SONNO SOGNO MORTE NELLA VISIONE POETICA DI

KOSTAS E. TSIRÒPULOS*

 

La visione poetica di Tsiròpulos è una delle più affascinanti tra tutte quelle emerse nel panorama letterario del Novecento. Una quarantina di anni or sono, in un periodo in cui il mondo delle lettere neogreche pareva esanime, comparvero alcuni giovani scrittori che presero a coltivare un genere di letteratura - soprattutto il saggio e la poesia -, per mezzo della quale cercavano di esprimere la loro concezione del divino, pur non perdendo mai di vista la tradizione greca e i problemi concreti della vita. La loro ispirazione non scaturiva da fantasie stravaganti, ma da una dimensione speculativa del tutto personale. Quei giovani si chiamavano Mundès, Stathòpulos, Paschos, Ghiannaràs, Tsiròpulos. Quest'ultimo, Kostas E. Tsiròpulos (Larisa 1930), si distinse subito dagli altri per la sua inquietudine e per l'originalità del suo pensiero, per la sua indomita fede cristiana - benché venata di elementi orfici -, e per la sua originalità nel trasmettere il retaggio dell'esperienza greca la cui ininterrotta continuità è resa possibile dall'ethos - cioè dall'espressione eroica dello spirito - di una stessa lingua da tre millenni viva e vivificante.

Una ulteriore fonte di suggestione per chi sia in grado di leggere Tsiròpulos nell'originale è proprio quella che deriva dallo stile linguistico che, a partire da un determinato momento, egli prese a foggiare per renderlo conforme alle caratteristiche narrative dell'opera che stava creando. Mi sia permesso a questo punto aprire una breve parentesi. Dal punto di vista della sua struttura, il greco non presenta, nel corso della sua storia, mutamenti analoghi a quelli che, per esempio, hanno opposto la struttura del latino a quella del tutto diversa dell'italiano o del francese. Vi è stata grande continuità, lenta evoluzione e le innovazioni verificatesi nel corso dei secoli corrispondono quasi tutte a tendenze esistenti nella lingua sin dai tempi più remoti. Per questo il greco, tuttora ricco di ogni genere di flessioni, permette meglio di molte altre lingue non solo di far uso della tecnica del riferimento e della parafrasi, ma di inserire in un testo neogreco citazioni attinte alle opere più significative della letteratura ellenica di ogni periodo e di venir usato in maniera ellittica, come, ad esempio, in poesia, per esigenze metriche. Vale a dire, si possono omettere anche intere parti del discorso quali preposizioni e verbi ausiliari, dal momento che le desinenze di verbi, sostantivi e aggettivi indicano senza possibilità di fraintendimenti le relazioni sintattiche e grammaticali che le parole hanno nella frase.

La prima raccolta poetica di Tsiròpulos, jWdei'o gia; monacike;" fwnev" (Odeon per voci solitarie, 1962), è indubbiamente un'opera giovanile dalla quale emergono qua e là immagini di un mondo cicladico solo apparentemente semplice e incorruttibile. Ma le case bianche, i marmi di antiche rovine, l'azzurro del cielo che pervadono queste liriche, non devono indurci a credere che il Poeta affrontasse la realtà in maniera ingenua.

Isola antica
uccelli
canneti acque verdi.
Marmi
pietrificato giardino
di bellezza.

Luce ed erotico silenzio.

Non rattristarti
in mezzo alle rovine.
Non sporgerti sui pozzi
udrai enigmatiche
voci.

Bevi un po' di luce
osserva i marmi
lo scultore Thanatos
sarà all'opera di notte.

Le tue carte sono sulla nave.

Infatti, compaiono già distintamente alcune parole/concetti - quali acqua, marmo, pietra, pozzo, nave -, che permarranno costanti in una molteplicità di variazioni sul tema e che, con l'andar del tempo, assumeranno la configurazione di una sorta di sistema simbolico tsiropulosiano che si farà sempre più complesso a mano a mano che l'autore procederà verso la maturità. In questa lirica, inoltre, si intravede per la prima volta l'ombra di Thanatos, la Morte, che pervaderà tutta l'opera di Tsiròpulos intrecciando stretti rapporti con Eros e Hypnos, il Sonno, dando luogo a un incessante oscillare tra sonno, sogno e realtà, tra Eros e Thanatos, tra il sogno della vita e il sogno della morte.

