L'ARCHITETTURA MONUMENTALE
E LO SPIRITO DELLA CITTÀ

di CHRISTOS MALEVITSIS

I

Il tempo cosmico è infinito. Il tempo storico invece, di lunga durata, ebbe inizio quando comparve l'uomo sulla terra e terminerà quando l'uomo scomparirà da essa. Eppure, il periodo relativamente breve di circa dieci millenni di effettiva civiltà, ci ha estenuati. Ora che il secondo millennio dopo Cristo sta per terminare, abbiamo la sensazione che non ci sia più nulla di nuovo da dire. Se non vogliamo smarrirci in ciance inutili o nel silenzio, dobbiamo inventare una lingua nuova, soprattutto se desideriamo parlare di poesia, di pittura, oppure di architettura monumentale, come faremo ora.

Quando visitiamo l'Acropoli ci sentiamo appagati dalla vista dei Propilei, dell'Eretto, del Partenone. Ma se oggi visitasse l'Acropoli un greco dell'antichità, ne rimarrebbe sorpreso, anzi, sconvolto. Non perché mancano le statue o perché i monumenti architettonici sono in rovina, bensì perché le loro vestigia sono bianche, non sono dipinte. E anche un ateniese di oggi rimarrebbe altrettanto sorpreso, anzi sconvolto, se, andando a ritroso nel tempo, potesse visitare l'Acropoli nel periodo classico, perché allora tutte le statue e tutti i templi erano dipinti con molti colori. Anche Winkelmann, il padre dell'archeologia, rimase sconvolto quando comprese che le antiche statue greche erano dipinte.

Di solito ammiriamo il Partenone per la sua tecnica, non per la sua arte: per l'incurvatura del pavimento, per la forte inclinazione delle colonne, per la massa maggiore là dove la luce la sottrae, per l'equilibrio e l'armonia. Forse gli antichi greci lo ammiravano proprio per i colori organici con cui erano dipinte le colonne rosse, le metope policrome. Ma forse la parola "ammirazione" è eccessiva, perché ammirano coloro che non partecipano al sacro, e il Partenone era l'istituzione sacra per eccellenza. Viene per prima la sacralità della bellezza, non solo temporalmente, ma anche ontologicamente. Per questo quanti hanno affermato che la bellezza salverà il mondo, lo hanno fatto nel momento appropriato.

In ogni caso, tutto questo accade perché quando osserviamo il Partenone lo guardiamo con lo sguardo rivolto dal presente verso il passato. Così l'equivoco è quasi assicurato. Non so che cosa vi fosse di veramente greco in tutto ciò che considerava greco il poeta Hölderlin. Può darsi che la serenità olimpica sia evidente in alcune statue, ma essa non è stata accertata né nella storia di questo popolo, né nella sua tragedia. Ma proviamo a osservare il Partenone in un modo forse più consono, e cioè muovendo dai recessi del passato greco in direzione dell'epoca di Pericle. Infatti, se guardiamo a quella istituzione storica chiamata polis, città-stato, con lo sguardo rivolto dal presente verso il passato, essa ci apparirà come una realtà scontata. Se invece guardiamo ad essa dalla direzione opposta, ci accorgeremo che la città-stato, per gli antichi greci, era l'idea più straordinaria della propria ontologia. Esiste un tranello nella storia dello spirito. Ciò che gli uomini di oggi vedono come punto di partenza, per gli antichi era un punto di arrivo. Per noi i poemi omerici costituiscono il punto di partenza. Per i contemporanei di Omero non era che il glorioso epilogo di un lungo procedimento. Quindi dobbiamo considerare anche i monumenti architettonici dell'Acropoli come un glorioso epilogo. Se al tempo di Sofocle il Partenone si mostrava in cima all'Acropoli come un grandioso, splendido tempio, non dobbiamo dimenticare che le pendici della sacra rupe erano gremite di santuari arcaici. Per questo, sebbene il tempio della Vergine Atena sovrastasse sia lo spazio che il tempo della Polis, gli Ateniesi non potevano nemmeno concepirlo senza i colori organici ricavati dalla terra. La dea Atena che abitava nel tempio era nata, senza madre, dalla Sophia di Zeus, ma era scortata dal serpente Ctonio, e sopra lo scudo recava la testa della Medusa, rappresentazione del terrore primordiale dell'esistenza. Tuttavia il Partenone fu fatto costruito da Pericle quale monumentale simulacro dello spirito della città, quello spirito che egli stesso descrive nell'Epitafio. La città rappresentava un'altra forma di sacralità accettata dai cittadini. La città culla della democrazia, della filosofia e dell'arte è un modello originale di esistenza storica la cui importanza era compresa da tutti i cittadini. Al punto che la città assimilò la sacralità religiosa fecendola diventare sacralità statale. Sintomaticamente Pericle non costruì il nuovo Partenone sulle fondamenta di quello vecchio, nonostante le insistenze dei sacerdoti e degli ateniesi pii. Pericle rinunciò al luogo più sacro e fece costruire il Partenone nel luogo più elevato della città. Non potremo comprendere l'antichità classica se non comprendiamo perfettamente il concetto di polis. Del resto l'uomo più travolgente e originale a cui la città diede i natali, Socrate, rappresentava lo spirito della città stessa. In tutta la propria vita egli non uscì mai dal perimetro della città se non per andare a difenderla in guerra. E preferì essere ucciso dalle leggi della polis piuttosto che rinnegarla e autoesiliarsi, come aveva proposto Critone.

