PAN. K. GEORGUNTSOS
COME SI È FORMATA
LA LINGUA GRECA
AVENDO OMERO COME ARCHITETTO
Il presente studio ha lo scopo di dimostrare come si forma una lingua. E l'esame si esercita sullo sviluppo della lingua greca la cui esistenza è già testimoniata all'epoca di Minosse e di Nestore e da allora è stata sempre viva attraverso i secoli e ininterrottamente parlata e scritta.
Gli stadi della sua formazione si notano nell'applicazione di tutte le tribù e località greche all'ascolto dei poemi omerici e in seguito nella loro lettura da parte di tutte le città greche sparse per il mondo, dato che i poemi venivano utilizzati come principale testo di didattica dei greci dai tempi antichi fino a quelli dopo Cristo.
Tuttavia, contemporaneamente allo studio dei poemi da parte dei giovani, si affacciò la necessità che fosse studiata dai filologi e dai maestri la forma autentica del testo dei poemi e la sua liberazione da eventuali corruzioni, cambiamenti o aggiunte.
Di conseguenza, qui necessariamente osserveremo e analizzeremo il tentativo della conservazione del testo autentico di Omero e la scienza grammaticale derivata da questo tentativo intrapreso dai più illustri studiosi, sulla base delle cui regole anche i poemi omerici furono riportati alla loro forma autentica e furono accertate le differenze dei dialetti. E soprattutto così, come vedremo, sulla base delle regole di grammatica esaminate per la prima volta, fu fissata l'esatta forma della, lingua comune greca affermatasi per mezzo di Alessandro, alla quale si sono conformati gradualmente anche gli altri dialetti greci. Giacché nell'insegnamento dei poemi spuntava la questione di come il testo epico sarebbe stato tradotto nella lingua parlata di ciascun luogo.
Così pure sorgeva l'altra questione: quale fosse la lingua esatta del luogo e come scrivere ogni tipo di parola. E dal lavoro sui poemi omerici in ciascuna località si scoprì che la lingua obbedisce a regole, e il complesso di queste regole si dice grammatica.
Mediante l'analisi apparirà, dunque, che la creazione di una lingua si basa sull'opera umana di decine di generazioni e la cooperazione di grandi spiriti creativi, che però non sorgono (compaiono) in tutte le epoche.
La lingua, cioè la parola, è il sommo dono del Creatore all'uomo, dato soltanto all'uomo e non agli animali. È un beneficio eterno e permanente, per denominare i concetti di innunmerevoli oggetti, fatti, pensieri e sentimenti. Col mettere in relazione le immagini intellettuali sviluppa la sua funzione. E la parola è una attività creativa dello spirito mediante la quale la lingua si adegua al pensiero. Lo determina e lo circoscrive in modo che si formi unità nella percezione del pensiero e del vocabolo pronunciato. Secondo l'espressione di un insigne specialista il pensiero nella mente viene condotto a unità con il suo segno linguistico, l'eco della parola, in forma di costa anteriore e posteriore di un foglio di carta. Ognuno esprimendosi forma per mezzo della sua parola la realtà, come "esso la pensa", in modo e forma particolari. Però questo organo meraviglioso e divino, da organo particolare di ciascun membro della società si conforma alla fine in collettivo. È dunque chiaro che costituisce un lavoro di collaborazione e non è stato dato all'uomo pronto e costituito come un dono fin dalla nascita. Gli è stato dato come capacità, allo stesso modo in cui come capacità e non come dono gli è stata data la libertà.
Come cominciò a essere esaminata la lingua dei greci
Universalmente gli scienziati sostengono che la lingua greca viene continuamente e ininterrottamente testimoniata abbondantemente come vivente e palpitante durante tutti i secoli fino ad oggi, una e contemporaneamente evolventesi, come organismo vivente - esempio unico. Dobbiamo esaminare come essa fu conservata e con quali mezzi riuscì attraverso il tempo ad evolversi verso un meraviglioso progresso di espansione piena, perfetta ed esemplare, in mezzo agli altri popoli. In questa analisi viene accertato il continuo sforzo operante e costruttivo delle generazioni avite che si sono man mano succedute e l'apporto creativo di molti figli, splendidamente dotati, dell'unità politica greca, di quelli che non tutti i secoli mettono al mondo. È evidentissimo l'inconsapevole, collettivo, istintivo tentativo e l'incrocio delle differenti tendenze che si concentrano durante la formazione di una lingua.
Durante le fasi della formazione e del perfezionamento di una lingua si distinguono due tendenze: una, individualistica del popolo, dell'espressione immediata, alla mano, incompiuta, falsificatrice, che tende a idiomatismi, dialettale, semplificata, distorta, arbitraria. E l'altra, in cui si affermano sistema e regola, unità e uniformità, che scaturiscono dalla luminosa sorgente dello spirito di individui eccellenti e privilegiati per natura, con alla testa Omero. La prima tendenza, della differenziazione o del dialettalismo, è evidente a tutti quelli che diano un'occhiata alle sillogi di epigrafi greche di ciascuna provincia durante l'epoca antica o alle sillogi dei proverbi, leggende e canti popolari della nostra nazione oppressa. Nelle sillogi di entrambi i periodi è evidente la diversificazione di sorprendente estensione nelle province e le tendenze alla individualizzazione e all'idiomatismo. Mentre, al contrario, l'altra tendenza del discorso sistematico, che mira a sottoporsi a unità e regola di espressione conseguente di carattere unitario, compare nel primo e più grande libri dei greci, i Poemi del divino Omero, il quale "è stato maestro a tutta la Grecia", secondo l'affermazione di Platone. Ci fu un singolare privilegio per il nostro popolo il fatto che fin dalla giovane età, all'alba della nascita della civiltà dei popoli, accolse tra le sue mani, in tutte le sue province come libro didattico dei suoi giovani e come Vangelo degli adulti, i poemi omerici che aiutarono il popolo greco a formare le sue convinzioni religiose con la mitologia poetica, a conformare i suoi costumi in accordo con quelli dei nobili eroi dei poemi, a nobilitare i suoi sentimenti, ad affinare la sua espressione, spingendola verso il bene, il vero, il bello, l'eroico, ciò che è pio, nobile, decoroso. Tuttavia il primo dono di Omero consiste nel fatto che foggia egli stesso una lingua ricca e disciplinata. Nei suoi poemi si distingue chiaramente che la tendenza alla nobiltà di carattere gareggia con la tendenza a un'espressione ricca, disciplinata, flessibile, squisita. La disciplinatezza del discorso dei poemi e la ricchezza dell'espressione insegnò a quelli che ascoltavano e imparavano i poemi a formarsi anch'essi con disciplina il loro discorso individuale. Ma vediamo come fecero i poemi omerici a giungere nelle province greche che parlavano in dialetto, quale influenza ebbero negli ascoltatori e come dal loro ascolto e dal loro studio derivò la ricerca delle regole dell'espressione e lo studio della lingua.
I poemi omerici e la questione della loro scrittura
Tutti i greci che hanno frequentato le classi superiori delle scuole medie, hanno letto a scuola brani di rapsodie dell'Iliade e dell'Odissea e, di conseguenza, conoscono i poemi di Omero. Tuttavia sarebbe grande ingenuità e illusione credere che gli antichissimi ascoltatori dei versi cantati dagli aedi con accompagnamento di cetra durante le grandi feste, ascoltassero le parole omeriche nella medesima forma in cui le leggiamo noi oggi, come ce le hanno tramandate le nuove edizioni europee. Sono molto oscure e complicate le condizioni sotto le quali il testo originario giunse attraverso ventotto secoli fino a noi, e perciò noi ci occuperemo solo di quelle cose che riguardano il nostro tema, cioè la loro formazione nel loro aspetto finale, che va di pari passo con la forma della lingua e della grammatica greche.
Generalmente oggi si crede che Omero sia il più antico poeta greco e che sia vissuto nell'VIII secolo a. C. Probabilmente discendeva da qualcuna delle famiglie reali Pilo-ateniesi, di quelle che erano giunte ad Atene sotto Neleo, figlio di Codro, e di altri Ioni e Greci di altre tribù nella Ionia durante la colonizzazione del X secolo a. C. Nella maggior parte delle città della Dodecapoli ionica allora i re erano di provenienza piliaca della linea Nestore-Codro-discendenti di Codro. È caratteristico che tra le patrie di Omero venisse citata anche Pilo, certamente nella convinzione della remota discendenza piliaca dei capi dei coloni che si erano insediati lì. Una simile discendenza dalle nobili famiglie piliache hanno anche nobili poeti e pensatori della Ionia, come Mimnermo, il quale anche si gloria della discendenza piliaca del suo poema Nannò, lo storico Ecateo che si vanta non solo d'origine regale, ma anche divina, e il filosofo Eraclito, il quale portava anche lo scettro reale, il bastone. Segnaliamo che durante l'epoca antichissima gli aedi-poeti erano persone di altissima reputazione, ispirate dalla divinità e sacre, e il loro prestigio si abbassò soltanto quando con la consacrazione della declamazione dei poemi durante le feste, l'opera degli aedi fu degradata a professione di virtuosità. Omero compose probabilmente i suoi poemi in Smirne, seguendo l'antichissima tradizione degli aedi. L'antica tradizione attribuì ad Omero quasi tutto il ciclo degli antichi poemi epici, tuttavia fu chiarito col passare del tempo che opere veramente sue erano l'Iliade e l'Odissea, che l'antica tradizione gli riconosceva unanimemente.