Con Odeon per voci solitarie non siamo che all'inizio di un processo di affinamento spirituale e linguistico che si protrarrà abbastanza a lungo e nel corso del quale, alla pubblicazione di altre raccolte quali Qalassognwsiva (Conoscenza del mare, 1965), jvEgkaustikhv (Encaustica, 1971), Mau'ro kalokaivri (Estate nera, 1973), OiJ [Aggeloi (Gli angeli, 1977), si alternano saggi, racconti, romanzi che collocano Tsiròpulos tra le voci più significative della letteratura greca contemporanea e che mettono bene in luce le sue preoccupazioni metafisiche riguardanti soprattutto la spiritualità e la fugacità delle cose umane.

Finalmente con le poesie in prosa di Tetravdio paraisqhvsewn (Quaderno di allucinazioni, 1979), Tsiròpulos ci dona una nuova testimonianza artistica di grande valore, nella quale appare già perfezionato un originale metodo narrativo indiscutibilmente greco e suo, caratterizzato da uno stile assai scarno, quasi ellittico. Grazie a questo stile, egli penetra sempre più profondamente in una dimensione popolata da allegorie, da simboli, da visioni, da contorni vaghi come quelli descritti nella seconda "allucinazione" intitolata Sto; kaqrevfti (Allo specchio), nella quale egli ci parla della melanconia, del dolore e di eventi smarriti nella materia di cui sono fatti i ricordi, in un susseguirsi di immagini ora delicate e inondate di luce, ora tanto tenebrose da mozzare il respiro.

Non è lui nello specchio. Il cristallo rifrange una vita stupita. Diretti verso insostenibili abissi, occhi/lame cercano tormentosamente brandelli di un volto ignoto. Sconosce labbra, occhi, rughe espressive della fronte, sconosce la sostanza della materia che batte di notte con un'angelica pietra.

Attraverso fessure l'oscurità penetrerà in lui, imbavagliato dal barbaglio del mare. Corpo serrato in regioni incurabili, sangue e carne aspramente cinguettano, a branchi cala la notte. S'ode tra le canne un ebbro stormir del creato, in agosto i fichi infiacchiti stillano miele per abbeverare le pietre che l'arsura opprime. Chiamava Dio estrema brama. Silenzio-livella dell'estate sul mare. Un bianco bracciale, muro, cintura, prigione, soffocamento, memoria-martirio, memoria-esplosione nella muta notte del letto, scudiscio all'aurora, il creato si spezza, i sogni grondano sangue. Orme sulla sabbia del sonno, ricordo insostenibile pena, due abissi ardenti il passato, risurrezione delirante il tramonto, quando tutto in Grecia si fa solitudine.

In realtà il passaggio al nuovo stile non costituisce una vera e propria rottura rispetto alla fase precedente. Infatti il Poeta continua essenzialmente le stesse tematiche ribadendole, anzi, con maggiore intensità a mano a mano che egli le riconsidera attraverso il prisma di nuove esperienze personali. Sempre più orientato verso il suo mondo interiore, egli pare quasi servirsi del suo nuovo modulo espressivo non per esprimersi con chiarezza ma per frapporre ostacoli tra sé e i suoi lettori. Questo linguaggio personale, segreto, quasi cifrato, raggiungerà l'apice alcuni anni più tardi in opere come Mousikhv (Musica, 1982), costituita da una serie di appunti personali ispirati a Tsiròpulos dall'ascolto delle sinfonie di Anton Bruckner, la raccolta Musthvrio (Mistero, 1988) e il saggio Shmeiwvsei" genikh'" dokimh'" (Appunti di prova generale, 1993). Benché diverse l'una dall'altra, queste opere sono indissolubilmente legate tra loro da peculiarità speculative da cui affiora un unico messaggio: la risurrezione.

La Verità, operante nella carne, divora il Pane della Vita finché la Statua non crolli rivestita di mare. Dimenticate! Stanotte la Musica rivela la melanconia della Morte, la nostalgia dell'Immortalità. Disperate affiorano voci d'amore e ripetono la dolorosa domanda: perché chi ama muore? Nella grande luce estiva, il Suono-coltello si alza per colpire in pieno petto il silenzio dell'Anima. Serenità di lacrime di sangue. Il Creato, credulo, vacilla, ma gli specchi marini restano vacui al cospetto dell'ispirato palpitare dei Corpi. Non esistono i Corpi, noi non esistiamo! Il mercurio, filtro di Morte, versato nelle vene del Mondo, avvelena l'Anima con i miraggi. Non senti, ascoltando, il veleno della Musica preparato per te da un'Anima tormentata nel mondo?

Dinanzi allo Specchio stregone, il Sognatore della natura estiva vede la propria Ombra sbriciolarsi sulla pietra della Morte. Cenere ricopre i Corpi caldi che ogni notte remigano verso l'Oblio assoluto, verso il sommo Silenzio. Scolpiscono una tomba per amarsi con ferocia. La disperazione della Morte parla con la Passione e con la Croce. Resurgam.

