PIETRO
GALIGNANI
PRESENZA MEMORIA E TESTIMONIANZA
Ciò che era da principio, ciò che abbiamo sentito, ciò che abbiam
veduto con gli occhi nostri, ciò che contemplammo e le mani nostre palparono,
intorno al Verbo della vita - sì, la vita si manifestò e noi abbiamo veduto e
testimoniamo e annunziamo a voi quella eterna vita che era presso il Padre e si
manifestò a noi -, ciò che abbiam veduto e sentito, lo annunziamo anche a voi,
affinché anche voi abbiate comunione con noi. (Jo; I, 1-3)
Giovanni il Teologo
Egli incontrò Gesù, assieme a Simone e Andrea, lungo il mare di Galilea
mentre era in una barca intento ad aggiustare le reti con il fratello Giacomo.
Era un galileo, nativo della regione che si estendeva lungo la riva del
lago. Suo padre aveva una piccola industria di pesca, sua madre, Salomè, faceva
parte del gruppo di donne che seguivano Gesù.
Era un seguace di san Giovanni Battista, il precursore, quando Gesù lo
incontrò, lo chiamò e lo invitò a seguirlo.
Col tempo il significato dell'incontro e della chiamata divenne in lui
sempre più chiaro. Ciò che all'inizio venne percepito in modo frammentario e
confuso, divenne attraverso una quotidiana convivenza, una esperienza personale
nella quale tutti gli aspetti della sua vita, tutte le dimensioni della sua
umanità, tutti i profondi desideri del suo cuore trovavano accoglienza e
venivano profondamente valorizzati. Gesù venne percepito come senso unitario e
definitivo della sua vita. Quell'uomo che aveva incontrato, che si era fatto
incontrare con un gesto libero e gratuito, coinvolse totalmente la sua persona,
riempì totalmente la sua vita perché Giovanni si accorse che Egli era il
significato totale ed esaustivo della sua umanità. Perciò il giovane percepì
gradualmente che tutta la sua vita apparteneva a Gesù e quindi visse una
sequela piena di abbandono e di profonda affezione.
Questo atteggiamento di fronte a Gesù, riconosciuto come Messia e Figlio
di Dio, Verbo della vita, fece diventare la sua vita uno stupore continuo. Egli
infatti percepì il cambiamento del proprio modo di pensare ed agire, operato
dalla convivenza con Cristo dentro all'umile, appassionata, ardente e impetuosa
fedeltà alla sua persona che gli apriva orizzonti inimmaginabili.
Il suo personale rapporto con Cristo fece vivere a Giovanni esperienze
eccezionali che segnarono in modo indelebile e definitivo tutta la sua vita!
Tali esperienze non furono un premio, una ricompensa per la sua bontà d'animo,
per la sua giovanile ed entusiastica generosità, ma il dono gratuito della
divina misericordia.
Dopo il dono inaspettato ed imprevedibile dell'incontro con il Cristo,
che si è proposto al giovane provocando la sua umanità e offrendogli la
possibilità di sperimentare una convivenza quotidiana intessuta di parole, di
gesti e di estrema familiarità. Giovanni fu partecipe di alcuni momenti
estremamente significativi della vita del Maestro. Assieme con Pietro e Giacomo
poté contemplare la sua gloria sul monte Tabor, per quanto ne fu capace.
Appoggiò il suo capo sul petto di Cristo in un gesto di grande intimità e
affetto. Vegliò e pregò con lui sul Monte degli ulivi fino a quando le forze
lo sorressero.
Inoltre, spinto dall'ineluttabilità della sua personale appartenenza a
Cristo, ebbe il coraggio, unico tra i discepoli, di stare sotto la croce mentre Cristo moriva. Infine assieme
con Pietro corse al sepolcro poiché Maria la Magdala aveva loro riferito che la
pietra tombale era stata rimossa e che il corpo del Signore non si trovava più
nel sepolcro.
Essi entrarono per primi nel sepolcro e constatando che le tele erano per
terra mentre il sudario era rimasto al suo posto si accorsero che era successo
qualcosa di eccezionale. «Allora entrò anche l'altro discepolo [Giovanni], che
era arrivato primo al sepolcro, e vide e credette» (Jo. 20, 8).
Tutti i suoi scritti furono la comunicazione della sua esperienza. Egli
testimoniò quello che aveva visto, udito e vissuto, e quanto Dio gli aveva
rivelato del mistero di Cristo «inviandone l'annunzio mediante il suo angelo al
suo servo Giovanni, il quale testimoniò la parola di Dio e la testimonianza di
Gesù Cristo, quanto cioè vide» (Ap. 1, 1-2). Tale testimonianza è totalmente
inscritta nella certezza che Cristo è la compagnia di Dio all'uomo, è una
presenza definitiva e irrevocabile, «e il Verbo si è fatto carne ed ha preso
stabile dimora tra noi» (Jo. 1, 14). Nello stesso tempo Giovanni è ben conscio
che questa testimonianza non si riduce all'annuncio di ciò che è accaduto ma
è, per sua natura, una proclamazione che manifesta, nell'attimo presente del
tempo, la continuità di una presenza che è contemporanea a tutti gli attimi
del tempo, è contemporanea a tutta la storia dell'uomo che può in ogni momento
incontrarla, seguirla e lasciarsi cambiare da essa.