La composizione da parte di Omero dei due poemi fu impugnata nel 1795 dal poderoso filologo Federico Augusto Wolf con i Prolegomena ad Omero, che si basava principalmente sul fatto che allora i greci avevano soltanto una scrittura rudimentale, non sviluppata abbastanza per tracciare un contenuto di decine di migliaia di versi o sia pure un solo lungo testo contenente il disegno dell'opera. I Prolegomena sono una opera lunga, particolareggiata e dotta, tuttavia qui non ce ne occuperemo. Per ragioni di semplice aggiornamento filologico riporteremo pochi elementi antichi e più recenti riguardanti la questione. Le cose antiche conosciute sono che nel 776 a. C. i Greci registravano su pietra i nomi degli olimpionici e brevi versi. Il primo testo esteso scritto in greco sembra siano le "leggi scritte" di Zaleuco a Locri Epizefiri riportate da Strabone, a Zaleuco, come riferisce Eusebio, fiorì nella XXIX Olimpiade, cioè nel 664 a. C. Ma i Greci, quando conobbero e si servirono per la prima volta della scrittura alfabetica? Secondo le più recenti ricerche i Greci, commerciando oltre mare, conobbero e ricevettero la scrittura alfabetica dai Fenici nel porto internazionale di Ugarit (odierna Latakia) già nel secolo XI a. C. Le città ioniche che fin dagli inizi del X secolo avevano sviluppato un esteso commercio marittimo tra Oriente e Occidente in tutto il Mediterraneo e la Crimea, è molto naturale che abbiano accolto anch'esse l'alfabeto. Avendo strette relazioni anche con gli Egiziani che usavano da millenni la scrittura su papiro, non sarebbe lontano dalla realtà che avessero ricevuto anche il papiro tra gli articoli commerciabili dei loro scambi e che avessero importato nella Ionia il papiro per scrittura già dal X secolo. Di conseguenza c'era la, possibilità che i poemi fossero già scritti, anche se non nella loro totalità. Con queste ipotesi viene segnalata una possibilità che il Wolf non ebbe presente. Non desidero prendere particolare posizione tra gli Unitari e i Separatisti, schierandomi semplicemente sulla collocazione dell'antica tradizione secondo la quale entrambi i poemi sono opera del divino Omero.
I poemi della Grecia continentale
Quello che ci interessa, esaminando qui la storia dei poemi nella sua indissolubile unità rispetto alla storia della formazione della lingua greca comune e della sua grammatica, è di seguire lo studio dei poemi nella Grecia continentale e lo studio, con esso connesso, della lingua.
Secondo la tradizione universalmente riconosciuta, testimoniata anche da un passo del discepolo di Platone, Eraclide Pontico, i poemi omerici furono recati dalla Ionia nella Grecia continentale per la prima volta a Sparta. Ciò avvenne a cura del legislatore Licurgo, che aveva invitato gli eredi discendenti da Creofilo, antico poeta epico e aedo, amico ed erede di Omero. A Sparta venivano declamati brani dei poemi, evidentemente di quelli che maggiormente interessavano i re della città, con accompagnamento di cetra, durante le grandi feste, e gli ascoltatori venivano affascinati dagli encomi per il valore degli eroi aviti. È evidente che il dialetto dorico degli ascoltatori dorici spartani era diverso da quello ionico dei poemi; ciò però non presentava nessuna difficoltà per la comprensione.
Da Sparta e poi dalla Ionia i poemi si divulgarono molto presto in tutte le parti della Grecia continentale e insulare, dato che da tutte le parti avevano partecipato combattenti alla spedizione militare panellenica contro Troia e le gesta di tutti trovarono celebrazione nei poemi.
Molto presto i poemi furono cantati anche in Atene da provetti aedi tra i quali veniva ricordato anche il famoso Cineto, contemporaneo di Simonide, che era venuto da Chio ad Atene nel 504 a. C. Quanti e quali brani dei poemi venissero recitati nelle città, secondo la durata delle feste, a guisa degli odierni "Festival", non si sa. Ciò che viene ricordato dagli antichi è che ad Atene Solone (intono al 600 a. C.) migliorò il modo di recitazione dei poemi durante le Panatenaiche. Che significa, tuttavia, "le migliorò"? Il Wolf nei suoi Prolegomena congettura che Solone selezionò quali brani dei poemi e secondo quale ordine dovevano essere recitati durante la festa. In seguito fissò un gruppo di rapsodi i quali, secondo un certo ordine e dietro ricompensa, procedevano alla declamazione recitando ciascuno un determinato brano dei poemi, evidentemente di singoli episodi, riguardo ai quali testimoniano le annotazioni aggiunte dagli Alessandrini. L'interpretazione coglie nel segno. È evidente che sia a Sparta sia ad Atene i poemi venivano recitati non da un manoscritto, ma a memoria, da parte di aedi professionisti che li declamavano. Di conseguenza la loro trasmissione nella Grecia continentale fu orale. Questo costituisce una verità storica, giacché la tradizione è unanime, dal momento che per la prima volta i poemi di Omero, riferiti prima solo oralmente, furono registrati dal tiranno Pisistrato, che morì nel 529 a. C.
Dato dunque che nelle diverse regioni della Grecia, ciascuna delle quali aveva un proprio dialetto, i poemi venivano recitati a memoria, è facile immaginare che cosa sentiva ciascuno degli ascoltatori e che cosa trascriveva l'editore che aveva intenzione di pubblicare i poemi ad uso dei discepoli, che imparavano i versi nelle scuole. Per cui è evidente quanto fossero piene di errori e di false interpretazioni le edizioni dei poemi omerici che circolavano ad uso scolastico. È del tutto naturale che tali errori evidenti fossero in grado di rilevarli gli uomini eruditi e i poeti eccellenti, i quali anche reagirono tentando essi stessi edizioni corrette.
Queste sono le edizioni "personali", come quella dell'epico Antimaco e quella del filosofo Aristotele, quella chiamata "(esemplare) della cassetta" che, secondo la menzione di Strabone, Alessandro portava con sé nelle sue spedizioni militari. Per ragioni di amor proprio e di amore per le muse, in favore dei loro concittadini,, per mezzo di gruppi di uomini eruditi, intrapresero edizioni corrette anche le diverse città da cui derivarono le edizioni "per città", di Chio, di Argo, di Marsiglia, di Cipro e di Creta. Ma poiché l'uso scolastico richiedeva un profluvio di edizioni da parte dei rivenditori di libri in pelle o rotoli di papiro, le edizioni erano numerose nel territorio greco e naturalmente anche scorrette.
Il duplice episodio ricordato da Plutarco, di Alcibiade con i suoi maestri, dà un'immagine della situazione. Avendo chiesto Alcibiade ad un maestro di mostrargli il libro di Omero, con il quale insegnava agli alunni e avendogli quello risposto che non lo aveva, lo schiaffeggiò. Ma quando giunse presso un altro e quello mostrò il libro, aggiungendo che era stato corretto da lui, disse: "Sai correggere Omero e insegni a bambini piccoli e non in scuole superiori?" Ne risulta naturalmente che i poemi circolavano con errori e falsificazioni, al punto che sentivano la necessità della loro correzione non solo le città e gli uomini dotti, ma anche i maestri elementari.
E non è che il testo avesse soltanto errori e deformazioni, ma aveva anche più versi di quanti ne hanno le edizioni odierne. Di fatto ci sono versi omerici riportati da antichi scrittori, per es. da Platone, Aristotele, Strabone, che non risultano nel testo odierni. Probabilmente furono espunti nel corso dei secoli dalle diverse edizioni, da uomini eruditi che insieme al lavoro critico della espunzione e del ripristino dell'autentica forma dei poemi, esaminavano anche la lingua del testo e le sue regole e la conseguenza logica degli episodi e degli intendimenti del poeta.
Cura per l'emendamento dei poemi
La prima preoccupazione per eliminare dai poemi errori, deformazioni e falsificazioni - non dimentichiamo che i poemi rappresentavano il libro di lettura per eccellenza, come un Vangelo per gli antichi Greci - fu manifestata dai Sofisti che erano confluiti dalle diverse regioni della Grecia nell'Atene del V secolo. I Sofisti, portatori di nuove progressive e riformatrici norme nell'investigazione sulla vita, videro il disordine del testo omerico e con l'aiuto del testo di Pisistrato si dedicarono alla sua correzione. In questo tentativo si impegnarono nella ricerca delle forme stilistiche, nella spiegazione delle parole e della loro posizione nel discorso; i Sofisti, cioè, posero per primi la pietra fondamentale della grammatica. In altre parole, esaminando con deduzione filosofica la posizione e la funzione della parola nel discorso e le regole dominanti, riuscirono a rintracciare le categorie grammaticali del discorso.