Inabissandosi per mezzo della sua opera nella morte, Tsiròpulos ne fa, da vivo, l'esperienza. Ma poiché la parola del poeta non appartiene esclusivamente a lui, dal momento che non gli è consentito porre limiti al potere evocativo che le parole esercitano su chi le legge, la stessa possibilità di esperire, da vivo, la morte, è data anche a chi, leggendo la sua opera e immedesimandosi in essa, ne diviene baudelairianamente compartecipe, come si trattasse di un fratello o di un intimo amico: "Toi! hypocrite lecteur! - mon semblable, - mon frère!". Inabissandosi nella morte, il Poeta scende nel dominio della negazione della vita, laddove regna l'assoluto silenzio. Ma poiché possiede il logos, la parola, principio assoluto dell'esistenza, nonostante egli sia morto, nonostante taccia, non appena udrà il richiamo del proprio logos che continua a vivere, egli risusciterà, uscirà dalla tomba per affacciarsi di nuovo alla luce.

La sua anima sognava Dio. Non Lo temeva, Lo bramava. Essa sapeva che era una necessità costitutiva propria dell'essere umano separarsi dal corpo prima o poi. In quel mese di febbraio quella separazione cominciava a spuntargli nelle viscere, nei recessi del cuore, e faceva sorgere in lui una tormentosa aporia: chi era egli? Perché esisteva? Che cosa sarebbe mancato al mondo se egli non fosse esistito? Forse Dio aveva bisogno di lui?

Domande-suggerimenti di Colui che gli osservava il corpo, senza trascurarlo mai, per prepararlo. Di notte - l'anima pervasa da una forte tensione -, egli cercava di sfiorarLo, di rivolgerGli parole di silenzio, parole della Sua lingua, che soltanto Lui può udire, meglio di così non poteva essere: la morte fa parte di una eccelsa economia che provoca dolore insostenibile, è una Necessità del Creato il quale adempie in tal modo al proprio compito liberandosi del tempo - e lo adempie fino alla distruzione del tempo. E il tempo non potrebbe essere distrutto se fosse stata decretata la immortalità dei corpi. La loro morte trascina alla morte anche il tempo che li distrugge. Giustizia inconcepibile!

Meglio così, senza greve vecchiaia, senza la mortificazione di gravi malattie. Egli non credeva che la vecchiaia e la malattia facessero parte della economia, della Necessità del Creato.

Gli parevano una eresia, una deviazione, un "abuso" più che un uso della impossibilità dell'uomo a respingere il proprio fato, vincolato coercitivamente a un sistema di leggi inesorabili che nessuno - neppure l'Uomo-Dio -, aveva sfidato. Ma non poteva nemmeno giustificarle quelle mortificazioni costitutive decretate dopo la Trasgressione, e che egli riteneva degradanti per l'uomo creato a immagine della luce divina. Come se il doloroso fardello della vita - costituito da lacrime, solitudine, tradimenti, delusioni e morte -, fosse tanto lieve da ritenere necessario che l'uomo dovesse ammalarsi e invecchiare affinché la sua anima, la sua mente e il suo corpo potessero portarne a maturazione la morte. Chi gli osservava il corpo era Colui che avrebbe detto all'Arcangelo Gabriele quando e come dovesse brandire la spada del distacco e annientare quella ineffabile unità funzionante.

Senza panico, senza timore, con serena tristezza e animo remissivo, di notte porgeva orecchio al divenire di quell'evento concepibilmente inconcepibile. Egli viveva una delle sue ultime notti prima di vedere l'alba nell'altra luce. Come sarebbe stata la morte?

Comprenderemo meglio alcuni aspetti della tecnica artistica di Tsiròpulos analizzando l'originalità concettuale e linguistica della sua ultima raccolta Mistero la quale è, oltre tutto, una ulteriore dimostrazione della sua totale adesione alla ininterrotta tradizione della grecità e del cristianesimo ortodosso. Si tratta di una testimonianza poetica di nuova formulazione e di respiro assai più ampio rispetto alle sillogi precedenti, tutta pervasa dall'Eros cosmogonico, com'era concepito dalla teologia orfica e dalla Teogonia esiodea, in cui predomina l'Eros concepito come jArchv, principio primordiale di ogni conoscenza mistica e misterica. Fin dai primi versi della raccolta è palese che l'Eros cosmogonico e il Logos procedono insieme in una sorta di consustanzialità dal momento che l'Eros in quanto principio e il Logos, la parola, perché rende possibile l'espressione di tale principio, costituiscono la base su cui è fondato l'Eros cosmogonico stesso.

