CULTURA DEL CORPO
Gli esseri ritornano, corrotti, là dove sono stati generati, secondo una necessità; poiché pagano l'un l'altro l'ingiustizia che compiono secondo la disposizione del tempo.
Anassimandro
I - L'Arte e la fine del mondo
1. A Delfi, davanti all'Auriga, una mattina d'autunno. La pace assoluta mi dona una rara facoltà intuitiva. Il mio essere è predisposto ad accogliere nella maniera più intensa l'effusione erotica di cui è preda per conoscere - sebbene possa esser bruciato, fulminato da quel soffio di conoscenza. Tale soffio di libertà che fa schiudere il mio essere, mi permettere di vedere tutto ciò che, per tutta la vita, mi era rimasto celato, enigmatico. Devo guardare la statua come se rappresentasse la tragicità del mio essere, vale a dire, devo guardarla in faccia come farò con la morte quando dovrò affrontarla.
La Statua: per mezzo della vista ne riconosco il corpo, la mano ferma, i piedi nobili e delicati. Ne sfioro di nuovo il volto, le labbra forti sotto gli occhi immortali, virili e bellissimi nella loro purezza. Ne riconosco la forma come prova della sua presenza nello spazio, come impronta di bellezza resa perfetta dall'assenza di mortalità. Ma non la conosco realmente. Perché conoscere veramente gli altri significa conoscerne il destino costituito dal risultato della loro lotta segreta contro la morte. Tale conoscenza si ha solo quando si acquisisca una unione organica e ontologica, simile alla conoscenza profonda che gli uomini, esseri oscuri, acquisiscono tramite l'intima, spasmodica, unione carnale dei loro corpi, nel momento in cui l'amore giunge a compimento quale momentanea morte della persona nell'altro.
Solo così l'uomo conosce l'opera d'Arte. E ciò avviene con graduale intensità, analoga a quella provata dallo scultore - dal modellatore dell'opera d'Arte - allorché concepisce e crea, con travaglio di corpo e di anima, una figura perfetta, e la colloca sulla linea di confine del tempo. Felice colui che, con timore riverenziale, rivela la natura concepita astrattamente plasmando un'opera d'Arte perfetta, ricordo della bellezza. "Chi oserà denigrare la bellezza umana prediletta da Dio?" (Fernan Pérez de Oliva, Diálogo de la dignidad del hombre, Madrid 1982, p. 97). E nemmeno io, quando osservo un'opera d'Arte e partecipo a essa (Aristotele, Poetica, IV, 1-6).
Ma una profonda melancolia turba questa mia gioia personale. Lo stillicidio di amarezza nel mio intimo più profondo è causato dalla bellezza o è forse dovuto al fatto che la statua, riuscendo a prevalere sulla corruttibilità, a vincere il tempo, a sopravvivere alla mia morte e a durare, offusca la mia esistenza ?
2. L'Auriga fu creato nel tempo da una creatura del tempo, lo scultore, il quale visse il proprio pathos creativo con un impeto di pienezza. Anche lo scultore deve morire. Ma mentre egli, quale essere mortale, soccombe alla propria temporalità, (ricordiamo le parole di Anassimandro: "Gli esseri ritornano, corrotti, là dove sono stati generati, conformemente a una necessità; poiché pagano l'un l'altro l'ingiustizia che compiono secondo la disposizione del tempo"), l'opera d'Arte che plasmò, creazione di un essere temporale e mortale, non muore. Essa attraversa la corruttibilità del tempo come se la sua immagine e la sua enigmatica essenza possedessero l'eternità e l'eterna giovinezza, di cui parla Anassimandro. Nonostante il trascorrer dei secoli, la Statua, immune all'oltraggio del Tempo, costituisce una prova della propria bellezza. La glorifica. Infatti l'azione del tempo sul mondo è duplice: ora lo oltraggia, ora lo purifica. (Io ammiro la purezza speculativa di taluni uomini che ho avuto la fortuna di conoscere).
La caratteristica dell'Auriga, così come di ogni autentica opera d'Arte, non è la mortalità, come accade agli uomini. Eppure l'Auriga è melanconico. Perché la morte degli uomini viene a disperdere i fiori perfetti prodotti dalla civiltà. Il carattere diacronico della Statua non la protegge da questo tragico evento che tocca in sorte a tutto l'universo - l'estremo episodio della vita e del mondo.
Credo che le eccelse opere d'Arte siano melanconiche perché in esse l'artista infonde inconsapevolmente il lacerante dolore per la propria mortalità, imponendo loro di esprimerlo nel tempo. Affinché esse, come Omero, osservino dalla linea di confine del tempo i corpi degli esseri temporali che sprofondano dolorosamente nella morte, mentre esse rimangono a esaltare la bellezza con la serenità propria delle opere d'Arte che sfidano e vincono le leggi del tempo e della morte alle quali l'uomo è vincolato.- Finché la morte non vincerà anche il tempo stesso...
3. Ma il fatto che l'Auriga vinca il tempo significa anche che non perirà mai? Quell'incontro mattutino, avvenuto nel silenzio, fece emergere impetuosamente dal più profondo di me una radicale aporia che turbò il mio spirito e avvolse il mio corpo - il corpo che talvolta percepisce in maniera più completa dello spirito il soffio, il brivido del mistero. Questo mondo di cose sensibili, plasmato e dotato di una struttura, prima o poi sarà necessariamente abbattuto, distrutto, toccato dalla propria fine secondo una necessità, soggiacendo obbediente alla disposizione del tempo.
Infatti il mondo sembra essere affetto fin dal principio da una malattia di lunghissima durata chiamata chronos, tempo o, diversamente, morte. Ma anche lo stesso chronos è affetto da sempre da una malattia incurabile. "Il tempo soffre", annotò il visionario Theotokòpulos in margine a Vitruvio. Poiché il tempo ebbe un principio, di conseguenza avrà anche una fine, e sarà caratterizzato dalla eternità, dal non-tempo, dalla atemporalità. E immagino che avrà inizio da ciò la rinascita dell'universo e dell'uomo.
L'ispirazione nata dalla Bellezza pura diviene Arte, poi, in un determinato momento, assume una qualche forma. Per questo l'Opera d'arte non precede il tempo, ma è inscritta in esso. Quindi, benché essa sopravviva diacronicamente, è obbligata anche se solo di tanto in tanto, a soggiacere alla corruttibiltà e a soccombere alla irrefrenabile forza del tempo. Opera di un essere temporale, essa è penetrata nell'esistenza affetta, fin dal principio, dalla malattia del tempo. Sopravvive, ma non riesce a liberarsi del tempo. E quando il tempo sarà annientato, dovrà scomparire anch'essa? Come? Trasalgo al solo pensiero. Quando? Al più tardi, quando il suo Artefice, che in un determinato momento diede l'avvio al tempo, in un altro momento la distruggerà. E questo irrefrenabile, portentoso divenire del Creato si arresterà quando il mondo, mondo di corpi, cesserà. Questo costituisce l'altissima, incontestabile necessità, la giustizia cosmica, secondo la necessità.
Da:
Kostas E. Tsiròpulos Civiltà del corpo, Atene 1981, (trad. dal neogreco di M. Giachetti)