Tutto ciò coinvolgeva l'anima di Socrate e lo spirito di Pericle e di tutti gli ateniesi, ma non era visibile. Fu reso visibile dall'architettura monumentale, soprattutto da quella dei templi. Questo significa che nell'architettura monumentale dobbiamo ravvisare l'anima, lo spirito e l'ethos della polis, e che non dobbiamo limitarci a ciò che vediamo con gli occhi. L'incurvatura del pavimento del Partenone non rappresenta l'organicità dell'edificio, ma l'organicità dello spirito degli ateniesi, il quale non era arido, matematico. Allora esso era più appagato dalle linee rette che da quelle curve. Era uno spirito che muovendo dal terrore della tragedia raggiungeva la gioia della contemplazione dell'essere realmente. Per questo lo spirito antico è stato espresso meglio dalla geometria che dall'algebra. Perché era legato alla terra. Perciò, come abbiamo detto, tingeva con i colori tratti dalla terra le statue e i templi. E anche per questo non scoprì mai lo zero matematico. Né l'infinito matematico, che è l'altra estremità dello zero. Per questo le linee delle colonne del Partenone non sfrecciano verso l'infinito, ma s'incontrano in un punto circa 1700 metri al di sopra del tempio. Se avessero concepito lo zero e l'infinito, non avrebbero posto il Partenone sotto la dominazione della linea curva. L'anima dell'antico greco era dominata dal concetto di Cosmos , non da quello di Historia, come avveniva in Israele, né da quello di Eternità, come accade nel cristianesimo. Per questo l'antico tempio è aperto sullo spazio circostante e sull'esterno. Infatti i culti venivano celebrati all'esterno del tempio. Così il tetto del tempio non ha alcun significato simbolico. Mentre grande significato simbolico possiede la cupola del tempio cristiano, la quale rappresenta simbolicamente cielo e ventre. Gli archi delle cattedrali gotiche sono slanciati verso l'infinito. Invece le colonne del Partenone sono immerse nella luce del mondo e non in una luce increata e celeste. Per questo colonne e luce si fondono insieme in una totalità cosmica organica.

L'architettura monumentale comincia a divenire arte allorché, superate le ordinanze tecniche e funzionali dell'edificio, rappresenta l'anima e lo spirito della polis.

Da Efthyni, n. 296, 1996, pp. 403-405
Trad. dal neogreco di Mauro Giachetti

 

 