«Ed ecco l'annunzio che abbiamo sentito da lui e annunziamo a voi: Dio
è luce e in lui non è tenebra alcuna. Se diciamo di aver comunione con lui e
camminiamo nella tenebra, mentiamo e non operiamo la verità. Se invece
camminiamo nella luce, come lui è nella luce, siamo in una reciproca comunione
e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.» (Jo. 5, 7)
Camminare nella luce che ci riunisce in una comunione e ci trasfigura è
letteralmente fare memoria di Cristo. Tale memoria è riconoscimento della sua
presenza che ci purifica e trasforma. Ricostituisce cioè l'immagine di Dio in
noi e costruisce la somiglianza, cioè ci rende, per grazia, ciò che Dio è per
natura. Nell'esperienza di Giovanni presenza, memoria e testimonianza sono
profondamente intrecciate nell'eccezionalità della vocazione apostolica.
Tuttavia questi elementi sono costitutivi dell'esperienza e dell'esistenza
cristiana cosicché senza di essi è impossibile che si realizzi per qualsiasi
fedele la «Vita in Cristo».
I Padri e Maestri nella fede lo sottolineano continuamente e Nikolas
Kavasilas ha compendiato la tradizione in modo efficace e incisivo.
L'esperienza, la memoria e la testimonianza di Giovanni il Teologo è in
gran parte comune agli apostoli e ai discepoli, soprattutto agli autori degli
scritti del Nuovo Testamento. Tuttavia la sua figura è profondamente
significativa in ordine al tema in oggetto per la forza, la vivacità e la
profondità con cui tali elementi sono stati sperimentati, vissuti e annunciati.
Perciò il riferimento alla sua figura è parso incisivo per affrontare in modo
concreto e aderente alla tradizione l'argomento rimanendo al riparo dalla
tentazione di una analisi astratta e di una trattazione teologica che invece di
proclamare l'esperienza della Chiesa mette in primo piano una visione personale.
È peraltro caratteristico che le sacre icone rappresentano san Giovanni
il Teologo, immerso nell'esperienza di Dio che gli si manifesta mentre detta al
fedele discepolo la rivelazione che Dio gli ha comandato di proclamare. Un'altra
tipica immagine lo raffigura con un dito sulle labbra in un gesto che invoca e
impone il silenzio. È questo il tipico atteggiamento della memoria cristiana
come coscienza di radicale dipendenza e annuncio di un'esperienza non già di
una teoria e di una regola di comportamento morale. È in definitiva
l'atteggiamento della preghiera che è glorificazione, lode, offerta,
ringraziamento, confessione e domanda.
Il mistero della presenza
Continuando l'analisi del trinomio presenza, memoria, testimonianza nella
vita della Chiesa, non si può dimenticare che in una sintesi felice ed efficace
Sergej Bulgakov afferma che la Chiesa nella sua fondamentale essenza, prima
ancora di mostrare il suo spetto istituzionale è «la vita nuova con e nel
Cristo mossa dallo Spirito Santo».
Infatti con tale espressione vuole sottolineare con forza ed evidenziare
senza equivoci che il cristianesimo non è l'analisi teorica dei misteri che
riguardano il Cristo, non è né una idea né una dottrina ma un evento unico
nella storia che, se da una parte ha la dimensione della temporalità,
dall'altra «possiede la potenza della eternità». La Chiesa come umanità di
Cristo affonda le sue radici nell'eternità, e quindi in una presenza misteriosa
che vince il tempo e la morte. Essa appartiene strutturalmente a questa presenza
che non sa e non può produrre ma solo manifestare. Tale appartenenza è
espressa nelle significative immagini come quella della Fidanzata di Cristo e
Sposa del Logos. Quest'ultima immagine suggerisce l'idea e apre alla
comprensione che la presenza di Cristo, nella dimensione temporale della storia,
è un dono, un gesto gratuito della misericordia divina, dell'Eterno Consiglio
della Santa Trinità, che ineffabilmente opera e dona questa presenza. Perciò
la Chiesa può essere concepita più compiutamente come «vita nella Trinità»,
nella quale vita l'operazione comune porta il segno indelebile della peculiarità
delle singole persone. Seguendo questa linea di pensiero Giovanni, metropolita
di Pergamo, asserisce in modo deciso che per affrontare in modo corretto il
mistero della Chiesa (che è quanto dire il mistero della presenza) bisogna
tener presente quattro presupposti teologici di base. «Primo. L'ecclesiologia
deve essere posta all'interno del contesto della teologia trinitaria. Secondo.
