LIBRI GRECI IN ITALIA

 

 

        Col secolo decimoquinto comincia in Italia una vita letteraria così attiva, quale per avventura non si osserva oggisì se non nel campo industriale. Il primo segnale dato dal Petrarca trovò un eco in mille e mille cuori. In tutti gli angoli si va in traccia di vecchi codici, e non solo in Italia, ma anche all'estero, si riscontrano e si migliorano, si copiano e si diffondono. Il dotto non lavora più nella solitudine della sua cella, ma si fa innanzi ardito coraggioso nel campo letterario colle sue scoperte e colle sue produzioni. Si fondano cattedre che non hanno altro scopo fuorché di illustrare l'antichità e le due sue lingue classiche. Nelle repubbliche e nei principati gli umanisti acquistano una posizione sempre più elevata e vi trovano premi ed incoraggiamenti. Essi vivono fra loro come in una grande comunità che ha molte diramazioni, in una repubblica letteraria nella quale è accolto chiunque mostri ingegno e volontà di lavorare. Essi sono gli eroi festeggiati dell'epoca, e formano una nuova classe sociale sciolta da ogni pregiudizio di casta, libera ed indipendente e tuttavia altamente apprezzata e cercata dai grandi. Il pensiero e l'azione di questi uomini hanno la loro radice nell'antichità; di questa si raccolgono con venerazione gli scritti, le medaglie, le statue e le gemme, e i suoi palazzi, i templi, i circhi e i monumenti rivivono, per testimoniare della grandezza passata.

    Quando l'entusiasmo divampò e fu posto mano al lavoro, sorse in tutti, come nel Petrarca, il desiderio di salvare dei resti dell'antichità ciò che ancora poteva salvarsi. Tutti sentirono il bisogno di sgombrare gli antichi monumenti dalla ruggine di cui il tempo li aveva coperti. I libri, conservati nei e fuori d'Italia, parevano destinati a perire per la barbarie dei loro custodi; bisognava recuperarli o almeno copiarli... Il primo a farsi un gran nome in questo campo fu Poggio Bracciolini. Egli era venuto a Costanza in qualità di segretario papale, ma quando i prelati e i dottori s'ingolfavano in lunghe discussioni sulla scisma sull'eresia degli Ussiti, egli faceva tra sé le grandi risate. Anche la situazione molto critica del papa, a lui, che aveva già veduto la deposizione di parecchi altri, non cagionava un eccessivo dolore. Per ciò volse volentieri le spalle a tali cose e riguardò quell'epoca burrascosa come opportunissima alle sue ricerche letterarie, stimolato a ciò anche da' suoi amici fiorentino e veneziani che lo consideravano come una specie di missionario letterario sul suolo tedesco. Egli era cresciuto a Firenze fra i più appassionati raccoglitori di libri, ed era tale lui stesso. Sapeva benissimo che cosa si possedeva e che cosa interessava di cercare...

    Che la letteratura ecclesiastica fosse considerata da quei raccoglitori di libri soltanto in via accessoria, si comprende assai facilmente. Ma per questo non fu cacciata del tutto in disparte, né guardata punto con disprezzo. Al contrario, gli scrittori specialmente del tempo cristiano, che nei concetti e nella forma più s'accostavano agli antichi poeti e filosofi, furono accolti volentieri nel numero dei prediletti. Così anche questa letteratura ebbe qualche incremento. Fra i tesori che il Poggio e i suoi amici trovarono a San Gallo, contavasi anche uno scritto di Lattanzio (De utroque homine). Il Traversari, durate la sua dimora a Roma, trovò anche 39 omelie di Origine, che fino allora non erano conosciute se non pel titolo. La sua gioia non sarebbe stata maggiore se avesse scoperto i tesori di Creso e non minore fu quella del suo amico Niccoli quando ne ebbe notizia (erano le Omelie su Luca e quelle inoltre su tre Salmi). Quando l'Aurispa, al tempo del concilio di Basilea, rovistava nelle biblioteche tedesche, venne contemporaneamente in Germania anche il cardinale Albergati, come legato papale, e con lui il suo maestro di casa Tommaso Parentucelli, in seguito papa Niccolò V. In tale occasione quest'ultimo, uno del circolo dei dotti fiorentini, trovò un esemplare di tutte le opere di Tertulliano, che fu spedito  immediatamente al Niccoli. Così il fondatore della biblioteca di Vaticana ebbe una parte personale ed onorevole negli sforzi che si facevano per raccogliere e conservare. Nello stesso modo il veneziano Gregorio Corraro portò dal concilio di Basilea in Italia l'opera di Silviano Della Provvidenza di Dio, trovata in Germania. Nel complesso, però, la letteratura ecclesiastica era equabilmente diffusa in tutti i paesi della cristianità cattolica, mentre la classica si concentrò soltanto in quelli dove momentaneamente trovò cultori.