La deformazione sopra ricordata dei poemi, risulta dalle diversità dialettali nelle varie regioni della Grecia, dove la loro trasmissione "orale" alimentava la tensione centrifuga dell'espressione del popolo. Per le variazioni e le deformazioni del discorso omerico, cioè, la ragione principale fu l'orecchio. Tuttavia parecchie deformazioni e fraintendimenti derivano anche dalla scrittura, ciò dalle trascrizioni.
Le alterazioni della scrittura dei poemi
La scrittura fu una conquista alla quale concorsero molte stirpi umane attraverso molti secoli e subì molte fasi evolutive. La tradizione, il cui araldo è Erodoto, riporta Cadmo come primo ad aver recato in Grecia le lettere "fenicie", cioè la scrittura alfabetica. Il modo in cui si esprime Erodoto è degno di nota: "col passare del tempo, insieme con la pronuncia apportarono mutamenti anche nella forma dei caratteri". E più avanti aggiunge: "E abitavano intorno ad essi in quel tempo per lo più Ioni, i quali, avendo adottato l'alfabeto dei Fenici, che lo avevano insegnato loro, se ne servirono modificandolo in poco, ma dichiarando... che esso si chiamava fenicio". Dato che la tradizione antica riporta, oltre Cadmo, anche Palamede, che lo aveva completato con altre tre o quattro lettere, e che a quello, nel VI e V secolo a. C. furono aggiunte anche altre da Simonide di Ceo e da Epicarmo, e che alla fine queste ammontarono alla raccolta conosciuta dei ventiquattro elementi dell'alfabeto ionico di Callistrato di Samo - ciò che viene confermato anche dagli storici Eforo, Teopompo e Androne - allora si capisce a che cosa alluda la testimonianza di Erodoto. Significa cioè che un alfabeto incompiuto, consistente solo di consonanti, ricevettero prima del 1000 a. C. i Greci di Tebe per mezzo di Cadmo, e poi gli Ioni dai Fenici di Ugarit, e "col passare del tempo" svilupparono il lungo procedimento del suo completamento per mezzo di nuovi suoni particolari della parlata greca e della trasformazione di alcuni di essi in vocali. Di quelli eliminati, alcuni furono conservati per il sistema numerico, vale a dire la sesta lettera "digamma" col valore di sei, la diciottesima lettera "sampi" col valore di 900, e la diciannovesima lettera "koppa" col valore di 90. Fu anche eliminata la consonante aspirata "H" (non la "ita" inventata posteriormente), conservata in parte simbolicamente, tuttavia i Greci furono costretti a ristabilirla durante il periodo alessandrino come "spirito aspro", perché indispensabile per la comprensione dei testi e per la formazione delle parole composte. Le lettere eliminate rimasero vive a lungo come testimoniano le epigrafi dialettali. Parimenti con il tempo si svilupparono l'"omega" e l'"ou", i dittonghi e le consonanti doppie. Dalla breve storia della scrittura greca si evidenzia per prima cosa la continua ricerca di perfezionamento della scrittura, affinché potessero essere formulati con maggior precisione i pensieri umani - e cioè costituisce un tentativo istintivo del popolo pensante - e in secondo luogo, che i poemi omerici circolanti in tutta la Grecia costituivano un pericolo di alterazione della loro scrittura e trascrizione in vari tipi di dialetti e alfabeti mutevoli. Ciò che vale la pena di notare qui è che l'alfabeto greco completo, perfezionato da questo procedimento mediante le vocali, viene considerato una creazione geniale e molto apprezzabile per l'umanità perché l'alfabeto greco può essere utilizzato da ogni uomo, mentre quelli prima di esso, consonantici e altri tipi, potevano essere letti soltanto da sacerdoti e scrivani regi, perché essi soltanto sapevano come le consonanti ogni volta venivano completate per mezzo di una vocale. L'alfabeto greco, divenuto modello degli alfabeti del mondo occidentale, divenne organo di libera trasmissione di idee tra tutti i popoli. Da quanto sopra esposto, è chiaro che dagli errori precedenti, sua quello derivante dalla loro trasmissione sia quello derivato dalla scrittura e dalle continue variazioni di luogo e dalle differenze a seconda dei tempi, i poemi omerici, portati nella Grecia continentale e insulare dalla Ionia a voce e in seguito trascritti, avevano subito cambiamenti e deformazioni e falsificazioni, fatto che provocò la necessità di una loro correzione, perché venissero riportati alla loro autentica forma omerica.
Le difficoltà di comprensione dei poemi derivate dal passare del tempo
Con la storia dei poemi omerici, che va di pari passo con la storia della formazione della lingua greca unitaria, dato che i poemi, come libro comune dei Greci, esercitarono una forza centripeta (come la gravitazione terrestre) sulle differenze dialettali delle diverse regioni dell'Ellenismo, ognuno comprende che la creazione di una lingua è una faccenda di generazioni, di pazienza, di autonoma evoluzione, di educazione e di tempo biologico di secoli. Si noti ancora che a produrre la formazione sia dei poemi sia della lingua dei Greci non sono soltanto gli elementi esposti. Restano ancora da enumerare anche gli effetti degli ostacoli della lettura, dell'interpretazione e della comprensione dei poemi, perché col passare del tempo mutano sia le conoscenze sia i giudizi delle persone, ma anche i significati delle parole, e questo cambiamento è talvolta impetuoso
Incominciamo dunque con la compr3ensione dei poemi. È naturale che durante le prime generazioni della, loro declamazione, i poemi fossero per il popolo che ascoltava, intelligibili di per se stessi, chiari, comprensibili, particolarmente nella Ionia. Dopo alcune generazioni tuttavia, nel Ponto, a Cipro, a Creta, a Marsiglia, nelle colonie in Italia, in Sicilia, nel Mediterraneo, a Sparta, ad Argo, ad Atene e nelle altre parti della Grecia, è evidente che parecchie espressioni dei poemi e forme linguistiche creavano difficoltà agli ascoltatori e agli allievi che li imparavano. Quando si estinsero gli aedi, che erano anche i più autentici interpreti dei poemi, tennero dietro i filosofi, alcuni rispettosi del poeta, come Teagene di Reggio, Anassagora di Clazomene, Metodoro di Lampsaco, Stesimbroto di Taso e altri, alcuni altri invece chiaramente suoi censori per falsità sulle cose divine e ateismo, come Pitagora, Senofane, Eraclito e altri.
I critici dei tempi più recenti osservando questi giudizi contrastanti li attribuiscono alla natura particolare della libertà di pensiero dei Greci, che non esitavano a criticare il sacro e augusto poeta della loro regione quando cozzava con gli onesti costumi e con le convinzioni popolari riguardanti l'etica, mentre ancora nell'epoca contemporanea filosofi, politici, sociologi non osano criticare dogmi social-politici neppure quando il tempo ha di fatto dimostrato che sono sbagliati.
Questa è la differenza tra i pensatori greci di allora e quelli di oggi, stranieri e in parte anche greci. Questo in generale; c'erano tuttavia innumerevoli altre difficoltà di ogni genere per la comprensione del testo. Alcune derivavano da certe espressioni oscure e ambigue, le quali non permettevano di capire cosa significassero. In questi casi molti davano interpretazioni allegoriche. In tutti i secoli veniva perseguita l'interpretazione allegorica e in particolare si servirono di essa gli esegeti cristiani.
Nei tempi successivi a Pisistrato veniva perseguita principalmente la scoperta della tecnica compositiva del poeta. Subito tuttavia si capì che di quest'opera bisognava preliminarmente eliminare le oscurità e i dubbi lessicali, previa la ricerca dei veri segni delle parole e del significato effettivo di esse. Poiché i segni differivano nelle diverse edizioni locali, si cercò, mediante il confronto, di determinare la precisa forma omerica di ciascun caso, numero, genere, persona, la forma delle terminazioni ecc., come anche l'analoga forma della lingua attica comune. Ciò, come è stato precedentemente detto, fecero per primi i Sofisti i quali si misero anche a gettare le basi della grammatica.
La grammatica della lingua omerica, ellenica e di ogni lingua umana
Gettarono dunque le fondamenta della grammatica per la prima volta nel mondo, in occasione dell'interpretazione dei poemi omerici - il libro didattico dei Greci - i Sofisti, i quali accorsero in folla alla fiorente Atene del V sec. a. C. da tutte le regioni dell'Ellenismo mediterraneo e contribuirono allo sviluppo del pensiero e dell'istruzione.