La Cristologia deve essere condizionata in maniera costitutiva dalla
pneumatologia... Terzo. La Chiesa non deriva la sua identità da ciò che è ma
da ciò che sarà... Quarto. C'è infine la dimensione cosmica
dell'ecclesiologia.» Lo sviluppo di questi punti qui riportati solo nella loro
enunciazione preliminare mettono in evidenza che il mistero della presenza di
Cristo nella storia, della contemporaneità di Cristo a ogni istante della
storia (in modo che tutti gli uomini possano essere provocati nella loro libertà
dall'incontro con Cristo vivo, qui e ora, e quindi salvati e trasfigurati) è
opera comune delle sante Persone divine.
«La predicazione dei primi tempi del cristianesimo è l'annuncio,
gioioso e trionfante di questa vita nuova. La vita è indefinibile, benché si
possa cercare di descriverla e di definirla. Parimenti è impossibile dare una
definizione esaustiva e soddisfacente della Chiesa. - Vieni e vedi - (Jo. 1,
46). La Chiesa può essere conosciuta solo attraverso la via dell'esperienza,
della grazia, partecipando alla sua vita» poiché «l'essenza della Chiesa è
la vita divina che si manifesta nella vita creata: è la deificazione del creato
operata dalla potenza dell'Incarnazione e delle Pentecoste».
Tutti i misteri della vita di Cristo, che come già accennato, è la
compagnia di Dio all'uomo, raccolgono l'umanità in una unità visibile. Questa
unità, questa comunione diventa il luogo visibile della presenza di Cristo,
nella dimensione storica dell'uomo, strumento della sua operatività, «simbolo»
pieno, esaustivo e pregnante perché come sopra accennato, e la potenza
dell'eternità è presente nel tempo e manifesta in modo reale ciò che
rappresenta. Cristo infatti, porta aperta sulla vita trinitaria,, opera la
salvezza usando uno strumento umano. Questa inarticolazione dell'umano nel
divino ha la sua radice nel fatto stesso dell'incarnazione. «Il Figlio unico e
Verbo di Dio, pur essendo immortale per la nostra salvezza volle prendere carne
dalla Santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria» senza confusione, senza
cambiamento, senza divisione, senza separazione.
Come ben chiarisce e sottolinea Nikolas Kavasilas nella sua opera La
vita in Cristo, questa è possibile perché Cristo è realmente presente
nella totalità della dimensione storica dell'uomo. Egli si fa incontrare, o
meglio, viene incontro all'uomo all'interno della comunità cristiana che vive
tutti i fattori della Tradizione. Tale vita consiste nell'unione ineffabile con
Cristo, attraverso la sua umanità deificata nella quale il cristiano è
radicalmente innestato. Cristo si unisce all'uomo, incontra l'uomo, mediante i
misteri e attraverso essi l'incontro con Cristo raggiunge la sua pienezza e la
sua totalità. L'iniziativa parte unicamente da Dio che chiama l'uomo a una vita
nuova a una trasformazione del suo giudizio, della sua operatività e della sua
affettività che culmina nella deificazione.
Ciò non significa un abbandono della dimensione materiale, al contrario,
si tratta della progressiva spiritualizzazione della materia e ciò fa emergere
completamente l'immagine di Dio nell'uomo, infusa nella creazione, e dà un
significato reale al tema della figliolanza perché, attraverso i santi misteri,
costruisce in esso la sua somiglianza spirituale.
I misteri infondono la vita nuova nell'uomo, lo raccolgono nella
comunione dello Spirito Santo cosicché essa è veramente il volto della sua
presenza. Ciascuno dei santi misteri ha una particolare caratteristica, una
specificità operativa ed essi costituiscono l'incontro reale con Cristo vivente
nella labile fragilità dell'attimo temporale. In modo più specifico il mistero
del Battesimo è principio della vita in Cristo ed è causa dell'essere e del
vivere dell'uomo, della sua superiorità secondo la vera vita ed essenza.
L'opera dell'unzione col santo Miron consiste nel comunicare le energie dello
Spirito. Egli comunica realmente agli iniziati i suoi doni distribuendoli a
ciascuno in particolare in modo diverso ma sempre più per il comune vantaggio e
per l'edificazione della comune compagnia. La sacra mensa non dà più soltanto
la morte e il sepolcro e la partecipazione a una vita migliore, ma dona il
Cristo stesso, il Cristo risorto. Non soltanto i doni dello Spirito, per quanto
grandi si possano ricevere, ma lo stesso benefattore che comunica all'uomo se
stesso in modo totale. Perciò l'eucaristia è il vertice dell'economia
sacramentale, essa perfeziona l'opera di tutti i misteri. Tutto ciò che è
operato dagli altri misteri viene da essa potenziato e compiuto in modo tale
che, attraverso essa, si compie in modo sostanziale e reale la trasfigurazione
progressiva dell'uomo a somiglianza di Dio. «Cristo Dio si è trasformato sul
monte, mostrando ai suoi discepoli la sua gloria, per quanto erano capaci» e
nei santi misteri «fa risplendere anche sui noi peccatori la sua luce eterna».
