PIETRO GALIGNANI

L'OKTOICHOS E LA MADRE DI DIO

Il rapporto tra la cultura europea e il mondo greco è assai complesso sia dal punto di vista tematico che da quello storico.

L'epoca contemporanea, in momenti significativi della sua cultura, ha realizzato il programma della deellenizzazione inteso come affermazione dell'irrazionalismo. In particolare la deellenizzazione ha investito, in Occidente, la teologia e lo stesso pensiero cristiano in generale. Ma tutto ciò poggia su una serie di equivoci che devono essere eliminati.

Questa rottura è stata anticipata dall'epoca romantica la quale si accorse che era possibile una grande arte moderna del tutto indipendente dall'imitazione dei classici. Ma porsi il problema di recuperare una creatività spontanea significa riconoscere di averla perduta e di non essere più nella situazione dei classici antichi che creavano senza porsi il problema della creazione e senza avere di fronte modelli di classicità. Il mondo romantico volle ritornare all'immediatezza perduta, ad un contatto immediato col principio della natura e dell'esistenza senza però l'ingenuità di chi non se ne è mai staccato.

Questa speranza durò circa una generazione e la crisi che ne risultò mise in rilievo la distanza crescente tra il mondo greco e quello moderno.

Già nel 1916, per citare un esempio, G. Lucács sentì il mondo greco come un'età privilegiata che ci rimane ormai irrimediabilmente preclusa. "Felici i tempi che possono leggere nel cielo stellato la mappa delle strade che sono loro aperte e che essi debbono seguire. Felici i tempi le cui strade sono illuminate dalla luce delle stelle! Per essi tutto è nuovo e tuttavia familiare: tutto significa avventura e pertanto tutto appartiene loro. Il mondo è vasto e tuttavia essi vi si trovano a loro agio, poiché il fuoco che brucia nelle loro anime è della stessa matura delle stelle. Il mondo e l'io, la luce ed il fuoco, si distinguono nettamente, ciò non di meno non divengono definitivamente estranei l'uno all'altro, poiché il fuoco è l'anima di ogni luce ed ogni fuoco si veste di luce."

Questa è l'idea che sola è capace di generare l'epopea. Questo orizzonte culturale è definitivamente tramontato ed è irrecuperabile; è per questo che nel mondo contemporaneo l'epopea non è più possibile perché non è più sperimentabile il senso della vita all'interno del cosmo, ma esso è diventato estremamente problematico.

Eppure esiste ancora oggi un popolo che ritiene che il senso della vita sia presente dentro rapporti umani e sperimentabile da ciascuno in ogni epoca. Il popolo cristiano ritiene che Gesù Cristo è il significato dell'uomo e della storia e che egli in modo vivo, presente, ma misterioso, fin d'ora rinnova il cuore dell'uomo e tutte le dimensioni dell'umana attività.

Questo popolo non solo è ancora convinto che il fuoco dell'anima è della stessa natura delle stelle, ma ritiene che tutto il mondo umano e naturale è destinato a restaurarsi ad immagine ed a compiersi a somiglianza di Dio in una trasfigurazione che spiritualizza sia l'uomo sia la natura. Più felice allora questo tempo in cui, all'immagine di Dio nell'uomo, corrisponde in Dio l'assunzione deificante della natura umana. In questa corrispondenza fondamentale tra il fuoco dell'anima e la luce di Dio l'epica è ancora possibile; essa è ancora vissuta nelle adunanze del popolo ed è sentita come glorificazione di un evento che è ancora attuale, che avviene oggi, che tuttora è sperimentabile.

L'epoca cristiana è fondamentalmente costituita dalle officiature liturgiche che ciascuna delle grandi tradizioni ecclesiastiche ha prodotto come coscienza della propria esperienza storica, che affonda il proprio significato nel mistero dell'umanità di Dio.

In questo breve studio non è possibile affrontare l'argomento in tutta la sua vastità e conseguente complessità, ma semplicemente indicare nei testi poetici dell'Oktoichos uno dei momenti più alti cui è pervenuto l'epos liturgico della tradizione bizantina e vedere quale prospettiva abbia in esso la comprensione teologica della funzione che la Madre di Dio ha nella storia della salvezza.

Vengono tralasciate volutamente l'analisi filologica del testo e lo studio del suo rapporto con i Concili, con le parole dei Padri e con la cultura della tarda epoca ellenistica profondamente impregnata di neoplatonismo. Semplicemente si vuole mostrare che la riflessione sulla Madre di Dio è rigorosamente contenuta dentro una dimensione trinitaria e cristologica.

