conti, quello che la pubblicità è riuscita a compiere nel mondo di oggi è un anacronismo. Ha fatto recedere l'uomo a uno stato di schiavitù, imponendogli delle catene che piacciono, in un stato di gioconda alienazione. Ha ribaltato cose e persone mettendo le cose sopra l'uomo il quale, da padrone, è divenuto schiavo delle cose che dovevano essere al suo servizio. Così l'uomo moderno e liberato non lavora soltanto per la propria casa, ma lavora anche per la propria automobile. Non lavora solo per suo figlio, ma anche per il suo cane il cui mantenimento, ora come ora, costa quanto il mantenimento di un figlio.

Ma il problema più serio della pubblicità è che incita al lusso, al consumismo eccessivo. Tutto questo è sempre esistito in un modo o nell'altro. Ma ciò che ha fatto della pubblicità un pericolo grandissimo è il capovolgimento dei valori. La pubblicità ha imposto alla vita di oggi i propri valori, un suo proprio sistema di valori. Ad esempio, non è sufficiente essere ricchi ma sembrare ricchi. Il che significa che bisogna sperperare. Così, quella che chiamiamo società consumistica è in realtà la società dello sperpero. Inoltre, una persona che possiede una macchina con un motore di grande potenza, fa più impressione di una persona dotata di grande forza intellettuale. L'uomo si mostra sempre più indifferente verso la propria educazione culturale. La "cultura pubblicitaria" induce di conseguenza al "verso pubblicitario" e insegna la "letteratura pubblicitaria" che vuole la lingua al servizio del messaggio pubblicitario.

E non è nemmeno il caso di parlare di produzione estetica. La pubblicità promuove su scala mondiale la "dittatura del kitsch". La "sensibilità" per il cattivo gusto. Questo fa sì che la pubblicità, un tempo definita da alcuni "poesia di mercato", sia divenuta "malattia di mercato". L'uomo vive in un immenso mondo dominato dal cattivo gusto. La bellezza viene sostituita dalla disarmonia. L'armonia sonora dalla stonatura. La curiosità intellettuale dalle sostanze eccitanti. Persino la felicità viene assicurata da prodotti specifici ("pillole della felicità") o da non specifici esercizi di ascesi spirituale e di "raccoglimento" fisico. Persino l'intelligenza, grazie alla pubblicità, non ha bisogno di esercitarsi con l'apprendimento, ma di un mercato di specifiche marche di automobili. "Gli intelligenti guidano Renault", recitava una pubblicità tempo addietro, incollata sui finestrini posteriori delle macchine.

Credo che la nostra ostinazione nello scrivere contro la pubblicità costituisca anch'essa una indiretta pubblicità della pubblicità. Allora meglio parlare dell'autosufficienza del saggio. L'apostolo Paolo, senza aver provato i cibi alla moda di oggi, ci ha in effetti lasciato un ottimo consiglio: "So soffrire penuria e so anche abbondare; in ogni tempo e in tutte le maniere io sono stato iniziato all'essere sazio e all'aver fame, all'abbondare e allo scarseggiare" (Lettera ai Filippesi, 4, 12).


Da Efthyni, 297, set. 1996, pp. 421-23.
trad. dal neogreco di Mauro Giachetti