GEORG VOIGT

Contese letterarie in Roma.
Contesa fra il Poggio e il Valla.
Intervento del Perotti.
Contesa tra il Poggio e il Trapezunzio.
Contese dei greci fra loro intorno ad Aristotele e a Platone.

    Egli mandò contemporaneamente al Poggio e al Valla un messaggio, esortandoli ambedue alla moderazione e mostrando loro come con le loro ingiurie non facevano che rendersi ridicoli e spregevoli agli occhi del mondo. Egli si fece forte della sentenza di Agesilao, che cioè da tali ingiurie ognuno si forma un concetto suo proprio dell'ingiuriato e dell'ingiuriatore. Egli gettò perfino uno sguardo retrospettivo e dolente sul proprio passato e confessò di non poter più leggere le sue satire senza arrossire. Ma tanto sul Poggio quanto sul Valla non fece la minima impressione la sua allusione al giudizio finale. Perfino un tentativo di riconciliazione del Barbaro, al quale erano sempre state odiose quelle contese, rimase infruttuoso: per di più egli morì mentre ferveva ancora la lotta. Ma il Filelfo poteva ben rallegrarsi di essere stato profeta, quando il Valla morì nel 1° di agosto del 1457 e nel novembre gli tenne dietro anche il suo vecchio amico Fazio e il 30 ottobre anche il Poggio.

    Fra i greci alla corte di Niccolò V Giorgio Trapezunzio era il più celebre intrigante e dovunque la pietra dello scandalo, principalmente presso i latini, ai quali la boriosa presunzione del greco era intollerabile. Che egli avrebbe avuto delle brighe col Poggio era cosa da prevedersi, specialmente sino da quando ambedue avevano contatti quotidiani in qualità di segretari apostolici. Sappiamo già che il Poggio molti anni addietro, quando il Trapezunzio ebbe la sua prima contesa col Guarino, si espresse in proposito con un certo sarcasmo, quantunque nella stessa lettera avesse manifestato l'alta stima che faceva dell'ingegno del greco. Ma quando il Trapezunzio venne a Roma, pare che fra loro corressero rapporti abbastanza tollerabili. Il Poggio s'era giovato dei consigli di lui quando tradusse la Ciropedia di Senofonte. Papa Niccolò, che sapeva benissimo che il greco era il lato debole del Poggio, lo aveva, nell'affidargli la traduzione di Diodoro, rinviato a Giorgio per tutti i punti che offrissero maggiori difficoltà. La prima volta in cui la pace venne turbata, fu quando Giorgio ebbe notizia da Venezia delle espressioni usate dal Poggio. Questa volta il Poggio si giustificò, assicurandolo sulla sua amicizia che quelle parole non erano state pronunciate per offendere e deprimere il greco. Egli desiderava evidentemente di conservare quell'amicizia, che gli era assai utile. Ma il Trapezunzio, suscettibile per natura, non poteva dimenticare la frase maligna.

    Ben presto sopraggiunsero nuovi attriti. Il greco negò di aver ricevuto una somma di danaro assegnatagli dall'erario papale probabilmente per il lavoro fatto in comune col Poggio. Una volta essi si incontrarono in compagnia di molti loro colleghi nella cancelleria papale. Per provocare il Poggio, Giorgio si vantò apertamente, che il meglio delle traduzioni di lui era opera sua, e soggiunse al tempo stesso che l'ingrato, per far ridere i suoi amici,  aveva scritto un'invettiva contro di lui e l'aveva mandata a Venezia. Tu menti per la gola! gridò il Poggio. Allora il greco furibondo gli fu sopra e gli tirò due sonori schiaffi, e poi s'accapigliarono entrambi con tanto furore, che i colleghi a stento riuscirono a separarli.

    Ma questa volta il papa stesso s'interpose. Vero è però che in causa di quell'avvenimento il Trapezunzio dovette abbandonar Roma. Ma quando poi il papa gli perdonò e gli concesse il ritorno, sembra che gli abbia imposto per condizione quella di riconciliarsi col Poggio. Infatti a questo modo soltanto si può spiegare come ambedue si trovino novamente in corrispondenza espistolare fra loro. Il Trapezunzio si era lagnato presso il papa, che il Poggio avesse spedito a Napoli alcuni banditi romani per farlo uccidere. Tale accusa fu respinta dal Poggio, ma in tono di disprezzo. «Io ti posso giurare su quanto v'ha di più sacro, che non solo non ho concepito nessun disegno di toglierti di mezzo, ma anzi tu sei caduto tanto dalla mia memoria, che io appena potrei dire se tu sei ancor vivo o morto. Bisognerebbe davvero ch'io avessi maggior ozio che non ho per poter pensare al Trapezunzio. Per tal modo quel delitto non mi è passato per la mente, né mi passa ora, anzi per molte ragioni io dovrei desiderare che tu potessi vivere ancor a lungo, specialmente perché tu ha perduto nelle usure il tuo danaro, che ti faceva tanto superbo.»

Da GEORG VOIGT Il risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo dell'umanesimo, vol. II, Firenze 1890, pp. 143-151, trad. di D. Valbusa

 

[CONTINUA]