Scoprirono cioè le prime categorie grammaticali dell'uso del discorso, le sue parti, i sostantivi, gli aggettivi ecc. Essi posero il problema e il principio della formazione dell'"arte grammaticale"; ma il suo completamento doveva essere continuato dai filosofi, particolarmente dagli Stoici, e principalmente da Crisippo, per quattro secoli consecutivi, mediante un'indagine intensiva in astrazione filosofica fino a quando fu formulato finalmente in un manuale, nel 100 a. C., da Dionisio Trace discepolo di Aristarco. E questo splendido manuale, accolto dai Romani, fu divulgato tra gli Europei e gli altri popoli del mondo ad eccezione dei Cinesi e Giapponesi (prof. Norden) e si trova fino ad oggi universalmente utilizzato.
La grammatica era allora una scienza elevata che non aveva nulla a che fare con il suo degradato significato posteriore, e venivano chiamati grammatici gli uomini di altissima profonda cultura, i quali, sulla base anche delle regole grammaticali acquistarono la capacità di giudicare la forma grammaticalmente esatta del testo, di interpretare rigorosamente i testi e di essi esercitare la critica, la valutazione logica, espositiva e soprattutto estetica e poetica, cosa che viene considerata anche il compito finale e precipuo del grammatico.
La grammatica che conosciamo oggi - quello cioè che conosciamo è una figura del discorso, dato che la disprezziamo nel nostro odierno barbaro ragionamento - era perfettamente conosciuta da Omero, Platone e Demostene. E tuttavia scriveva Orazio, Omero non conosceva neppure le lettere che conteneva la borsa di uno scolaro elementare della scuola romana.
Il grande evento della civilizzazione
La fondazione del Museo di Alessandria.
L'azione della grammatica e dei grammatici fu il fondamento dello sviluppo della scienza filologica la quale, come le altre scienze, medicina, fisica, astronomia, meccanica, farmacologia ecc., fu fondata ad Alessandria verso la fine del IV secolo a. C. L'istituzione delle scienze, il momento di questa benedizione non solo per la Grecia ma per tutta l'umanità, ha la sua occasione esteriore in una curiosa circostanza che vale la pena riportare, come caratteristica dell'organizzazione a fratrie dei Greci fin dall'antichtà.
Quando nel 306 a. C. fu scacciato da Atene il re della Macedonia e della Grecia Cassandro ad opera di Antigono, Demetrio Falereo, fino ad allora per dieci anni ottimo governatore di Atene, che aveva condotto la città a una floridezza economica e una buona legislazione politica, il suo terzo legislatore, al quale gli Ateniesi, essendo riconoscenti, avevano eretto 365 statue, fu posto sotto accusa dai suoi concittadini avversari politici e si rifugiò ad Alessandria. Educato come Demetrio il Giovane nell'Università di Aristotele e discepolo di Teofrasto, conoscitore dell'organizzazione scientifica del Liceo, convinse il re Tolomeo I, che disponeva di copiose ricchezze della felice regione egiziana, a costituire Alessandria come centro delle scienze e delle arti e punto d'incontro dei più famosi poeti e filosofi, come erano soliti gli antichi re e tiranni di Siracusa, di Samo, di Pella ecc. Così fu fondato il Museo - come nella nuovissima America furono istituite le fondazioni Carnegie, Dumberton ecc., dove invitarono tutti gli artisti, poeti e scienziati di qualità, li stipendiarono riccamente, assicurarono loro abitazioni e vitto e posero a loro disposizione una biblioteca ricchissima, laboratori di ricerca scientifica e mezzi di studio. Con la rapida affermazione del Museo, che d'altronde coincise anche con ogni tipo di emigrazione in massa dei Greci da tutte le regioni greche del Mediterraneo verso i ricchi stati dei Diadochi (allorquando in Oriente sorsero Alessandria, Seleucia, Antigonia, città di smisurata estensione) il centro culturale dell'Ellade si spostò da Atene in Alessandria e dalle città del continente alle città dell'Asia Minore, della Siria, Palestina, Egitto, Dodecanneso.
Da allora in poi gli scrittori si estinsero quasi completamente nella Grecia continentale, mentre spiritualmente fioriscono nelle regioni d'Oriente illustri scrittori greci ed ellenizzanti dalle regioni orientali in modo determinato e per lunghi secoli. Il Museo, suscitato e organizzato da Demetrio Falereo e sovvenzionandola Tolomeo, divenne una Università dove furono istituite tutte le scienze, restò famosa fino alla conquista araba di Alessandria nel 640 d. C. e servì come prototipo di centri simili nell'antichità e si osserva da parte dei ricercatori più recenti che fu prototipo anche per le accademie e le università dell'Occidente durante il medioevo.
Creazione della scienza filologica
Seguiamo in particolare lo sviluppo della filologia, quella collegata con la ricerca dell'emendamento dei poemi e dello sviluppo della grammatica. Quest'opera fu facilitata molto dalla raccolta di innumerevoli edizioni omeriche, di quelle "per le città", di quelle individuali e di un'intera serie di quelle "per le navi", le quali, provenendo da diversi porti, vendevano come antichità ambulanti nel porto di Alessandria vecchie edizioni dei poemi e altri libri di famosi scrittori. La Biblioteca di accrebbe straordinariamente e furono create anche sezioni staccate di essa. Per primi furono a capo della Biblioteca Callimaco di Cirene e Teocrito di Siracusa, grandi poeti essi stessi. Seguirono Zenodoto, Aristofane di Bisanzio, Aristarco e successivamente una serie di illustri grammatici. Caratteristico della cura nel raccogliere tutte le fonti per il ristabilimento del testo omerico è il modo con cui fu acquisito il testo ufficiale della città di Atene. Esso fu chiesto per la trascrizione, ma gli Ateniesi, per prestarlo, chiesero una esorbitante quantità d'oro come garanzia di restituzione del manoscritto ufficiale della città. Gli Alessandrini diedero la cauzione, copiarono il testo e inviarono una copia fedele agli Ateniesi, mantenendo il testo originale e lasciando ad essi la soddisfazione del sequestro della cauzione.
Ora sulla base delle innumerevoli edizioni raccolte dei poemi, gli Alessandrini cominciarono il lavoro di ripristino dell'autentico testo omerico mediante l'opera dei più autentici filologi-grammatici dell'epoca, che continuò per due secoli e più. Le informazioni riguardo ai più antichi grammatici, alle correzioni, ai loro giudizi, all'attività e al contributo degli antichi critici, le attingiamo da due libri di antichi scoli dell'Iliade, che costituiscono evidentemente il compendio di un lavoro più dettagliato. Si tratta dei cosiddetti manoscritti veneziani che scoprì per primo Villoison. Questi eccellenti scoli illuminarono molti scritti e svelarono i criteri degli antichi grammatici dai quali formarono la loro norma di giudizio Cicerone, Orazio, Virgilio e gli antichi critici d'arte. In questi scoli si distinguono i progetti degli Alessandrini per l'espressione, per la punteggiatura, accettazione ecc. Si noti che prima che ci fosse la spiegazione del testo dei poemi da parte della critica filologica dei grammatici alessandrini, tutti gli antichi testi epici del cosiddetto Ciclo, la Batracomia, gli Inni omerici e in generale tutto, veniva attribuito a Omero. Tuttavia, fondamentalmente come opere omeriche autentiche furono giudicate soltanto l'Iliade e l'Odissea.
I critici dei poemi ad Alessandria
Il primo saggio della critica sistematica ed edizione filologica del testo dei poemi con osservazioni proviene da Aristotele, come risulta dagli scoli veneti. E pare che avesse introdotto nello spirito di questo esame e comprensione del testo anche il suo allievo Alessandro Magno il quale, viene riferito, intraprese dopo la sua visita a Troia la composizione di certe osservazioni, che aggiunse al libro da lui posseduto della edizione "della cassetta". Tuttavia commenti grammaticali e critici sorgevano in genere dappertutto "a causa dell'uso panellenico dei poemi" e concernevano le difficoltà di ogni tipo di comprensione. Così viene riferito di un certo Escrione che si occupò a vita della spiegazione dell'accettazione delle parole più sconosciute. Questo dimostra quanto fossero necessari gli accenti nella lingua greca, la mancanza dei quali causava dubbi e difficoltà nell'insegnamento. Degno di nota veniva considerato il più generale contributo per la comprensione dei poemi nella loro esatta forma da parte del poeta epico Fileta, maestro del grammatico Zenodoto, secondo la testimonianza di Porfirio e Eustazio. Molto veniva stimato anche l'apporto di di Arato, che aveva edito l'Odissea e aveva introdotto parecchie migliorie nell'Iliade. Importanti dovevano essere anche le osservazioni d'ogni genere del grande e sapiente universale di Alessandria Eratostene, del quale è conosciuto da Strabone il mordace giudizio per le peripezie di Ulisse sul mare, che i più indagarono con pignoleria scolastica. Disse Eratostene che apprenderemo quanto a lungo errò Ulisse a causa dei venti solo quando rintracceremo il calzolaio che aveva cucito l'otre datagli da Eolo. L'ironia offese quelli che prendevano i poemi come se fossero un racconto accurato dal punto di vista geografico, come un vangelo della verità, tra i quali anche Strabone, il quale reagì in modo stizzoso. Molto venivano stimati anche gli emendamenti degli apprezzati poeti epici e dotti Riano di Creta e Apollonio Rodio.