In conclusione, Cristo incontro l'uomo oggi, lo interpella, lo provoca,
gli propone di seguirlo, lo invita a una sequela dentro la compagnia,, dentro la
comunione dello Spirito Santo, gli offre una nuova vita, gli comunica la propria
vita e lo rende divino. Il Logos, che è Dio, discende sulla terra, ma dalla
terra ci conduce in alto, si fa uomo e l'uomo è deificato. «Così il ferro
unito al fuoco non ha più nulla del ferro, la terra e l'acqua che abbiano
gustato il fuoco mutano le loro proprietà quelle del fuoco». Il mistero
dell'incontro, o meglio l'incontro reale con Cristo nei misteri, unisce il
credente a lui lo innesta nella sua umanità deificata facendogli percorrere
tutte le vie per le quali Cristo è passato. E ciò rende il cristiano testimone
della sua presenza e della sua realtà. Prima però di affrontare direttamente
il tema della testimonianza oggi, ci si deve soffermare ancora un attimo su un
altro concetto di estrema importanza perché la fisionomia della testimonianza
acquisti tutto il suo spessore e la sua potenza comunicativa.
La memoria
La presenza di Cristo nella storia, che si manifesta nella comunione e
che culmina nel dono della vita in Cristo, è un evento oggettivo che non
dipende dall'uomo, dal suo desiderio, dalla sua operatività o dal suo merito.
Compito dell'uomo è riconoscere tale presenza, è riconoscere che Gesù Cristo
è la salvezza presente nella storia e nell'esistenza. Tale riconoscimento
esistenzialmente si identifica nella fede e comporta l'accettazione che Cristo
sia significato definitivo della vita, destino ultimo di ogni tensione umana,
risposta esauriente ad ogni problema, compimento perfetto di ogni desiderio.
Tale riconoscimento non è meccanico, non si impone per evidenza puramente
logica. La coscienza precisa di ciò che è la fede e di che cosa sia la
consistenza dell'uomo, sono una scoperta viva della comunione cristiana, nella
sua concreta fisionomia esistenziale, che è il volto della presenza di Cristo,
non l'effetto di un ragionamento e neppure di uno studio.
Sono frutto di un incontro che esistenzialmente si profila come
l'avvenimento di un rapporto con una persona o con una realtà comunitaria ricca
di accento così autentico che l'uomo ne resta colpito come da una luce. La
persona è realmente provocata e sente posta in gioco la totalità della sua
vita. Ciò comporta inoltre che quando l'uomo viene provocato in questo modo,
rimane colpito, coinvolto, influenzato in tutte le dimensioni della sua
esistenza.
La luce che si sprigiona da questo incontro, che è stato descritto nelle
sue connotazioni fenomenologiche esistenziali, è anch'esso un dono. In altre
parole il compito dell'uomo consiste nel riconoscerlo come dono e custodire il
deposito che è stato donato, accettare che esso si sviluppi, maturi e rechi i
suoi frutti. Riferendoci ancora all'espressione di Kavasilas, il compito
dell'uomo consiste nel custodire il dono della vita in Cristo, la volontà non
produce l'uomo nuovo ma rinnova se stessa esercitandosi nella volontà di Cristo
fino a che essa entri in libera e totale consonanza con la volontà umana di
Cristo la quale poi è completamente obbediente nella sua volontà divina. In
questa prospettiva esistenziale si apre il problema dell'educazione alla fede
che coinvolge tutte le dimensioni umane.
Tale educazione mutua la propria pedagogia dalla realtà stressa
dell'evento descritto.
Losskij dà a questo proposito indicazioni metodologiche preziose: «il
dogma che esprime una verità rivelata ci appare come un mistero insondabile,
deve essere vissuto in un processo, nel corso del quale occorrerà che noi,
anziché assimilare il mistero al nostro modo di intendere, attendiamo a un
mutamento profondo, a una trasformazione interiore del nostro spirito, al fine
di divenire adatti all'esperienza mistica. Lungi dal contrapporsi, teologia e
mistica si sostengono e si completano a vicenda. L'una è impossibile senza
l'altra: se l'esperienza mistica significa mettere personalmente in valore il
contenuto della fede comune, la teologica e l'espressione, per l'utile comune,
di ciò che può essere sperimentato da ciascuno. Al di fuori della verità
custodita dalla Chiesa nel suo insieme, l'esperienza personale sarebbe priva di
ogni certezza, di realtà e di illusione - misticismo nel senso deteriore del
termine. D'altra parte l'insegnamento della Chiesa non avrebbe alcun ascendente
sulle anime se non esprimesse in qualche modo una esperienza intima della verità,
data in misura diversa a ciascuno dei fedeli».