A Mistero spetterebbe un posto significativo nella letteratura neogreca anche se fosse costituito da una sola parte. Invece è strutturato come un trittico i cui elementi sono sottotitolati rispettivamente Fw'" (Luce), JJHmivfw" (Crepuscolo), Gnovfo" (Tenebre). All'interno di ogni elemento del trittico ha luogo una ulteriore suddivisione - per mezzo di tre Inni - onde evidenziare altrettanti periodi della grecità nel corso dei quali furono create le grandi opere del pensiero greco. Lo schema che ne risulta indica chiaramente quali sono i personaggi e le epoche cui sono rivolte le sollecitazioni di Tsiròpulos:

Omero
Eraclito
Platone [Dalla tradizione omerica
Sofocle alla grecità classica]
Primo Inno
San Giovanni Evangelista
Romano il Melode
Gregorio di Nissa [Dai profetici inizi del cristianesimo
Simeone il Nuovo Teologo a Bisanzio]
Secondo Inno
Canto Popolare
Andrea Kalvos
Dionisio Solomòs
Makryghiannis
A. Papadiamandis [Dalla indipendenza greca (1821)
Costantino Kavafis fino ai nostri giorni]
Angelo Sikelianòs
Fotis Kòndoglu
Giorgio Seferis
Terzo Inno

Questi sono i personaggi che il Poeta considera i suoi maestri spirituali e i cui nomi costituiscono anche i titoli delle liriche. Determinato ad accrescere il potere di suggestione della sua poesia, a mano a mano che Tsiròpulos muove dalla Luce, passa per il Crepuscolo e approda alle Tenebre, il testo delle stesse liriche che nella Luce hanno un tono quasi ditirambico, nelle Tenebre è costituito quasi esclusivamente da versi di una sola parola, da frammenti di parole.

Come per venerazione filologica verso i suoi maestri, in ogni poesia Tsiròpulos si confà al linguaggio caratteristico del personaggio cui essa è dedicata e - straordinario conoscitore qual è della letteratura e della lingua greche di ogni periodo -, egli attinge a piene mani alle loro opere più significative scegliendo brevi brani che inserisce spesso nelle proprie liriche conseguendo esiti che solo un idioma come il greco moderno garantisce grazie alla molteplicità di modulazioni che possono spaziare dalla lingua più volgare a quella più arcaizzante senza che il parlante ne sia turbato. Leggiamo, quale esempio, la prima parte della lirica Eraclito nella quale sono magistralmente inseriti due frammenti del filosofo di Efeso:

Guardavano l'opaca
delicata luna
incidere le loro membra turbate
e brillare intensa sui loro corpi
splendore di dèi flusso di fuoco
sulle loro umide labbra parole

d'immortali mortali, di mortali immortali
e quanto più vivevano la loro morte con l'amore
glorificavano con ardore
pagando silenziosi e perplessi
la loro moneta

perché la natura ama nascondersi
- dice.

E i primi tre versi della poesia intitolata San Giovanni Evangelista:

Il granello di frumento nella loro carne
assetata di vita eterna
respingeva la morte con l'amore.

Tsiròpulos non trae pedissequamente ispirazione dal dogma cristiano, ma fa rivivere in gran parte della sua opera la ininterrotta tradizione della grecità millenaria sperimentando spesso sincretismi e contaminazioni tra orfismo e cristianesimo. Benché egli si aggiri sempre solitario in una regione pervasa dal dolore, dalla morte e dalla tragicità per la temporalità cui il genere umano è soggetto fin dalla sua origine, egli procede in piena libertà e con grande responsabilità lungo il cammino della vita con la certezza che se l'uomo, con le dita della propria anima, cercherà di sfiorare Dio che soffre come noi, muore come noi e che risorge come noi desideriamo risorgere, sconfiggerà il paralogismo dell'esistenza liberandosi, mistericamente, dalla trappola del tempo e dal furore della morte. Perché, secondo Tsiròpulos, o la libertà non esiste, oppure essa è situata "dall'altra parte della morte", e questa libertà metafisica la si vive da soli come individui, non come gruppo, la si vive come persona unica e non come massa.

L'opera di Tsiròpulos è costituita da un vasto complesso artistico caratterizzato da grande affinità concettuale, dal quale emerge un messaggio improntato a visioni spesso tormentosamente oscure cui si alternano improvvisi bagliori di luce salvifica. Egli si è cimentato con esiti straordinari in quasi tutti i generi letterari tradizionali abolendo nel contempo ogni ostacolo che li poteva tenere separati gli uni dagli altri: nelle sue mani i saggi diventano monologhi epigrammatici, le raccolte poetiche speculazioni metafisiche.

Mauro Giachetti

Firenze, Natale 1997