Tuttavia il più notevole contributo, o meglio intervento, lo tentò Zenodoto di Efeso, che inaugurò la cosiddetta terza epoca della questione dei poemi, con audaci interventi critici e miglioramenti. Dall'epoca di Zenodoto inizia uno spirito nuovo di indagare e di impegno critico. Durante questo periodo sorsero centinaia di grammatici e di critici in Alessandria e a Pergamo, i quali con la indagine precisa della lingua e delle sue norme, ricercarono le regole per l'esatta forma dei poemi. Ora l'indagine cambia carattere. Prima la ricerca dei poemi si basava sull'attitudine interpretativa di riconosciute persone, poeti, filosofi e retori. Ora le ricerche della forma dei poemi si basano sulle Scuole dei Musei, le quali indagarono sistematicamente la lingua, le sue norme e il suo uso; essa presentava una grande quantità di eccezioni che i grammatici dovevano riunire, classificare e motivare. E questa indagine non si svolse solo in Alessandria, ma anche nel Museo di Pergamo e di altre grandi città greche. E certamente si svilupparono anche contrapposizioni di metodi e di indagine. Il complesso dei filologi di questo periodo ammonta a 600, dei quali 250 vengono ricordati negli scoli veneti. Tra i più famosi interpreti vengono anche menzionati Eraclide Pontico, Camaleone di Megacle e Sosibio di Sparta.
Per i femministi segnaliamo che tra i grammatici c'erano anche delle donne, delle quali la più famosa fu Demò. Nonostante il difetto di testimonianze contenute negli scoli, sappiamo che molti di questi grammatici si erano specializzati mediante la continua ed esclusiva occupazione su campi particolari della loro indagine in punti isolati della poesia omerica. Così il Neotele si dice che si occupò per tutta la vita dell'arte di scagliare dardi degli eroi omerici; aveva indagato tutte quelle cose che riguardano i poemi in relazione ai villaggi e registrò tutti i generi di questo studio.
La constatazione della necessità di scoprire lo spirito tenue e apro
Un altro grammatico, Leptine, divenne famoso perché per primo accertò per iscritto il danno che deriva dalla retta comprensione dei testi scritti quando si tralascia di segnare graficamente il simbolo dello spirito tenue o aspro della parola. Egli fece consapevolmente lo sbaglio presentando l'esempio del verso dell'Iliade XXIII, 731 "ENDEGONOU GNAMYEN" (gli si piegò solo un ginocchio) e dimostrò che era necessario l'aggiunta del segno che indicasse che "EN" qui ha lo spirito tenue, dal momento che è preposizione e non numerale, quando bisognava che fosse accettato uno spirito aspro. Da questa scoperta di Leptine, i grammatici posteriori furono portati a sancire l'uso dello spirito aspro e dello spirito tenue. Si consideri quanto anche oggi ci occorrano gli spiriti quando, per esempio, si tratta di formare un composto con una parola aspirata nelle elisioni delle lettere. Ecco alcuni esempi: kaq uma" (secondo voi), anq hmwn (in nostra vece), af eautou (da lui stesso), kaqhkontw" (in modo conveniente).
Notevole fu il lavoro scientifico di Nicanoro il quale, nella sua opera Sul punto, stabilì che bisognava separare il discorso in periodi, proposizioni, in membri di un periodo ecc., e con quali segni di punteggiatura devono essere indicati nel discorso scritto.
Si riferiscono nominativamente agli scoli una moltitudine di altri eruditi che hanno presentato delucidazioni di dubbi, analisi, osservazioni di esposizione minuta, spiegazioni, commenti di ogni tipo, raccolte di glosse, cioè di interpretazioni di antichi sinonimi, elaborazione di glossari, nominali e lessici. Saggi di diverse opere interpretative di simile genere di minore importanza incontriamo anche nei brani di papiro salvati che provengono da pagine di quaderni di scolari. Là appare anche il metodo di lavoro dei maestri di allora.
Tuttavia dalla precedente esposizione risulta chiaro che, perché si formasse un organo di più alla spiritualità, la lingua greca, che divenne anche il modello per la formazione delle lingue del cosiddetto mondo occidentale, ebbe bisogno per lunghi secoli di un lavoro filosofico e filologico di eccellenti uomini stimati e grandissimi, dei Grammatici, i quali spesso erano contemporaneamente essi stessi poeti o filosofi o retori. E grammatici, come è già stato detto precedentemente, non significava un individuo impegnato in aridi generi di forma della parola che cambiava nel discorso, ma che legava la parola con il significato, il critico, l'interprete, il giudice del valore logico, poetico ed estetico dei testi, il critico d'arte.
Cioè il contributo scientifico dei grammatici al miglioramento dei poemi e in generale della lingua e il suo contenimento in una determinata cornice scritta dai migliori poeti e scrittori, sono chiari da quanto esposto. Tuttavia questo intervento dei poeti-grammatici dotati, fu sotto un certo aspetto di deliberata scelta, secondo l'opinione comune, e furono accolte non tutte le proposte di miglioramento, ma soltanto quelle che venivano giudicate come giuste e che miglioravano il testo.
Pertanto anche dei miglioramenti, accolti dall'opinione comune, della lingua del libro didattico dei Greci, l'approvazione non fu unanime. Ecco un esempio. Al degno poeta alessandrino e valente critico Arato, l'editore dell'Odissea, avendo chiesto al filosofo pirronico Timone come avrebbe acquisito con certezza la poesia di Omero, fu risposto: "se mi imbattessi negli antichi manoscritti e non in quelli già corretti". Timone, cioè, accettava come buone le anomalie degli antichi manoscritti.
I poemi, i dialetti e il greco comune
Parliamo dei poemi come di un libro scolastico unitario di tutti i Greci, e ciò è vero. Tuttavia i Greci che lo adottavano nelle loro scuole, della Sicilia, di Marsiglia, di Cirene, dell'Egitto, della Crimea, della Macedonia, dell'Acarnania, dei Tessali, dei Beoti, degli Ateniesi, degli Argivi, degli Eliei, degli Spartani, dei popoli ellenofoni dell'Asia Minore, della Siria, della Palestina, dell'Arabia, della Mesopotamia, tutti questi avevano e usavano contemporaneamente nella loro vita anche i propri dialetti, parallelamente. È degno di nota il fatto che il discorso dialettale delle province greche era minacciato notevolmente dalla lettura, da parte dei giovani e dallo studio dei poemi da parte degli adulti in frequenti occasioni. Questa minaccia è abbastanza considerevole, e di questo fanno testimonianza le epigrafi dialettali posteriori nelle quali si distingue una tendenza di appianamento di molti caratteri in direzione della koinè. Questa fondamentale condiscendenza era un elemento coadiuvante per il completo abbandono del discorso dialettale al tempo dell'affermazione del cristianesimo, una nuova forza mirabile, di cui era portatrice la lingua comune di tutti i greci e degli ellenizzati.
Perché venga meglio compresa la questione del libro nazionale dei greci e della lingua, bisogna che esso venga riferito al più generale quadro politico, economico, commerciale e culturale dell'epoca.