Il testo di V. Losskij invita a alcune importanti considerazioni.
Innanzitutto la maturazione nella fede comporta la dialettica persona - comunità.
È impossibile, in una impresa solitaria, esercitare la propria volontà nella
volontà di Cristo. Il metodo dell'educazione alla fede, metodo che sgorga dalla
modalità concreta con cui Cristo ci incontra e ci provoca, è suscitare e
vivere una comunità nella sua esistenziale concretezza. Tale comunità o
comunione nello Spirito Santo è un insieme di persone che riconoscono Cristo
come salvezza, e quindi sono immanenti alla Chiesa guidata dall'autorità. Perciò
Cristo viene sperimentato nel tempo come salvezza di tutti gli aspetti della
vita presente e futura, come strada cioè compagnia, come destino cioè fine. Un
rapporto individualistico riduce la realtà di Cristo a una immagine astratta.
La presenza di Cristo si manifesta invece in una esperienza della Chiesa dentro
la comunità concreta, nella quale avviene concretamente la maturazione della
fede. Tale comunità concreta con i suoi rapporti quotidiani che coinvolgono
tutti gli aspetti della persona, e con la sua dimensione temporale che rende
tali rapporti una storia comune, ha come valore inestimabile la capacità di
educare, aprire e legare a tutta la Chiesa. La concretezza dell'uomo richiede
che l'esperienza della Chiesa sia vissuta nel tessuto concreto della vita, nel
luogo in cui si è (in casa, parrocchia, fraternità, università, scuola,
quartiere, ufficio, fabbrica) in modo comunitario.
Il senso profondo di questa aggregazione di fedeli è il richiamo alla
memoria di Cristo.
Memoria di Cristo significa ricordare sperimentalmente che Cristo è
presente in ogni aspetto della vita che prende da Lui il suo significato nella
puntualità dell'attimo e nel fluire del tempo. Memoria in questo senso
pregnante è un modo nuovo di considerare se stessi, è un nuovo contenuto di
coscienza che, acceso nell'incontro, si sviluppa nel tempo, fa approfondire e
ingrandire la coscienza della dipendenza radicale, della grandezza del dono
della misericordia di Dio e fa vibrare la volontà verso il riconoscimento che
il criterio pratico di giudizio è la stessa persona di Cristo.
Da questo punto fondamentale derivano alcune note metodologiche di
educazione alla fede di importanza fondamentale. Innanzitutto la "comunionalità
vissuta" è il luogo che richiama alla memoria diventando il punto di vista
attraverso il quale la persona guarda se stessa, matura i propri giudizi e le
proprie scelte. Ciò comporta un atteggiamento di umiltà e di obbedienza che si
configura in una sequela concreta alla comunionalità vissuta e a chi
concretamente ne è guida carismatica. È proprio la guida o l'autorità che
garantisce alla comunionalità vissuta la sua appartenenza alla comunità
ecclesiale. Anzi la vita stessa della Chiesa viene percepita attraverso questa
educazione in modo vivo e non principalmente come pura istituzione o ritualismo.
La comunità ecclesiale viene percepita appunta come una storia viva, vita in
Cristo, che fa memoria della storia della salvezza.
Tutto questo viene colto in modo
vivo e reale perché il fedele nella comunionalità vissuta fa effettiva
esperienza di una dimensione storica dei rapporti comunitari e fa esperienza
concreta di una appartenenza ad essa. In conclusione l'educazione sperimentale
della fede fa percepire in modo corretto quegli aspetti della Chiesa che
normalmente, attraverso una educazione intellettualistica e moralistica, vengono
compresi e vissuti in modo astratto e quindi facilmente sono intesi come un
aspetto della vita e non l'ambito radicale che dà significato a tutta la vita.
Ambito quello comunitario che si configura come strada e dimora. Strada alla
maturità della fede e dimora cioè ambito dove la fede essendo tesa ad essere
più vigile, più fresca ed equilibrata, dà il frutto di gioia maggiore.
Ciò è particolarmente vero per la memoria, che non è soltanto un
ricordo ma coscienza di dipendenza e preghiera.
O, con maggiore profondità, è guardare in faccia i gesti di Cristo nel
silenzio, cioè senza pretesa di riduzione, di interpretazione individualistica.
Una educazione alla memoria così intesa attraverso una esperienza
vissuta, introduce alla autentica comprensione della liturgia della Chiesa, che
è la grande memoria, nella quale la storia della salvezza viene pienamente
manifestata e sperimentata nella sua interezza. La liturgia infatti nelle sue
varie espressioni è il punto di massima intensità della vita della Chiesa che
coincide con la stessa Tradizione.