Nel testo poetico l'esperienza religiosa del popolo cristiano, ripensata nella speculazione teologica, diventa preghiera liturgica e perciò dilatazione della coscienza religiosa del fedele fino a coincidere con quella ecclesiale. Questa è la radice dell'epica cristiana che pur nelle vivaci ed ardite immagini poetiche mantiene il rigore teologico delle sue affermazioni. Questo canto sgorga infatti direttamente dalla esperienza storica della Chiesa la quale nel tempo approfondisce il significato di essere popolo radicato nel mistero di Dio che si manifesta.

L'Oktoichos è costituito da una serie di componimenti poetici di diversi autori, ordinati nella forma attuale nel sec. IX a Costantinopoli, con modeste aggiunte successive.

Si può dire dunque una composizione corale, unificata in epoca successiva, avvenuta fondamentalmente nell'ambiente monastico. Anche se il paragone è solo esterno, non può sfuggire l'analogia con la formazione dei poemi omerici che hanno caratterizzato per secoli la tradizione greca.

Otto gruppi di testi poetici, pur di provenienza eterogenea, con metri e ritmi melodici differenti, cantano l'epopea storica che ha costituito il popolo cristiano.

Nell'evocazione sono coinvolte la luce e le tenebre: il mistero inaccessibile dell'essenza divina, percepita nelle sue manifestazioni, ed il mistero delle tenebre provocato dalla mancanza di questa luce, che prende il nome poetico di Ade, Inferi, Averno, ed indica appunto il luogo dove la luce originaria non giunge e non può produrre i suoi benefici effetti.

Questa epopea coinvolge il mondo sovraceleste e quello sotterraneo ed ha il proprio centro di equilibrio nel mondo umano, dove si svolge il dramma che, nel suo epilogo vittorioso, vede il, trionfo dell'umanità nuova che da moltitudine dispersa viene trasformata in un popolo divinizzato.

Nell'Oktoichos la tensione drammatica è rappresentata dal mistero pasquale. Attraverso esso la storia della salvezza e l'esperienza storica di essa, che produce l'unità del popolo, tocca il momento più altamente drammatico e nello stesso tempo si svela definitivamente il significato della storia dell'uomo.

Le strutture che costituiscono la fondamentale articolazione poetica di ogni composizione tonale (gli otto toni) sono il canone triadico, il canone anastasimo e stauroanastasimo ed il canone della Madre di Dio. Non è funzionale al presente studio l'accertamento della paternità di ciascuno, l'epoca di composizione, l'opera del definitivo organizzatore. Giova invece caratterizzare la funzione, il contenuto e l'ordine delle tre unità compositive per una valida comprensione del loro significato.

In linea preliminare si deve sottolineare che le tre unità poetiche corrispondono ai tre piani il cui intreccio dà vita all'esperienza che il cristiano fa del proprio significato e del proprio destino. Il canone triadico mette di fronte all'insondabile mistero di Dio che nelle sue manifestazioni da sentire la propria presenza all'uomo: una presenza che è compagnia, consolazione, promessa e realizzazione.

Il canone anastasimo e stauroanastasimo è il momento dinamico del dramma evocato e meditato in tutti gli aspetti della sua realtà cosmica. Cristo, eroe divino, eponimo del popolo cristiano, ha radici profonde nella terra e nello stesso tempo proviene dal mondo che sta sopra il cielo. Egli sconfigge con la morte la morte ed apre per l'uomo nuove prospettive di significato e di realizzazione..

Il Canone della Madre di Dio rappresenta il piano umano ed è intimamente intrecciato con gli altri due in modo complesso.

La Madre di Dio è la prima creatura nella quale le energie divine realizzano il compimento della loro opera. Nello stesso tempo però questo piano creaturale diventa il punto di applicazione che rende possibile, nella dimensione umana, la presenza della salvezza operata da Dio in Cristo.

Dopo l'indicazione preventiva del rapporto tra i due piani sui quali è costruito l'epos cristiano, è opportuna una analisi più dettagliata almeno per metterne in evidenza i motivi fondamentali e gli intrecci più significativi. A questo proposito vale la pena indicare che i tre piani in cui si articolano le ufficiature dell'Oktoichos sono una costante del pensiero e dell'espressività cristiana. Li troviamo nella struttura dei tipi iconografici, nella costruzione del pensiero teologico e nel susseguirsi annuale delle 12 feste dell'anno liturgico che si organizzano attorno ai poli del Natale-Epifania, Pasqua-Pentecoste e Trasfigurazione.