    Con lo stesso spirito con cui il Poggio e il Niccoli raccoglievano i tesori latini, cominciò anche la trasmigrazione degli avanzi letterari del mondo greco in Italia. Sino da quando il Crisolora era quivi comparso ed aveva guadagnato ammiratori entusiastici all'antica Ellade, si fece vivo anche il desiderio di aver libri greci. Ciò che di questi si trovava sul suolo italiano non richiamava certo alla memoria che quivi una volta questa letteratura avesse fiorito, quanto nella Grecia stessa. Trattavasi forse di un paio di esemplari di Omero, di alcuni scritti di Platone e di Aristotele e di alcuni Padri della Chiesa. Ma, viceversa, questi libri potevansi avere senza tante spese e con poca fatica nella Grecia stessa e specialmente a Bisanzio e nelle isole, ora per mezzo di qualche erudito, ora coll'intervento dei numerosi agenti del commercio fiorentino e veneziano. Leonardo  Bruni, il quale, per quanto si sa, fu il primo a fare una raccolta di libri greci, li riceveva ora per mezzo del Crisolora, ora in via commerciale da Cipro e da altri paesi. Più di tutto gli giovò l'amicizia che aveva col veneziano Pietro Miano, il quale, essendo lui stesso uomo colto e raccoglitore di manoscritti greci, li acquistava in Levante ne' suoi viaggi commerciali e volentieri poi li cedeva al dotto Bruni. Per mezzo di lui questi riuscì a conoscere Tucidide, le biografie di Plutarco e  diversi scritti di Senofonte. Soltanto per tali vie indirette fu possibile a Roma procurarsi i mezzi di studiare la lingua greca.

    Ma ben presto tornarono  indietro quegli italiani che erano andati a Bisanzio per quivi attingere alla fonte del sapere greco e e per acquistare libri greci. Essi  portarono con sé ricchi tesori. Fra essi il primo fu il Guarino, quantunque non avesse i mezzi di comprerare a piene mani. Il suo esempio e le sue affascinanti descrizioni, a quanto sembra, fecero nascere nel Niccoli l'idea di fare una gita in Grecia col Guarino, che parlava il greco, e col Poggio, per comperare libri in comune. Tuttavia la cosa non si effettuò; il Guarino prese moglie, il Poggio avrebbe dovuto venir prima da Londra, e poi mi sembra che mancasse chi doveva sostenere le spese. Cosimo de' Medici, sul quale s'era contato, preferì di affidarne l'incarico a' suoi agenti commerciali.

    Ma in questo campo il vanto principale spetta a Giovanni Aurispa. Ciò che il Poggio fu per la letteratura latina, egli fu per la greca. Conoscitore abbastanza istruito, abile investigatore, sperimentato nei viaggi e nel trattare con ogni genere di persone, l'Aurispa aveva, oltre a ciò, una bravura particolare nel comperare e nel far contratti. Tuttavia, per quanto anche avesse voluto essere ritenuto un dotto, egli comperò e vendette con tale abilità, che facilmente si avrebbe potuto credere fosse un librario di professione. Come e donde egli abbia ricevuto i suoi codici, era un segreto di cui si mostrava molto geloso. Ancor nel 1417, quando s'incontrò a Pisa con Niccoli, vendette a costui un Tucidide di molto antica scrittura. Se egli in tempi anteriori abbia viaggiato fuori d'Italia, si ignora. Nel 1422 fu a Costantinopoli e vi rimase sino alla primavera del 1423, comperando una quantità di libri greci, classici ed ecclesiastici. Ma sembra che avesse affari anche nel Peloponneso e con le isole. Il vecchio imperatore Emanuele II gli donò lui stesso alcuni volumi che contenevano la grande opera di Procopio, e un libretto di Senofonte sull'arte del cavalcare. I libri ecclesiastici l'Aurispa li mandò innanzi in Sicilia, sua patria, parte perché, come egli stesso confessa, gli erano meno cari, parte anche perché gl'indugi erano pericolosi; infatti egli fu accusato presso l'imperatore «di avere spogliato Costantinopoli di tutti i libri sacri». La sottrazione dei classici pagani, aggiunge egli, non sembrava quivi altrettanto riprovevole. Ma i suoi acquisti gli avevano creato a Bisanzio una così pessima riputazione, che un inviato greco, passando per Firenze, ebbe a qualificarlo per un furfante. E in realtà a Costantinopoli egli nn si lasciò più vedere.