Nella liturgia infatti si compongono in ordinate unità tutti gli aspetti
della memoria. Memoria proclamativa della parola di Dio, memoria uditiva,
memoria gestuale che manifesta i gesti Cristo, memoria verbale che attraverso le
formule e l'innografia poetica è meditazione della economia della salvezza e
memoria visiva realizzata dalle sacre immagini. Tutti questi momenti vengono
ordinati e unificati nella struttura stessa della chiesa che nel suo simbolismo
eloquente basato architettonicamente sul rapporto tra quadrato (navata) e
cerchio (la cupola) esprime il fondamentale concetto pasquale. «Dalla morte
alla vita, dalla terra ai cieli, Cristo Dio ci ha trasferiti, quanti cantiamo
l'inno di trionfo».
La testimonianza
È possibile a questo punto, tirando le conclusioni dell'analisi operata
fino ad ora, cogliere la connessione specifica che lega i tre elementi che sono
stati proposti. Anzi in questa ultima parte si vuole mostrare che solo in
riferimento alla presenza e alla memoria la testimonianza cristiana prende tutta
la forza e la rilevanza che le compete.
Innanzitutto, comprendiamo l'analisi compiuta: si può affermare che la
memoria di Cristo può essere generata solo in una comunionalità vissuta
immanente nella comunità ecclesiale.
Inoltre essa è l'affermazione dei fattori sorgivi dell'esperienza
cristiana in quanto originanti la vera immagine dell'uomo. Infine sempre essa
inevitabilmente tende a generare una comunionalità vissuta visibile e
propositiva nella società.
Questo breve compendio del cammino percorso ci riporta alla figura di
Giovanni il Teologo e all'inizio della sua prima lettera. Quanto si è venuto
esponendo mostra chiaramente che a buon diritto il cristiano, che ha maturato la
sua fede nella comunità cristiana attraverso una corretta esperienza della vita
in Cristo (corretta significa non riduttiva dei fattori essenziali che
costituiscono la vita in Cristo, il che equivale a dire la stessa Tradizione
della Chiesa), può ripetere in senso reale le parole dell'apostolo. Certamente
la vocazione apostolica ha una dimensione e sua fisionomia unica e inimitabile.
Ma il cristiano esprime autenticamente la sua testimonianza su Cristo
annunciando quello che ha sentito, veduto, contemplato e toccato del Verbo della
vita. La testimonianza infatti è la proclamazione di una esperienza che la
presenza e la memoria nel senso precedentemente affermato rendono possibile. Il
punto ha una importanza capitale. Proprio perché Cristo, che è presente, vivo,
qui, ora, nella puntualità dell'istante storico, incontra e trasforma l'uomo
che ne fa memoria, il cristiano può annunciare per esperienza che Gesù Cristo
è la persona che dà pieno significato al profondo desiderio di realizzazione e
di felicità dell'uomo in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi rapporti.
Tale testimonianza è resa in molti modi secondo la storia personale di
ciascuno, secondo le sue capacità, secondo il grado di maturazione e di
intensità della sua vita in Cristo.
Innanzitutto, per quanto intelligente, volenteroso e attivo, uno sforzo
di proporre la realtà cristiana, di annunciare il significato e lo scopo della
vita, che volesse rimanere individuale e prescindesse da un sistematico
riferimento alla comunità ecclesiale, alla comunionalità vissuta, non sarebbe
un atteggiamento sicuro. L'atteggiamento individuale costituisce una situazione
precaria perché a lungo andare il cristiano, da solo, non può resistere
nell'annunciare e nel servire l'ideale. Egli è troppo debole didentro e
l'ambiente che lo circonda è capace di emarginarlo, inglobarlo nella sua
logica, renderlo inefficace.
L'unità visibile è l'indice della potenza di una vita e in questa unità
visibile il kerygma cristiano annunciato con tutta la propria vita acquista una
sicurezza, una incisività, una capacità di prospettiva che può essere
rifiutata, certamente però non può essere ignorata.
La prima condizione per proclamare il lieto annuncio che Cristo è
Signore è una iniziativa chiara di fronte a chiunque. Può essere una illusione ambiguamente coltivata quella di
introdursi nell'ambiente, che ha smarrito il ricordo delle proprie radici
cristiane, o che decisamente le rifiuta. Proporsi alle persone o all'ambiente in
modo indeciso, in modo tale cioè da sminuire l'annuncio nel timore che l'urto
contro la mentalità corrente indisponga gli altri è profondamente riduttivo.
Si corre il rischio, in questa prospettiva, che crea con ansiosa scaltrezza
accomodamenti e camuffamenti, di proporsi con dei compromessi che sviliscono,
depotenziano la forza dirompente dell'annuncio cristiano. Neppure va dimenticato
che la mentalità corrente, cioè il secolarismo, che ha permeato profondamente
la cultura e la società in cui viviamo, non esiste solo fuori di noi, ma ci
permea fin nel più profondo. Un annuncio depotenziato e indeciso diventa indice
di mancanza di comunionalità vissuta e può costituire una posizione rovinosa
per noi stessi.
Ma tale atteggiamento porta con sé un'altra grave carenza e distorsione.
