ESTRATTO DA
KOSTAS E. TSIROPULOS
IL SEGNO DI
INTERPUNZIONE
TITOLO
ORIGINALE
TO SHMEIO THS STIXHS
ATENE
1984
trad.
a cura di
Mauro
Giachetti
1. Passeggiando una sera nel cimitero, sentii che il silenzio e
l'isolamento spezzavano la mia esistenza quotidiana e sfioravano la segreta
nudità della mia anima. Prima osservai i silenziosi cipressi mentre gli
uccellini volavano veloci a rifugiarsi tra le loro cime per nascondersi dalla
notte che stava per calare. Poi il mio sguardo scese verso i fiori che,
offuscando lo splendore del giorno, vegliavano sui morti. Infine volsi gli
occhi alle bianche tombe, mentre lo splendore soprannaturale di quell'ora
faceva fluttuare nell'etere i nomi dei defunti, incisi su di esse.
2. Ma appena mi misi a leggere le pietre tombali, percepii dentro di me
un brulichio di nomi e, intorno a me, una moltitudine di persone. Mettendo in
relazione quei nomi con le date di nascita e di morte, chiesi alla mia fantasia
di ricreare quelle persone, di farle resuscitare perché io potessi conoscere la
loro esistenza in tutta la sua interezza. Ma la mia fantasia folgorata e impotente, era priva dei mezzi per far
rivivere una persona tramite il suo nome – anche se sulla sua tomba si erge una immagine marmorea o vi è una
fotografia delle sue sembianze terrene. Allora, d'un tratto, considerai davvero
il Cimitero non solo come un luogo di riposo per corpi morti, bensì anche come
un luogo di perenne presenza di nomi. Quei nomi – e naturalmente intendo nomi e
cognomi –, mi apparvero allora come tracce
d'immortalità, dal momento che la morte aveva occultato i corpi che li
avevano portati per poterli accompagnare, liberi da impedimenti, nel silenzioso
viaggio. Perché Plutone sembra «non voler vivere con uomini mentre essi
conservano ancora i loro corpi» (Platone, Cratilo,
403e).
Avendoli ora perduti, fluttua
sulla loro tomba un segno eterno: il loro nome. Può darsi che il corpo
occultato fosse il segno dell'anima (cfr. di nuovo Cratilo 400c), ma quel nome inciso sul marmo scintillante
costituisce la traccia perfetta e inconfutabile dell'impronta che la loro
esistenza terrena ha lasciato nel mondo. Un nome che solca il silenzioso mare
aperto dell'oltretomba e giunge, per mezzo delle preghiere, fino a Dio il quale
sembra essere obbligato a conoscere e
a guardare all'uomo-anima tramite il nome che aveva sulla terra. Se il corpo è
il segno dell'anima, il segno del corpo è il nome che dichiara, che designa la
presenza dell'uomo nel mondo. Sembra che tutta la nostra esistenza sia legata a
quattro parole: corpo, segno, anima, nome.
3.
Con i consigli recati dalla notte, mi son messo a riflettere su quanto avevo
osservato la sera e a ciò che, osservando, avevo intuito. Ho visto i segni
degli uomini sui marmi delle tombe invitarmi a indagare e a decifrare: tutti
quei nomi costituivano simultaneamente un «ambiente» (nel senso biologico
del termine), e un oggetto prezioso, condensato, imbalsamato, che si deve
far schiudere come un fiore (Roland Barthes). Il fatto che tali segni/nomi
esistono, è la conferma che gli uomini che li portarono esisterono, e continuano
a esistere ancora oggi, a seconda della intensità della memoria del loro nome,
perché sulle loro tombe fioriscono, precisi e inalterabili, i loro nomi. Il
nome è il loro segno, anche se la loro forma carnale è stata dimenticata o è scomparsa
– come quella cristallina di Andreas Kalvos. Il nome diventa la loro figura
in codice, lo stigma che dà loro un significato nel mondo di coloro che continuano
a vivere. Questo nome è una presenza, ma è anche una assenza. In praesentia, il nome-segno, in absentia, il significato. Come la pittura
è la platonica «imitazione delle cose», il nome ne è la conclusione, il culmine
degli uomini-persone. Presenza.
Non solo il cimitero, ma la vita intera è disseminata di antroponimi, così come la terra lo è di toponimi. La lingua dipinge per mezzo dei nomi propri un'altra natura,
più profonda, più segreta.