Con Alessandro, i Diadochi e gli Epigoni si verificò un enorme cambiamento. Non si sono più città-stato indipendenti dei greci da un lato e stati stranieri dall'altro. Ora tutto il territorio intorno al Mediterraneo (eccetto la metà peninsulare nordica dell'Italia) il territorio delle coste del Ponto Eusino e dell'Asia fino al fiume Indo, e tutta l'Arabia e l'Africa del nord costituiscono il grande stato dei Macedoni. Una nova moneta comune a tutti i popoli, un'apertura di tutte le strade terrestri e delle rotte marittime, abolizione dei passaporti attraverso tutto il territorio, costruzione di nuove megalopoli in Asia Minore, Mesopotamia, Siria, Egitto e costruzione di 80 Alessandrie, di moltissime Seleucie, Antiochie, Apamee, Tolomee e di un gran numero di altre nuove città con carattere ellenico da parte di emigranti occidentali in Oriente da tutto lo sterile territorio greco. Il mondo si ellenizza, le numerose città greche si distinguono dalle altre perché hanno imprescindibilmente un ginnasio e un teatro. Tutta la gente in questo territorio per apparire istruita impara il greco. Anche gli ebrei, anche i romani. Come gli Indiani oggi hanno le loro lingue locali, ma come ufficiale imparano e usano l'inglese, così anche i popoli del vicino Oriente ne frequentano le scuole e imparano il greco. Ma quale greco? Naturalmente il greco dei conquistatori macedoni. E i Macedoni, come sappiamo dalle epigrafi, avevano una lingua nazionale il dialetto attico. E poiché l'attico macedonico fu usato come mezzo comune di intensa di tutti i Greci, di tutti i popoli della comunità ecumenica del Mediterraneo e degli Asiatici e Africani ellenizzati (la cui lingua greca fu imposta necessariamente più tardi dalla religione cristiana grecofona), perciò fu chiamata koinè e non attica, giacché veniva adoperata parallelamente dai popoli sia la lingua dialettale sia quella propria nazionale. Il mondo limitato delle città-stato continentali, il mondo elladico, con i ricordi delle comuni lotte gloriose e delle inconciliabili discordie, resta ora chiuso in se stesso e quasi tace dal punto di vista degli autori, parente povero del nuovo mondo creato dai Macedoni con nuovo sangue, cioè le nuove città greche dell'Asia Minore, Mesopotamia, Siria , Palestina, Arabia, Egitto e Cirenaica, insieme con le più antiche città greche del Mediterraneo, del Ponto Eusino. Un nuovo termine definisce il mondo di quest'epoca, Hellenismus, che solo per il nome ha attinenza con il diverso significato che ha oggi per noi Neogreci questa parola. Foggiò questo termine il Droysen, basandosi sulla frase degli Atti degli Apostoli, 6, 1: "accade che i credenti di lingua greca si lamentarono di quelli che parlavano ebraico perché le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana dei viveri".
In questo nuovo, palpitante mondo ellenistico tutti gli scienziati degni di considerazione, filosofi, grammatici, astronomi, geografi, matematici, ingegneri e filologi, giunsero quasi esclusivamente dal territorio fuori della Grecia continentale. Tutti questi importanti scrittori e artisti si esprimono nella lingua koinè, da tutti capita e sostenuta in parte dalla scuola, a scanso di un esagerato suo cambiamento.
Impercettibilmente anche gli antichi dialetti furono attratti dalla koinè, come dimostrano le epigrafi, e col passare del tempo continuamente e sempre maggiormente si avvicinarono ad essa, fino a quando, dopo l'introduzione del linguaggio cristiano, l'originario dialetto fu gradualmente abbandonato in tutto il territorio greco.
Formazione della poesia e della grammatica
I Grandi filologi di Alessandria. Zenodoto.
Dopo questa digressione che era necessaria per portarci al clima politico, spirituale e linguistico del pensiero ellenistico, torniamo alla fase critica per la unificazione della lingua delle stirpi elleniche. E il tentativo della formazione delle regole della lingua comune unitaria e della sua grammatica avvenne ad opera di eccellenti e dotati grammatici, che concentrarono i loro lavori sul testo dei poemi omerici e la correlazione dei generi della loro lingua con quelli della koinè attica. L'opera dei grammatici alessandrini è grande e il loro esito ammirevole, perciò deve essere esposto particolareggiatamente. In questa fase culturale, intorno al 200 a. C., con la fioritura dei Musei incomincia una nuova fase di ricerca scientifica e di analisi metodica e di cultura del discorso. Nella ricerca della lingua dell'arte e soprattutto dei poemi dimostra un forte carattere filologico Zenodoto di Efeso, discepolo di Fileta. Zenodoto era egli stesso poeta epico e viene riportato nel libro degli scoli come correttore delle edizioni di Euripide e di moltissimi poeti. Era a capo della Biblioteca e in base al gran numero delle edizioni omeriche lì raccolte, tentò una edizione critica dei poemi. Zenodoto intervenne con molto coraggio, che viene considerato da alcuni come geniale, da altri invece viene giudicato arbitrario. Espunse come spuri o intercalari molti versi, forse imitando anche precedenti esempi. I filologi diffidano delle espunzioni o delle trasposizioni. Ai nostri tempi fece delle espunzioni o trasposizioni di tipo simile Victor Bérard nell'Odissea, edizione Budé, Parigi 1924, non incontrando favorevole accoglienza. Zenodoto espunse certi versi, altri traspose e altri restrinse, e apportò circa 400 correzioni. Alla sua epoca l'elaborazione della lingua aveva fatto progressi, ma non era stata ancora costituita in un completo sistema di regole grammaticali e di eccezioni sulla base del discorso dei più autentici poeti, scrittori epici, drammatici, storici ecc. di un unico lavoro, che attuarono inseguito oltre 600 grammatici attraverso continue e accorte indagini e composizioni. L'opera di Zenodoto è mirabile anche sotto questo aspetto, perché egli, basandosi anche su precedenti lavori di regolamentazione linguistica di più antichi filosofi, si diede da fare per raccogliere le regole e le norme dell'espressione, che oggi, sistemate definitivamente, riconosciamo tutti, istruiti e non istruiti, e anzi abbiamo anche la presunzione che stia in noi di formulare nuove regole e una nuova grammatica.
Aristofane di Bisanzio
Il lavoro dell'emendamento del testo di Omero e dell'indagine sulla lingua fu portato avanti dall'allievo di Zenodoto, Aristofane di Bisanzio. Egli fiorì sotto Tolomeo Filopatore, che era egli stesso uno studioso di Omero, secondo la testimonianza di Eliano. E approfittando dell'occasione, si noti che fin dall'inizio i Tolomei erano amanti delle Muse, avendo come commensali e come ospiti personali i sapienti riconosciuti del Museo, seguendo in ciò l'antica tradizione dell'amore per le Muse dei tiranni e re ellenici. Aristofane, come anche i grandi sapienti prima di lui, Callimaco, Eratostene, fu conoscitore tra i più perfetti di tutta l'arte ellenica e aveva un raffinato gusto, secondo la testimonianza di Cicerone e di Varrone, Aristofane è il primo fondatore della scuola di grammatica (filologia), mentre prima c'erano solo scuole retoriche e filosofiche. Dalla scuola di Aristofane sorsero i suoi esimi discepoli Agallia di Corfù, Diodoro, Callistrato e l'insuperabile Aristarco. Aristofane aveva annotato non solo i poemi, ai quali apportò circa 200 correzioni, espungendo con difficoltà antiche grafie, ma aveva scritto interpretazioni, scoli, valutazioni anche sulle opere di esimi scrittori, di Esiodo, Alceo, Pindaro, Platone, Sofocle, Euripide, Aristofane, secondo la testimonianza di Ateneo (VI, 241, F). Avendo nella sua mentre tutta la letteratura ellenica e tutti i generi e gli usi della lingua, era in grado in ogni lettura di distinguere che cosa fosse esatto e autentico e che cosa errato, intruso, contraddittorio nell'uso del discorso di ciascuno scrittore o interpolato da altra opera.
Egli principalmente sottolineò la necessità e l'importanza della punteggiatura e dei segni dell'accentazione, ed egli inventò per primo gli accenti. Da queste scoperte fu facilitata in massimo grado la lettura e la comprensione dei poemi e degli altri scritti. Questa scoperta fu importante come, per fare un esempio, quella della macchina a vapore, e facilitò l'istruzione, a prescindere dal fatto che oggi questa geniale scoperta, ammesso che la adoperiamo, ci si è ridotti a considerarla come data fin dall'origine da Dio e viene, perciò, giudicata come superflua, pesante e abrogabile. Gli antichi filologi del XVII secolo K. Schoppe e Scaliger restano meravigliati per il magistrale modellamento, da parte di questi alessandrini, della lingua e della sua grammatica, quanto condannano l'incompleta formazione e il non scientifico tentativo delle vecchie grammatiche, di quella latina l'uno, di quella ebraica l'altro. D'altra parte dimostrò la perfezione della sua elaborazione e della sua esemplarità la grammatica greca degli alessandrini, dal momento che fu accolta incondizionatamente dai romani e fu utilizzata immutata e con i suoi termini (singolare, plurale, parti del discorso, nominativo, genitivo, presente, imperfetto ecc.) da tutti i popoli della terra. Nella grammatica della lingua greca insuperabile rimase il contributo del grande grammatico Aristofane di Bisanzio, i cui emendamenti contribuirono alla formazione del testo definitivo dei poemi del cosiddetto Vulgata.