II

Non è difficile ravvisare nella struttura architettonica di un edificio la rappresentazione dell'anima e dello spirito della città. Essendo la costruzione oggettiva, vi viene raffigurato ciò che l'anima e lo spirito oggettivizzano. Ma se la costruzione si esaurisce nella propria oggettività, l'anima e lo spirito non si esauriscono. La costruzione si trasforma in opera d'arte quando sprofonda nel mondo inesauribile dell'anima il quale, secondo Eraclito, non ha confini. Siamo quindi invitati a procedere oltre ciò che si oggettivizza. Ma in tal modo penetriamo nel mondo incerto del sogno. Per comprendere perfettamente il Partenone, osserviamolo come immagine onirica. Anche la psicanalisi conferma che l'anima assume la forma della costruzione, della casa. Non nel senso che l'anima abiti nella costruzione, bensì nel senso che l'anima stessa è una costruzione. Di conseguenza scopriremo il vero aspetto del Partenone solo quando lo vedremo come l'anima della città, in forma di edificio e, soprattutto, di tempio. È stato detto che il corpo è il tempio dell'anima; ma si tratta più che altro di uno schema retorico. Secondo una formula a-retorica il corpo è anima e il tempio è anima e la costruzione è anima. Se non sappiamo che cos'è l'anima, osserviamo una costruzione. Se riusciremo a vederla come anima, allora significa che si tratta di arte autentica. Altrimenti no. Il Partenone di Ictino è l'anima transustanziata in marmo della città degli ateniesi, è la loro anima. È uno stile di vita, anche se rimane oscuro alla nostra comprensione . Questo non significa che non esiste e che non è visibile. Dieci anni dopo la costruzione del Partenone nascerà Platone che dedicherà la vita a dare una esatta definizione dell'anima. Ma per avere spiegazioni più complete sull'anima avremmo dovuto attendere l'avvento del cristianesimo. Il dono originale che fece alla storia dell'arte il cristianesimo orientale è stata l'icona. L'icona è senza dimensioni; non è cosmos. Così, dalle sue rappresentazioni è completamente assente la natura, non esiste la prospettiva. Manca la luce naturale, non vi sono chiaroscuri. Solo una cosa esiste, la costruzione. Dietro le figure dei santi si estende orizzontalmente una costruzione. È l'anima del santo. Così la costruzione è vita, l'anima vivente. Per questo l'agiografo la copre di tessuto, allo stesso modo in cui vengono coperti con tessuto i corpi viventi. E l'agiografo dipinge il tessuto di rosso, come rosso è il sangue della vita. Questo elemento dell'agiografia serve a corroborare il nostro aspetto, così come la vita della costruzione s'identifica con la vita dell'anima; e l'anima viene raffigurata nel monumento secondo la proclività onirica del mondo interiore dell'uomo. Dopo, le rivoluzionarie scoperte della psicologia del profondo, possiamo esprimerci con un linguaggio più sciolto, come quello della poesia contemporanea. Tutte le città della storia che avevano coscienza della propria anima ritrassero quest'ultima per mezzo dell'architettura monumentale. Persino la mesopotamica Uruk, la città di Gilgamesh. Le città che smarriscono la loro anima non sentono la necessità di costruire edifici monumentali, come accade nell'Atene di oggi. Ma per vedere l'anima della città ritratta in opere architettoniche monumentali, deve avvenire un cambiamento sul piano spirituale, come passare attraverso una porta d'ingresso custodita da animali feroci o da demoni. Persino l'antichissima madre di Ciatàl Huiuk, assisa sul trono, in Anatolia (6000 a. C.), è custodita da leoni. Allo stesso modo venivano custoditi i palazzi micenei, dai quali trae la sua origine il tempio greco classico. Si accede al Partenone attraversando una porta, i Propilei di Mnesicle. Si tratta di un passaggio iniziatico che, nell'Atene classica adornata di monumenti architettonici, diventa passaggio estetico. L'esistenza dei Propilei sull'Acropoli testimonia il passaggio compiutosi nell'ellenismo dal Sacro al Bello, un procedimento iniziatosi già al tempo di Omero. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che dietro al bello sta in agguato il sacro, non solo sul piano temporale, bensì anche ontologico. Il timore estetico provocato dai Propilei di Mnesicle, dietro i quali si cela appena il timore sacro. Nell'Eretteo, del resto, non cessa di attorcigliarsi il primordiale serpente custode della casa, vale a dire le tenebre ctonie, l'ombra della luce, la notte dell'anima. L'Acropoli, con i suoi edifici monumentali, è il luogo di salvezza per eccellenza. Il luogo in cui l'uomo si pone in salvo dai pericoli storici, per questo è un luogo fortificato. Per questo Atena è in armi: sta, in piedi, quale "condottiera protettrice". L'Acropoli è anche il luogo di salvezza dell'uomo dai pericoli spirituali, per questo è anche luogo sacro. Lo ctonio Erittonio e la celeste Atena, figlia di Zeus, uniscono la terra al cielo. L'Acropoli è il luogo dove gli uomini mortali convivono con gli dei. Terra, cielo, uomini, dei – è il quadrinomio di cui parla il grande filosofo del nostro secolo Martin Heidegger, che ha messo in evidenza l'eccezionale significato di "abitare" come equivalente di "esistere". Così andiamo oltre i parametri psicologici, cui abbiamo accennato, verso quelli filosofici. L'architettura monumentale non è in contrasto con la comune abitazione dell'uomo, anzi ne rivela l'importanza ontologica. Di conseguenza, ciò che si compie nell'architettura monumentale dell'Acropoli non è soltanto storia, ma anche metastoria: non è soltanto antropologia, ma anche teologia.

L'antitesi tra città e villaggio è l'antitesi tra arte e natura. La città spinge la natura fuori dai propri confini. Ciò che viene prodotto all'interno della città, della polis, è arte, opere eseguite dallo spirito e dall'anima della città. È poli-tismòs, cultura. Niente è più umano della poli-tica, dell'istruzione, dell'economia, dell'arte quali manifestazioni dell'anima della polis, legate al destino dell'uomo nel mondo. È certamente buono che quest'anima fiorisca creando da tale fioritura opere di architettura monumentale. Ma verrà il tempo in cui l'anima languirà e morirà. E allora languirà e morirà anche tutta la città. Il superbo palazzo di Priamo e i palazzi di Cnosso sono stati ricoperti da mucchi di terra. Dove vi è architettura monumentale, vi è testimonianza di quella mistica anima creatrice glorificata dall'homo faber. L'assenza di architettura monumentale nelle metropoli odierne, testimonianza di morte dell'anima poetica, getta l'homo sapiens nelle tenebre. Il fantasma dell'anima d'altri tempi erra senza un tetto nell'Atene d'oggi.

Da Efthyni, n. 297, 1996, pp. 449-451
Trad. dal neogreco di Mauro Giachetti