    Quando l'Aurispa nella primavera del 1423 giunse a Venezia, portava nelle sue casse pesanti non meno di 238 volumi, una biblioteca addirittura, composta tutta di classici pagani. Egli aveva speso non solo tutto il suo danaro, ma aveva venduto anche i propri vestiti per soddisfare la sua sete di libri greci, e dovette prendere a prestito 50 fiorini d'oro per estinguere un debito fatto a Costantinopoli e per pagare il noleggio. In ciò s'intromise assai volentieri Lorenzo de' Medici, col quale fu convenuto che, a titolo di pegno, si depositasse un certo numero di libri presso Francesco Barbaro, al quale poi increbbe moltissimo di dover restituire tutti quei tesori. L'Aurispa avrebbe preferito recarsi tosto a Firenze, ma ne lo trattennero la guerra e la peste. Firenze era stata sempre la meta de' suoi pensieri: a Firenze mandava le sue relazioni, specialmente al Niccoli ed al Traversari, come faceva il Poggio da Costanza e da Londra.

    Da lungo tempo i fiorentini avevano desiderato un elenco dei libri che l'Aurispa aveva messo insieme a Costantinopoli. Ma egli lo fece attendere, perché sapeva l'arte di sollecitare la curiosità per rincarire il prezzo della sua merce. Una volta soltanto spedì da Costantinopoli al Niccoli un vecchio volume, ben conservato e di grande valore, che conteneva sette tragedie di Sofocle, sei di Eschilo ed oltre a ciò l'Argonautica di Apollonio. È questo il celebre codice della Laurenziana, che va innanzi a tutti gli altri per l'antichità e per la bontà del testo. Il Traversari n'era innamorato; egli era persuaso che il libro dovesse essere stato scritto prima del sesto secolo – oggidì si crede del secolo decimo – ed affermava non aver mai veduto un manoscritto più bello dei poeti greci, portando a cielo nel tempo stesso l'Aurispa, che aveva reso un servigio da vero amico. Ora questi era tornato con parecchie casse piene di tali gioielli letterari. Con ciò sperava di procacciarsi una posizione decorosa e tranquilla, e Cosimo si mostrò disposto ad aiutarlo perché l'ottenesse. L'Aurispa gli aveva narrato di aver portato con sé 300 volumi, e ciò non era esagerato se si teneva conto dei Padri della Chiesa spediti a Messina. Il Niccoli ed il camaldolese si adoperarono a tutto potere per attirare a Firenze il Creso dei librai, allo scopo di vedere i suoi tesori e di profittarne. L'Aurispa mandò a Firenze soltanto un breve elenco dei volumi più preziosi, fatto di pura memoria: egli possedeva quasi tutte le orazioni di Demostene in un volume assai antico, tutte le opere di Platone e di Senofonte che ancora esistevano, Diodoro e Strabone, Luciano, Dione Cassio ed altri. Di molte opere, come quelle di Platone e di Plutarco, aveva più esemplari. In realtà era una intera letteratura che si trapiantava in un nuovo e fecondo terreno.

    Il 10 ottobre 1427 Francesco Filelfo, reduce da Costantinopoli, tocco di nuovo il suolo della sua patria a Venezia. Lui pure aveva mandato innanzi un gran numero di libri greci che rimasero però quivi, a titolo d pegno, per qualche decennio nelle mani del Giustiniani. Altri ne portò con sé. Egli aveva acquistato qualche esemplare raro e prezioso, ma la sua collezione non poteva certo paragonarsi con quella ricchissima dell'Aurispa.

    Non ci tratterremo qui ad osservare ulteriormente come, col trapiantarsi di molti greci in occidente, crescesse ogni dì più il numero delle loro opere letterarie importate in Italia. Si direbbe quasi fosse una disposizione provvidenziale quella che spingeva la letteratura greca a cercare ansiosamente un asilo in Italia, quanto più dappresso incalzava il pericolo della conquista turca. E questo fatto fu veramente la sua salvezza, poiché ciò che non andò salvo in tal modo, perì interamente sotto il dominio della mezza luna.

 

Da GEORG VOIGT, Il risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo dell'umanismo, vol. I., Firenze 1888, pp. 234 ss., 260-265. Trad. a cura di D. Valbusa.