Il canone triadico canta la realtà originaria che supera la comprensione umana: il Mistero di Dio nel quale tutto ha realizzazione e significato. Si sente l'eco di San Giovanni di Damasco considerato tradizionalmente uno dei grandi compositori dell'Oktoichos, il quale, sintetizzando il pensiero dei Padri, afferma che "Nessuno ha mai visto Dio. Il Figlio unigenito che è nel seno del Padre ce l'ha Egli stesso insegnato. Il divino è ineffabile e incomprensibile... Nessuno ha conosciuto Dio, tranne colui al quale Egli stesso si è rivelato, non solo gli uomini ma anche le potenze ipercosmiche e perfino i cherubini ed i serafini".

L'uomo non riesce a sondare il mistero della Triade Monade però fa esperienza della Sua presenza, riconosce in Lui la radice del suo essere, sente il calore della Sua misericordia e la bellezza della Sua grazia, la luce della Sua manifestazione.

Il tema della luce è dominante in queste composizioni. E ciò per diversi motivi. Innanzitutto è riconoscimento che la realtà originaria è negazione assoluta e radicale del nulla.

Il divino, per il suo stesso porsi, per la sua originaria positività è sconfitta immediata e decisiva del suo contrario che, proprio perché contrario, è assolutamente inconsistente. Questa dinamicità è appunto espressa e sottolineata dall'affermazione della luminosità del divino che ha numerosi esempi in tutta la tradizione greca. "Splendi a me trisolare divina Maestà, con le luci dei tuoi deificanti fulgori, sicché con gli occhi del cuore immagini la bellezza della tua splendida Maestà, superiore ad ogni intelletto, e della illuminazione e dolce partecipazione".

La luce indica non solo la bellezza di Dio ma anche il Suo originario effondersi e manifestarsi che diventa per l'uomo partecipazione. La luce accenna anche ad ulteriori profondità teologiche quali l'assoluta inconoscibilità dell'essenza di Dio che nella sua accecante luminosità diventa tenebre per l'uomo.

Perciò l'uomo è costretto non solo a progredire per via negativa ma anche affidarsi ad espressioni antinomiche.

"Triade veneranda ed indivisa per natura in tre persone distinte senza distinzione e che resti senza parti nella sostanza della divinità adoriamola con timore noi nati dalla terra e glorifichiamo il Creatore e Signore Dio più che buono".

Lo stupore di fronte al mistero diviene l'esaltazione della gloria di Dio, il riconoscimento della dipendenza radicale con la domanda incessante di perdono e di rinnovamento.

L'uomo si mette di fronte alla immensità imperscrutabile del divino e lo afferma non come il totalmente altro bensì come Colui che è misericordiosamente presente. L'uomo si sente caratterizzato essenzialmente da una appartenenza ineluttabile che illumina e riscalda l'anima. Non c'è pretesa speculativa in questi versi che sgorgano dalla profondità di una esperienza che identifica in modo decisivo il carattere specifico del popolo cristiano.

Nel canone anastasimo gli sconfinati orizzonti della misericordiosa essenza divina fanno venire in primo piano l'evento storico. Cristo, il Dio-Uomo, si coinvolge totalmente con la dimensione umana. Cristo assume un volto visibile, dai contorni ben definiti, compie la Sua azione salvifica che è l'acme epico del popolo cristiano. Non è una leggenda che lascia trasparire il suo mito dai contorni incerti e fantastici. Abbondano i particolari precisi, le circostanze concrete storicamente verificabili. Cristo è crocifisso con due malfattori, i giudei sigillano la tomba, i soldati fanno la guardia, le mirofore accolgono l'annuncio dell'angelo e lo riportano agli Apostoli.

Cristo ingaggia la lotta suprema con il regno delle tenebre, del male e della morte. Tutto il cosmo e tutta la storia sono attoniti spettatori di questo scontro unico e totale. Cristo ha assunto l'umana dimensione storica e materiale e la porta con sé nell'epico scontro. Egli si lascia afferrare dalle tenebre e dalla morte per rendere totale e definitivo il suo trionfo.

La lotta infatti non si svolge nel piano della Trinità che è originario annientamento del male, ma nel piano storico nel quale il male e la morte hanno una immane potenza. Cristo scende nel mondo delle tenebre, si lascia toccare da Ade il quale è già convinto di avere in suo potere la nuova preda e poi sfugge al suo dominio presentandosi con la pienezza della vita divina. "Quando scendesti verso la morte, Vita immortale, uccidesti l'Ade col fulgore della Divinità".