Aristarco di Samotracia
Allievo e successore di Aristofane fu Aristarco di Samotracia, celebre per la dottrina, che fiorì sotto Tolomeo Filopatore (155 a. C.). Il prestigio di questo dotto drammatico fu inconcepibilmente grande nell'ambito non solo della filologia, ma anche di tutte le scienze sia presso i Greci che presso i Romani. I suoi allievi lo veneravano come un dio, come altre volte era accaduto a Pitagora, e da due scoli dell'Iliade risulta che essi dichiararono di preferire di sbagliare con Aristarco piuttosto che scoprire la verità con altri grammatici. Tutti gli uomini istruiti di quell'epoca collegavano l'insegnamento della letteratura e la nascita delle opere poetiche (come anche l'arte della comprensione e la critica delle opere poetiche) con il nome di Aristarco, che era divenuto il più famoso di tutti i grammatici alessandrini. Secondo la tradizione, portavoce della quale fu il Suda, Aristarco aveva scritto più di 800 opere che si riferivano principalmente ad analisi grammaticali e critiche e a scoli interpretativi sui diversi scrittori e poeti. Secondo la testimonianza di Porfirio (ad Orat. ep. II, I, 257), Aristarco, essendogli stato chiesto perché dal momento che faceva un così grande lavoro critico riguardo ad Omero, non scrivesse egli stesso dei poemi, rispose: "Quando voglio non posso e quando posso non voglio".
Principio fondamentale nel suo lavoro sul ristabilimento dell'autentico testo omerico era quello dell'analogia, in antitesi col principio dell'anomalia che era seguito dalla scuola grammaticale di Pergamo sotto il suo rivale Cratete di Mallo. Oltre ai suoi scoli interpretativi perduti e analisi dei poeti e scrittori del periodo preclassico e classico, Aristarco scrisse in particolare scoli dettagliati sui poeti lirici e comici. Si noti che la poesia drammatica fu giudicata come diretto risultato dei poemi omerici, nel senso che Omero racconta le azioni e i discorsi dei personaggi famosi, mentre i poeti drammatici presentano i medesimi personaggi mitici che rappresentano se stessi, i loro discorsi e le loro azioni (che agiscono e non mediante messaggero). Il contributo di Aristarco per la formazione e la consacrazione del testo uniforme che allora si era affermato, secondo gli scoli veneti, fu superiore a tutti gli altri, con numerosissimi emendamenti. I latini consideravano Aristarco uno che giudicava con sicurezza i versi non omerici del testo, e il Wolf espresse l'opinione che Aristarco migliorò i versi che erano riportati in modo incompleto o in modo anomalo nelle edizioni, così che sono concordi con i versi omerici canonici.
Come corifeo dei grammatici, avendo nella mente il quadro completo della letteratura antica,, vedeva attraverso la loro espressione le idee delle opere e il loro valore letterario e si rendeva conto delle adulterazioni derivate da aggiunte o variazioni oppure dell'autenticità del discorso, faceva risaltare le trovate letterarie artistiche e segnalava le mancanze e i punti deboli del discorso, perché i lettori imparassero quali, tra le cose scritte, fossero degne d'imitazione e quali fossero contrarie alle regole dello stile. Aristarco dimostrò ciò che afferma Longino, che "la critica dei testi è il risultato finale di una indagine dai molteplici aspetti". I critici greci di Alessandria e con essi quelli latini (Cicerone, Varrone) erano "giudici degli scrittori", valutando la loro lingua e regolandola con la lampada splendente dell'arte poetica. E quei critici erano abili poeti o filosofi o retori che conoscevano a fondo sia tutta l'ampia creazione poetica sia la produzione in prosa dei migliori scrittori.
Indubbiamente ci furono anche critici moderati i cui emendamenti tuttavia non furono accettati. Aristarco, più particolarmente, scoprì ed emendò per primo con precisione le forme e i significati dei pronomi e specificamente la posizione e la persona dei pronomi controversi sfin sfwe sfwn sfwin sfetero" e precisò il significato delle particelle nh dh ara per e altre nel discorso omerico e il loro ruolo in rapporto all'espressione omerica. In base a tale rapporto stabilì le regole degli accenti e dell'ortografia, come anche le norme della morfologia. Non si ingannino coloro che nell'epoca odierna della sfrenata prosperità vivono e governano e filosofeggiano nel lusso. Senza una precisa e completa conoscenza e indagine basata sulla meticolosità, né gli scrittori vengono capiti nelle scuole, né l'indagine avanza verso studi scientifici. Omero non viene capito e non ispira, non insegna con le traduzioni, né la lingua diviene strumento di progresso intellettuale senza la sua forma perfetta, come hanno dimostrato i grammatici scientifici, modello della cultura di tutti i tempi.
Con questi metodi e con queste fatiche lavorava Aristarco e i suoi allievi chiamati aristarchei, e con essi fu redatta da lui l'edizione dei poemi depositata nella Biblioteca e che costituì il testo secolare. Emendamenti provennero certamente anche da altre scuole, in particolare la scuola di Pergamo, che seguiva un altro metodo, quello dell'anomalia, e i discepoli di questa scuola, i cratetei, satireggiavano, con i loro versi, gli aristarchei, giudicando che esprimessero con pedanteria il discorso: "Gente che ronza in un cantuccio, gente occupata nei monosillabi, ai quali sta a cuore lo sfin e lo sfwin". Differenza fondamentale c'era tra le due scuole per quanto riguarda specifici punti di valutazione di Omero. Aristarco stimava molto Omero per la sua grandezza poetica, come anche Eratostene. Invece Cratete e la sua scuola lo citavano più che per questo per le loro osservazioni pratiche, inoltre anche come padre di ogni conoscenza scientifica, perfetto geografo, astronomo, storico, matematico.
Per quanto riguarda il libro nazionale di lettura e la sua lingua, si noti che secondo la legge naturale del continuo movimento di tutte le cose e dopo l'accettazione del testo di Aristarco come quello migliore e autentico, le nuove letture, gli emendamenti e le osservazioni da parte delle scuole grammaticali e di alcuni critici di Aristarco non cessarono, fino a quando, nel III e IV secolo d. C., si afferma una revisione e una nuova edizione dalla quale derivano tutti gli attuali manoscritti che rappresentano la nostra definitiva Vulgata. Tuttavia in essa rimane inconfondibile il contributo del principe dei critici Aristarco con il suo sbalorditivo acume, le regole dell'accentazione, le leggi dell'analogia nella lingua, della classificazione delle morfologie grammaticali in un'epoca in cui non esisteva la grammatica della lingua e venivano ripristinate le esagerazioni dell'audace Zenodoto.
Dei suoi innumerevoli emendamenti ne conosciamo solo pochi, messaggeri dei quali furono i suoi discepoli Dionisio Trace, Parmenisco, Trifone e altri rinomati aristarchei. A lui spetta una grande quantità di osservazioni sottili e il metodo critico dei testi antichi. Egli respinse l'interpretazione allegorica di alcuni brani oscuri, un metodo condotto all'esagerazione da molti interpreti. Tuttavia, secondo il giudizio di alcuni illustri filologi dei tempi recenti, si è ritenuto che dalla forza del suo sano giudizio scaturiscano anche alcuni difetti - come al solito - poiché dalla aspirazione a una esattezza grammaticale del poeta per avvicinarsi a ciò che è più naturale e umanamente più vero. Inoltre escluse le duplici forme linguistiche a causa delle norme dell'uso abituale. I poemi gli diedero l'occasione di sistemare con i principi dell'analogia la lingua greca comune: l'ortografia, l'accentazione, le consonanti doppie, le particolarità dell'aumento, le preferenze per varietà di forme secondo una determinata norma. Mantenne molte forme non parlate dal popolo come arcaiche, reintegrandole però solo se erano d'accordo con le norme linguistiche. Fissò le forme e il significato dei pronomi con precisione. Eliminò i versi interpolati per es. K 297-398, "bouleuousi meta sfisin" perché lo "sfisin" è qui di seconda persona, mentre il senso esige la terza.
Insomma Aristarco non solo portò a termine la brillante codificazione delle regole della lingua con singolare capacità, ma sistemò anche i poemi in un armonico e completo assetto in modo che l'inizio non discordasse dalla parte centrale e la parte centrale con la fine, poiché li divise in 24 rapsodie, secondo la concorde testimonianza degli antichi grammatici. E per completare il suo inestimabile apporto ai poemi, alla lingua e all'opera di critica, ricordiamo che i principi della sua critica secondo l'espunzione dei versi erano:
1) se i versi apparivano ampollosi o se venivano giudicati incompatibili con lo stile di Omero;
2) se si presentavano deviazioni dallo stile e dai metri di Omero;
3) se presentavano errori di composizione;
4) se non erano inclusi nei migliori manoscritti antichi;
5) se costituivano o superflue ripetizioni di concetti o di parole;
6) se comprendevano espressioni millantatrici;
7) se contenevano eccessi di descrizioni, come per esempio in S 39-49 l'enumerazione per nome delle Nereidi, che tuttavia, nonostante la loro riprovazione, Aristarco, secondo gli scoli, mantenne;
8) se restringevano il significato della frase principale;
9) se non c'era concordanza con il mito, per es. il mito del giudizio da parte di Paride sulla bellezza delle tre dee appare posteriore a Omero, dato che Omero, ricordando in E 63 il viaggio di Paride a Sparta, chiama quelle navi "principio dei mali, che furono malanno per tutti i troiani", senza riportare il mito che evidentemente ancora non esisteva. Perciò considera sospetti ed espunge i versi 24-30, secondo la testimonianza di Eustazio, poiché attribuirono la causa della guerra non a Paride, ma alle dee Era e Atena, adirate perché egli assegnò la mela ad Afrodite la quale per ricompensa "gli infondeva penosa lussuria". Questo per quanto riguarda i criteri di poesia e di lingua del gigante di grammatica Aristarco, il quale inoltre chiarì che non erano opere di Omero gli Inni Omerici e moltissime altre opere in versi del ciclo epico, che prima venivano considerate omeriche. Tuttavia non tutti i secoli generano degli Aristarchi e ciò diviene evidente nell'epoca odierna della decadenza e della rovina linguistica.
