DAI MITI DELL'ANTICA BEOZIA
ERCOLE E L'EROINA TEBANA GALINTHIÀS
Di Nikos Papachatzis
Galinthiàs, nobile fanciulla vissuta in epoca micenea, a Tebe, intorno al 1300 a. C., era figlia di Preto, illustre tebano, omonimo e contemporaneo del re di Tirinto, in Argolide, al quale i Tebani resero onore anche in tempi storici chiamando "Porte Pretidi" la porta d'ingresso alla rocca Cadmea, dalla quale si accedeva alle tombe a camera micenee della città. Si tratta delle tombe situate nell'odierna località chiamata Megalo Kastelli, e dove si suppone siano stati sepolti anche i figli di Edipo. Probabilmente il tebano Preto, padre di Galinthiàs, fu lo stesso re di Tirinto che, perduto il trono all'epoca delle contese politiche in Argolide, si era rifugiato in Beozia.
Certo è che nello stesso periodo, a causa dei dissidi politici, dovettero abbandonare l'Argolide e stabilirsi a Tebe anche i futuri genitori di Ercole Anfitrione e Alcmena. Si trasferì per primo Anfitrione che, acquistato un terreno fuori delle mura della rupe Cadmea, vi costruì la sua casa "a sinistra della Porta Elettra", come dice Pausania, che trovò quella casa in rovina quando visitò Tebe nel 175 d. C. Secondo Pausania, la strada che conduceva da Atene a Tebe terminava alla Porta Elettra. Prima di varcare detta porta guardò a sinistra e, a breve distanza, vide le rovine della casa di Anfitrione, dov'era nato Ercole.
Secondo la tradizione, Alcmana aveva sposato Anfitrione a Tebe, ed era andata ad abitare insieme a lui nella casa appena costruita. Ma Anfitrione dovette allontanarsi in tutta fretta da Tebe per porre fine alle contese politiche e alle ostilità nella sua vecchia città natale in guerra contro i Teleboi dell'Acarnania. Durante la sua assenza, Zeus, assunte le sembianze di Anfitrione, trasse in inganno Alcmana e trascorse una intera notte in casa con lei. Il giorno dopo, quando Anfitrione ritornò, si accorse immediatamente dell'inganno di Zeus e, senza esitare, decise di mettere a morte l'infedele moglie bruciandola sulla pira. Fu acceso il fuoco, ma prima che Alcmana salisse sulla pira, Zeus con una violenta pioggia spense il fuoco, e tutti compresero che Alcmana non doveva essere uccisa. Intervenne allora l'indovino Tiresia, e alla fine lo stesso Anfitrione ordinò ad Alcmana che non rivelasse a nessuno di essere stata violata dall'altissimo dio.
Ma Era, nient'affatto disposta a perdonare l'inganno di Zeus, inviò immediatamente le dee del parto, le tre Farmakides, a casa di Anfitrione, con l'ordine di non permettere ad Alcmana di partorire, bensì di farla morire di una morte straziante, in preda alle doglie. Le Farmakides avevano fama di divinità terribili che nessuno poteva placare né con sacrifici né con offerte. Esse si precipitarono a casa di Anfitrione e si sedettero senza proferir parola sulla soglia della camera dove giaceva la partoriente. Terribili e silenziose, si strinsero le braccia intorno al grembo (nella stessa posizione in cui gli scultori cicladici rappresentavano la severa divinità del parto), lasciarono che amici e parenti entrassero in casa senza che potessero in alcun modo aiutare Alcmana che, disperata, dopo nove giorni e nove notti di doglie, aspettava la morte.
A questo punto comparve sulla scena Galinthiàs, l'amica più cara di Alcmana, la quale sin dall'inizio era rimasta giorno e notte a fianco di Alcmana cercando il modo di far allentare alle Farmakides la stretta delle braccia intorno al grembo, così che l'amica potesse partorire. Alla fine le venne in mente uno stratagemma che ebbe un esito assai felice: dietro le spalle delle terribili Farmakides, si mise a gridare di gioia e a congratularsi con Alcmana per il felice parto. Colte di sorpresa, le Farmakides credettero che il fausto parto fosse dovuto all'intervenuto di Zeus. Se n'andarono subito, colme d'ira nei confronti dell'altissimo dio, che si era sostituito derisoriamente al loro lavoro. In quello stesso istante Alcmana poté tranquillamente partorire due figli gemelli, Ercole e Ificle.
Ercole, cresciuto, per riconoscenza verso Galinthiàs le dedicò un santuario presso la casa paterna, quello che vide Pausania nel 175 d. C. Ercole istituì anche un sacrificio annuale per Galinthiàs, sacrificio che doveva precedere gli altri uffici divini della festa delle Eraclee a Tebe.
Si suppone che la storia di Galinthiàs sia stata esaurientemente narrata da Nicandro, un poeta epico dei primi tempi romani, in due opere che non ci sono pervenute, le Tebaiche e le Eteroioumena, a cui attinse il mitografo Antonino Liberale, contemporaneo di Pausania, per la sua opera Metamorphoseon synagoge, contenente tutte le notizie qui narrate. Pausania doveva conoscere la storia di Galinthiàs ma, influenzato dai Tebani suoi contemporanei, preferì attribuire il suo ruolo a Istoride, figlia dell'indovino tebano Tiresia. Nella tarda Tebe Tiresia, padre di Istoride, era ben conosciuto da Preto, padre di Galinthiàs.
Da O MENTOR,
anno X, fascicolo 45, aprile 1998.
Trad. dal neogreco di Mauro Giachetti.