Presuppone cioè che l'annuncio cristiano è il frutto della nostra capacità
intellettuale, della nostra abilità persuasiva, della nostra brillantezza
argomentativa mentre è forza e potenza dello Spirito Santo che ci riunisce nel
Cristo, ci fa vivere in Lui e ci fa annunciare non una nostra teoria sul
cristianesimo o un nostro progetto di vita, ma il fatto che «abbiamo visto la
luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede,
adorando la Trinità invisibile poiché è Lei che ci ha salvato».
In questo contesto prende pieno significato il richiamo di V. Losskij, già
precedentemente citato, secondo i quale la riflessione teologica è «l'espressione...
di ciò che può essere sperimentato da ciascuno». Ciò equivale a dire che la
teologia è riflessione sull'esperienza, comunicazione ordinata dell'esperienza
di una comunionalità vissuta nella vita della Chiesa. Essa è un modo di
proclamare l'annuncio, è una espressione della testimonianza che, come è stato
chiaramente sottolineato, coinvolge tutte le dimensioni dell'uomo in tutte le
situazioni della vita. Una teologia che non sia espressione della esperienza
della vita in Cristo, cioè della Tradizione della Chiesa, percepita e
approfondita in una memoria che ha la dimensione della comunionalità, va
incontro a tutte le forme di riduzione sopra accennate. Certamente la teologia
ha alcuni aspetti tecnici, uno statuto epistemologico suo proprio. Una
riflessione però che abbia come scopo la pura ricerca tecnica e non diventi un
contributo a guidare in modo autorevole la comunità cristiana nel suo cammino
di maturazione della vita in Cristo fallisce il suo scopo. «Si perviene così a
una conclusione che potrebbe sembrare abbastanza paradossale» avverte ancora
Losskij «la teoria cristiana avrebbe un significato eminentemente pratico, e ciò
quanto più essa è mistica, quanto più ha di mira in modo diretto lo scopo
supremo dell'unione con Dio». Rileggendo con attenzione l'evoluzione delle
lotte contro le eresie che la Chiesa ha sostenuto a più riprese, ci si accorge
che la sua preoccupazione fondamentale fu quella di salvaguardare la corretta
comprensione della propria vita e dell'evento che la origina in modo che il
cristiano possa essere sicuramente guidato a raggiungere la pienezza dell'unione
mistica, cioè di reallizzare compiutamente il proprio destino. Una teologia,
per quanto acuta intellettualmente e per quanto scaltra dialetticamente, se non
esprime la coscienza della Chiesa, la sua vita sperimentata in una comunionalità
vissuta, diventa la visione parziale, riduttiva del cristianesimo ridotto a pura
dottrina con forte componente ideologica. Non è più un annuncio all'ambiente
culturale della presenza e della salvezza ma è soltanto esposizione unilaterale
di una propria idea. Il teologo che lavori sganciato dalla vita in Cristo
annuncia in verità se stesso e non la misericordia di Dio che opera tra noi.
Ritornando all'unità visibile come luogo e base dell'annuncio cristiano,
e al fatto che questo stesso è proclamato da ogni espressione della vita
secondo il temperamento, le capacità e le condizioni concrete in cui la persona
si trova ad esistere e ad operare, si può affrontare un altro aspetto
importante della testimonianza. Spesso è stata dibattuta la questione del
rapporto tra testimonianza e servizio, tra proclamazione del lieto annuncio che
Cristo, la salvezza, è con noi, e il servizio al prossimo, l'amore verso il
prossimo, la condivisione del suo bisogno. Senza affrontare per esteso qui la
questione ci si limita ad alcune osservazioni metodologiche che derivano
direttamente dalla analisi fin qui operata.
Innanzitutto bisogna osservare che già il porsi del problema,
l'avvertirlo in modo più o meno acuto è indice di una maturazione unilaterale
della fede. Nella sequenza tematica che stiamo trattando (presenza, memoria,
testimonianza), oltre alla caratterizzazione dei primi due elementi, si è
insistito nel dire che essi costituiscono la base della testimonianza come
comunicazione di una esperienza acquisita e maturata in una dimensione
ecclesiale, in una comunione dello Spirito Santo, in una comunionalità vissuta.,
È ancora Kavasilas che ci offre alcuni spunti per impostare
correttamente il problema. La vita di Cristo, come già ampiamente analizzato
nelle pagine precedenti, è dono esclusivo di Dio, come peraltro la fede che è
riconoscimento della sua presenza nel tessuto sociale della storia. Compito
dell'uomo è accettare questo dono, conservare il deposito attraverso la memoria
e la preghiera.
Il tempo però è la dimensione attraverso la quale la nostra libertà
viene educata, e in queste, innesta sempre più profondamente il cristiano
nell'umanità deificata di Cristo, realizzando gradualmente la metamorfosi
interiore.
Tale metamorfosi o trasfigurazione dell'interezza delle facoltà umane
materiali, psichiche e spirituali produce nel cristiano una autentica creatività.