Qualsiasi cambiamento della loro forma iniziale abbiano subito i poemi nel corso dei secoli, essi non hanno subito deformazione e il loro aspetto è simile alla loro forma originale. Tutto si accorda con lo spirito che soffiava nel complesso, c'erano dovunque i medesimi costumi, la medesima mentalità, la medesima maniera di espressione. Chi legge attentamente i poemi si rende interamente conto di ciò. Il conseguimento di questo meraviglioso risultato deve molto al talento e all'erudizione di Aristarco il quale, come anche il suo maestro Aristofane, possedendo nella mente la letteratura ellenica di tutte le epoche, di proposito ripete ciò, perché non lo dimentichino gli odierni filologi -, le precise forme del discorso e il procedimento dell'espressione di ogni epoca e di ogni scrittore, distingueva sapientemente anche l'autentico dallo spurio e ristabilì la forma autentica dei poemi, dando esempio illuminato di genialità critica, di coscienziosità, di diligenza e di acuta attenzione.
La Scuola di Pergamo. Cratete di Mallo.
Allo sforzo del ristabilimento critico dei poemi e alla formazione delle regole della lingua - che fu un tentativo panellenico, unitario e inseparabile - oltre alle centinaia di grammatici di Alessandria, contribuirono anche i grammatici che lavorarono in altre città della più grande Grecia, e principalmente i grammatici di Pergamo, città amante delle Muse, che possedeva un Museo e una Biblioteca e una ricca vita intellettuale, ad opera degli Attalidi amanti delle Muse. Capo della scuola filologica di Pergamo fu il filosofo stoico e grammatico Cratete di Mallo, il quale ebbe una grande fama poiché introdusse in Roma gli studi filologici, secondo la testimonianza di Svetonio. Cratete aveva fondato a Pergamo una scuola molto frequentata, era erudito, aveva edito in nove volumi l'Iliade e l'Odissea, e veniva considerato grammatico corifeo pari ad Aristarco, secondo la testimonianza di Strabone. Dai frammenti delle sue opere si desume chiaramente che è inferiore ad Aristarco nelle sue osservazioni grammaticali e nel metodo. Nell'interpretazione di Omero non seguiva gli indirizzi contemporanei, ma lo riteneva esprimere la ingenua mentalità dei tempi precedenti. Tuttavia considerava inconciliabile con la fama di Omero la versione che egli non conoscesse le complesse nozioni scientifiche di Pergamo, cosicché il vecchio Omero veniva giudicato da lui filosofo, matematico, astronomo, geografo, e in generale grande sapiente, concetto che condivise più tardi anche Strabone.
Cratete interpretò alcuni brani mitologici allegoricamente e soprattutto in modo per niente assennato. I suoi discepoli, i cratetei, tra i quali Tolomeo di Ascalone, Erodoto di Babilonia, Zenodoto di Mallo e altri, si scagliavano contro Aristarco e i grammatici aristarchei con obiezioni ed epigrammi ironici tanto duri da far dire ai vecchi filosofi che, dopo la soppressione da parte di Alessandro Magno, delle discordie politiche delle città, le discordie emigrarono nelle Scuole filosofiche, retoriche e grammaticali. Ma tuttavia anche la Scuola di Pergamo apportò certi fortunati emendamenti ai poemi.
Ricapitolazione
Se ci siamo occupati con insistenza dei filologi dell'antica Grecia nell'emendamento dei poemi (molto più numerosi dei Greci, filologi stranieri, durate tutti i secoli, si sono occupati e si occupano dei poemi del divino aedo), ciò è avvenuto per due ragioni:
1) perché, prescindendo dal particolare dialetto di cui si servì ciascuna città greca nell'antichità, Omero simboleggiava la comune lingua coltivata dalla Nazione ed era il comune Vangelo degli insegnamenti spirituali e morali per tutti i greci. Questa convinzione li spingeva a un alto e fiero sentimento, grazie al quale resp9nsero assaltai stranieri e crearono le basi della civiltà dell'odierna umanità;
2) perché, a prescindere dall'uso, a partire da Alessandro in poi, della lingua attica come lingua comune a tutti a greci e delle nazioni ellenistiche, il dialetto omerico continuò parallelamente a essere coltivato indipendentemente come genere letterario in perpetuo, come dimostrano le opere epiche di Apollonio Rodio, di Quintino Smirneo e da Eliodoro del IV secolo d. C.; come appunto accade anche a noi nei tempi più recenti, quando i nostri poeti adottano uno stile delle canti popolari dei secoli più vicini. La sola differenza tra i greci antichi e quelli moderni è che quelli non pensarono di mutare in ionico omerico l'attico comune scritto. Tuttavia è stato dimostrato dall'analisi che la costituzione di una lingua in strumento di espressione perfetta e ricca è una faccenda molto difficile, che ha richiesto il continuo lavoro di lunghe generazioni e il contributo di spiriti singolari e di scienziati eruditi, lavoro che non poteva essere sostituito con facilità.
Questo studio inoltre ha voluto dimostrare anche l'enorme contributo dei filologi, la cui specialità scientifica fu fondata agli inizi del III secolo a. C. nel Museo di Alessandria. La parola Grammatico, che rappresentava la funzione del filologo allora, significava un uomo altamente colto, più degli altri scienziati, conoscitore di tutte le opere antiche dei poeti e scrittori di prosa, storici filosofi, retori ecc. e capace di interpretare il senso degli scritti in modo preciso sulla base di testi conosciuti e di mettere in evidenza sia le idee sia il senso del bello di colui che le esprimeva.
Nei tempi posteriori, quando la Grammatica divenne un possesso di tutti, né la Grammatica, come sistema di codificazione filosofica del discorso, fu stimata, né i grammatici furono giudicati in modo equo in confronto agli altri eruditi. Al contrario anzi si considera baldanzosamente che la Grammatica della lingua greca, viva secondo l'universale riconoscimento scientifico, può essere abolita - sebbene sia stata costituita da insigni rappresentanti di innumerevoli generazioni -, e che la medesima lingua viva può essere sepolta per decreto ministeriale.
Che cosa sia una lingua e come si costituisca, questo abbiamo esposto nel presente articolo. E' un'opera complicata, risultato di un'attività spirituale di centinaia di generazioni, ciascuna delle quali riceve e accresce lo strumento di espressione che ha ricevuto. Mai ha imposto, mai ha disprezzato nessun elemento linguistico. Ed è riuscita a diventare la più perfetta lingua avente oggi da catalogare, nel Tesoro della Lingua greca di Irvine, California, fondato per iniziativa dell'indimenticabile professor Pietro Colachida, novanta milioni di lemmi, da Omero al II secolo a. C. Il tesoro si trova a Porta-Py, conta circa nove milioni di lemmi.
E il Grosses Deutsches Wörtebuch, che fondarono nel 1838 i fratelli Grimm e fu finito nel 1969, composto di 33 grossi volumi fittamente stampati, con i 120 anni che richiese per la sua compilazione, prova quale mare di forme linguistiche di particolare uso e significato comprende una lingua che tuttavia ha una vita limitata a pochi secoli, mentre la lingua greca vive da trenta secoli in modo operante e continuo. Perché diventi comprensibile da parte dell'uomo comune il concetto della complessità del significato di "glossa", riporto una particolarità del lessico Grimm. La parola ennoia Sinn (senso) nel lessico dell'antico filologo M. Heyne occupa 48 colonne del lessico e distingue 24 significati della parola e circa 200 sfumature di significato. Il fatto dimostra quanto il discorso è complicato e coinvolge termini e casi le cui sfumature devono essere indicate con la parola corrispondente. Quindi la lingua, secondo questi presupposti, è un fenomeno spirituale-biologico che si sviluppa autonomamente, ma si connette e va di pari passo con il livello culturale del luogo, variando secondo le epoche. Non è un'opera consolidata nell'immediato la forma del lingua, perciò anche non può essere pronosticata o dettata da alcuno, perché il suo consolidamento richiede un margine di tempo per sistemassi spontaneamente e il tempo si estende per più di una generazione. Questa è l'incontestabile conclusione del presente studio.
Da Simposio Cristiano
Edizione dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi
S. Gregorio Palamas, Milano 1994, pp. 141-166
Trad. di Gesuino Paderi