Cristo è veramente morto e risorto, i due aspetti sono inscindibilmente connessi. Non ci fu una morte apparente o una apparente resurrezione. Tutto l'umano è stato assunto e condiviso, in particolare il dolore e la morte. Anzi il dolore e la morte non vengono cancellati ma vengono subiti proprio per mostrare all'uomo che egli non è più racchiuso in questi parametri. Adamo ed Eva, e con loro i giusti del tempo antico, vengono presi per mano e associati a Cristo che ascende verso il mondo immateriale che è il destino ultimo e definitivo dell'uomo e della natura.

Non si tratta dunque della restaurazione di una innocenza originaria bensì di una novità totalmente sconvolgente. L'esito definitivo della vittoria sulle tenebre e sulla morte è la divinizzazione dell'uomo che condivide la stessa natura di Dio.

Questa salvezza non è al di là della storia, staccata dalla quotidianità degli eventi umani. Questa esperienza del popolo cristiano non sta soltanto all'inizio della sua storia come un momento mitico irrecuperabile nel quale si può scorgere un'immediata armonia tra l'uomo ed il cosmo, ma è contemporanea ad ogni istante della storia e può quindi essere vissuta da tutti gli uomini.

Il desiderio greco di una corrispondenza tra l'umano ed il divino non solo non è stato dimenticato e non è divenuto inattuale, ma è stato completamente assunto e superato in una esperienza altrimenti inimmaginabile.

Si può dire che la cultura bizantina è diventata rinnovamento totale dell'esperienza dell'uomo greco, la sua autenticazione e compimento.

In questo orizzonte assoluto di Dio che manifesta le Sue energie e di Cristo che dà un senso totale e definitivo all'uomo ed alla storia, emerge il significato di "colei che è la gloria di tutto il mondo, generata da uomini, ma che partorì il Signore".

Il termine Madre di Dio determina in modo preciso ed eseenziale la funzione di Maria nell'economia divina. In Lei Dio fa rifulgere la sua gloria che la rende superiore ai Cherubini ed ai Serafini e la lega a sé in una intimità indicibile ed inimitabile.

L'autocoscienza della Chiesa ha proclamato nel Concilio di Efeso che la Santa Vergine è veramente Madre di Dio. I Padri ribadiscono che Dio è veramente nato da Lei, non perché la divinità del Logos ha preso da Lei il principio della sua esistenza, ma perché ha abitato nel suo seno, si è incarnato ed è nato da Lei senza subire mutazione. La Santa Vergine non ha generato un semplice uomo, ma il vero Dio rivestito di carne umana, non come un corpo disceso dal cielo e transitato in Lei come in un canale, ma prendendo da Lei una carne consustanziale alla nostra che si è ipostatizzata in Lui.

Giovanni di Damasco a proposito dell'attribuzione a Maria del titolo di Madre di Dio afferma "Questo nome contiene tutto il mistero dell'economia poiché se colei che l'ha messo al mondo è Madre di Dio, il generato da lei è interamente Dio e interamente uomo".

L'Oktoichos riafferma incessantemente questo mistero che contempla, e proclama con grande stupore. "Come non stupiremo per il tuo divino ed umano parto, o degna di ogni venerazione?"

Questo è l'atteggiamento fondamentale con il quale l'innografo si mette in contemplazione del mistero della Madre di Dio e più in generale dell'azione misteriosa con la quale Dio si comunica. Questo stupore significa la gratuità del gesto di Dio e nello stesso tempo la Sua grande misericordia che sorpassa ogni umana aspettativa.

La proclamazione della divina maternità è ripetuta incessantemente: non c'è strofa poetica dedicata alla Madre di Dio che non la esprima apertamente o almeno vi faccia allusione. Il punto di partenza di qualsiasi riflessione teologica riferentesi alla Madre di Dio non può essere che questo. Ma L'Oktoichos ci dice anche che questa riflessione può avvenire soltanto all'interno di una teologia trinitaria e cristologica: "Partoristi uno della Trinità, o Tuttapura, il Figlio sovrano divino, fattosi corpo per noi da Te, e che rischiara i nati da terra con la luce senza tramonto ed i fulgori della trisolare Divinità".

Questo Theotokion, come molti altri del resto, mette in dinamico rapporto i tre canoni, il che equivale a dire il piano trinitario, quello della salvezza e quello della divinizzazione.

La funzione teologica della Madre di Dio è proprio quell'elemento unico che rende operante questa dinamicità nella quale si realizza per l'uomo la storia della salvezza.