Una capacità cioè di affrontare in modo
propositivo nuovo l'ambiente, la società, con tutti i suoi problemi e
contraddizioni, i bisogni, soprattutto quelli più urgenti, delle persone
emarginate che stanno perdendo e hanno già perso la speranza di una piena
realizzazione umana. Non si tratta però di dover compiere un'operazione tra
testimonianza e servizio perché entrambe sono due aspetti essenziali della
stessa realtà che si implicano sempre a vicenda.
Se la testimonianza può essere realizzata con diverse accentuazioni, con
modalità che declinano in modo consono all'ambiente sociale l'unico annuncio
che caratterizza il cristianesimo, la sua base è l'unità visibile dei
cristiani che già realizzano un modo nuovo di convivenza fondato sulla presenza
e alimentato dalla memoria. Tra i tanti riferimenti possibili tratti dai Padri,
è significativo quanto dice S. Massimo nella Mistagogia. Egli sottolinea
previamente che la Santa Sinassi è la grande memoria della Chiesa, è il
momento in cui essa raggiunge la massima autocoscienza della propria vita nella
quale Sante Scritture, Tradizione, Autorità si compenetrano fino a costituire
una unità vivente, una vita aperta alla dimensione escatologica. «Bisogna
esortare ogni cristiano a frequentare la Santa Chiesa di Dio... a causa della
grazia dello Spirito Santo... che cambia e trasforma ciascuno di noi in Lui...
Attraverso questi misteri (la Chiesa) fa sì che ciascuno di noi, secondo la
propria misura, acquisisca degnamente il modo di vivere secondo Cristo; essa
rende manifesto come modo di vita secondo Cristo il carisma della filiazione
dato nello Spirito Santo attraverso il Battesimo... La prova chiara della grazia
di partecipare all'eredità nei santi nella luce è la volontaria disposizione
di amore verso il simile. Questa fa sì che l'uomo, che in qualche modo ha
bisogno del nostro aiuto, ci diviene familiare come Dio, ed egli non resta senza
cura né provvidenza, ma attraverso l'ardore appropriato sia mostrata in modo
attivo e vivente la nostra disposizione verso Dio e verso il prossimo; l'opera
infatti è la prova della disposizione.»
L'aggregazione visibile dei credenti, radunata dal dono della
misericordia di Dio, resa salda dalla comunione dello Spirito Santo, unita dal
desiderio di vivere una memoria integrale in una comunionalità vissuta, che
respira la dimensione universale della vita della Chiesa, si propone
inevitabilmente come una socialità nuova e quindi coniuga insieme con
equilibrio perfetto la testimonianza e il servizio, che sono poi due modalità
inscindibili dello stesso annuncio cristiano. Tale socialità inizia a vivere i
rapporti tra le persone secondo il criterio della comunione e della
trasfigurazione dell'intelligenza, della volontà e del cuore che, secondo
l'espressione biblica, riassume la totalità dell'uomo e della sua operatività.
Perciò la dimensione culturale, sociale e caritativa è parte integrante
di questa vita. La preoccupazione per esse non riguarda il tempo libero, i
momenti vuoti della giornata, non è un volontariato opzionale che gratifica e
fa sentire più soddisfatti. Le opere culturali, sociali e caritative sono parte
integrale di una comunionalità vissuta. E ciò che veramente stupisce è che
questo lavoro è un cambiamento umano: si diventa più aperti alla realtà
secondo il criterio della universalità. La rinuncia del quale nasconde sempre
una motivazione egoistica perché porre limiti alla dimensione della prossimalità
porta inesorabilmente a pensare solo a se stessi. Ed è proprio la società
secolarizzata in cui viviamo che non tollera che il cristianesimo si esprima in
opere che testimoniano la nuova umanità che esso suscita. Ciò perché questa
società, soffocata dalle ideologie e dai progetti con cui l'uomo crede di
realizzarsi con le sole proprie forze, si accorge che questa operatività è
testimonianza, è annuncio di qualcosa profondamente estraneo alla sua mentalità.
Infatti la fede, nel servizio, può essere incontrata a partire da ciò cui essa
è risposta: la domanda e il bisogno concreto dell'uomo.
Concludendo questo lavoro lasciamo parlare ancora una volta la liturgia
della Chiesa che in una meravigliosa riflessione rivolta alla Madre di Dio
riassume in modo mirabile e con la stessa dinamica metodologica della vita
cristiana, quanto è stato guadagnato in questa ricerca: «Il Verbo di Dio Padre
che non ha limiti, si è circoscritto prendendo carne umana nel tuo senso, o
Madre di Dio, ha riportato al primitivo stato la nostra immagine deturpata al
peccato e l'ha elevata alla divina bellezza.
Riconoscendo perciò la nostra salvezza, cerchiamo di realizzarla con le opere
e con le parole».
Da
Simposio Cristiano
Edizione dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi
San Gregorio Palamas, Milano 1991, pp. 89-103