La Madre di Dio investita dalle energie divine che operano in Lei giunge alla deificazione che diviene completa nella Sua Dormizione. Ella è il primo frutto della salvezza operata da Cristo attraverso la morte e la resurrezione. È la prima creatura per la quale diventa reale la metamorfosi spiritualizzatrice dell'uomo e del cosmo. A Lei segue la moltitudine di coloro che si sono lasciati trasformare da immagine a somiglianza di Dio. Nello stesso tempo Ella, proprio perché Madre di Dio, fa sì che le manifestazioni trinitarie non siano solo un modo, commisurato alla capacità umana, di mostrarsi presenza protettrice. Solo attraverso Lei, il Logos entra stabilmente e totalmente nella dimensione storica dell'uomo assumendo nella persona divina la natura umana. La Madre di Dio rende operativa l'azione salvifica e deificante.

Dalla proclamazione della divina maternità intesa in questo modo dinamico, conseguono due serie di attributi che glorificano la stessa Madre di Dio.

Da una parte, considerando il Suo rapporto con la Trinità, Ella è chiamata Tuttapura, Immacolata, piena di grazia, senza macchia.

In rapporto poi al popolo cristiano, alla Chiesa, viene considerata mediatrice di salvezza, mediatrice di vita, àncora della fede, vanto dei fedeli, sola difesa, consolazione, muro inespugnabile, protettrice.

La proclamazione della divina maternità porta continuamente con sé l'affermazione antinomica dell'assoluta verginità. "Tutti sappiamo che sei Madre di Dio, veramente vergine anche dopo il parto, noi che con affetto ci rifugiamo nella tua bontà; poiché noi peccatori abbiamo te come difesa nei pericoli, sei la sola tutta senza macchia".

Questa affermazione antinomica, tipico modo di esprimersi della tradizione bizantina, sottolinea che la divina maternità è un evento misterioso prodotto direttamente dall'intervento di Dio. La meditazione di questo annuncio non ci porta mai ad una intuizione intellettuale adeguata, ma la nostra comprensione rimane limitata e frammentaria e per questo si produce l'antinomia stessa.

Tutto ciò che si dice della Madre di Dio supera la nostra capacità di comprensione e di glorificazione.

"Tutti i tuoi misteri superano ogni intelletto ed ogni glorificazione, o Madre di Dio, sigillata con la purezza, custodita con la verginità, fosti riconosciuta madre senza falsità che partoristi il Dio vero".

Nella esperienza di fede, che solo l'appartenenza fedele ed obbediente alla compagnia del popolo di Dio fa maturare, sulla base dell'antinomicità dell'intelletto, l'innografo si libra sulle ali dell'ispirazione poetica ed esprime una serie di immagini che rappresentano in modo caratteristico la maternità verginale.

Benché alcune di queste immagini siano già presenti nelle opere dei Padri, esse acquistano qui una potenza plastica ed evocativa di particolare forza espressiva.

Limitandoci a qualche esempio, perché è impossibile farne un elenco completo, l'autore celebra la Madre di Dio, scala e porta del cielo, roveto ardente che non si consuma nella fiamma della divinità, nuova Eva che ripara l'azione compiuta dall'antica, tempio luminoso della divinità, abisso di misericordia che contiene la perla della divinità, casa del sole senza tramonto, àncora di salvezza, nube leggera, veneranda pelliccia d'Adamo, più ampia del cielo, telaio della divinità che tessé al Verbo la veste del corpo.

L'Oktoichos, nel suo complesso, è dunque eco fedele della tradizione che l'ha generato. Più precisamente è uno dei momenti di più alta intensità lirica, drammatica e teologica dell'epopea del popolo cristiano, la quale è stata ottenuta attraverso la trasposizione poetica della tradizione stessa, che in queste composizioni diventa preghiera.

Il suo contenuto, obbedendo ai canoni compositivi, è ricco di immagini poetiche, ma mantiene una struttura teologica di eccezionale profondità. In particolare devono essere messi in rilievo i tre piani attraverso i quali il pensiero teologico, come esperienza della Chiesa stessa, si sviluppa e si approfondisce. Il piano divino si intreccia con il piano storico-salvifico, e con quello in cui l'uomo si apre ad accogliere il gesto di Dio. Vertice del piano umano è la figura della Madre di Dio la cui eccezionale vocazione e funzione può essere misurata solo in riferimento agli altri due piani.

In questo contesto, che l'Oktoichos sottolinea in modo perentorio, il mistero della Madre di Dio acquista tutto il suo significato e la sua profondità che è esprimibile solo in termini antinomici.

Da Simposio Cristiano
edizioni dell'Istituto di Studi Teologici San Gregorio Palamas, Milano 1987, pp. 85-93