UN'OPERA CONTEMPORANEA

 

E L E T T R A

 di Mikis Theodorakis

 

    «In quanto compositore greco, sento di avere un rapporto privilegiato con la tragedia - con il tragico. Ciò non è dovuto soltanto alla familiarità che abbiamo sin dalla nostra giovinezza con i testi in greco antico, ma si spiega anche con la permanenza del soffio tragico quale i greci di oggi continuano a provare sia sul piano individuale che su quello collettivo. (...) Figure come quella di Medea e di Elettra restano come modelli nella scala dei valori della tragedia che ha imposto il dolore dell'anima come unica via verso la catarsi e, da lì, verso la liberazione.»

    Così si esprime Mikis Theodorakis presentando la sua tragedia lirica Elettra al Palazzo della Musica di Atene, opera interpretata dal Coro nazionale Glinka e dall'Orchestra nazionale di San Pietroburgo. Si tratta della seconda opera della trilogia Medea - Elettra - Antigone. La prima mondiale dell'Elettra era stata eseguita nel 1995 al Lussemburgo, nell'ambito delle manifestazioni celebrate nella capitale culturale d'Europa.  Dopo essere stata portata, negli anni successivi, in tournée in diverse città d'Europa, Elettra è stata eseguita per la prima volta sotto forma orchestrale.

    Elettra è stata composta da Mikis Theodorakis nel 1992 su libretto di Spyros Evangelatos, che l'aveva scritto ispirandosi alla traduzione della tragedia di Sofocle fatta da K. Ch. Myris. L'opera comprende due atti costituiti rispettivamente da nove e quattordici  scene. Il primo atto contiene dei lunghi monologhi, mentre nel secondo dominano l'azione e l'intensità drammatica.

    «Bisogna aver vissuto, esser divenuti maturi, per entrare in un personaggio come quello di Elettra» dice il compositore per spiegare perché aveva per lungo tempo evitato l'opera. Quando era studente al Conservatorio di Atene, le mentalità erano ostili all'opera e in favore della sinfonia.

 

Theodorakis: «Eccomi di nuovo... » (Avghì, 9 settembre 1998, estratti).

 

    Dopo un'assenza che è sembrata molto lunga ai suoi ammiratori, Mikis fa di nuovo atto di presenza e riempie le sue giornate di musica, di concerti, di viaggi. «Voglio che i miei amici comprendano che sto bene. Sono consapevole di aver ritrovato tutta la mia energia e, inavvertitamente, sono riuscito a risolvere tutti i problemi».

    Si pronuncia sulla "grande occasione" offertagli dall'organizzazione dell'Olimpiade della cultura. Infatti non è disposto a prendere una parte attiva in questo progetto: «Sono arrivato a una età in cui non ci tengo più a fare questo grande tuffo». D'altra parte questo progetto ha ai suoi occhi una grandissima importanza dal momento che esige «molte riflessioni e una mole di lavoro ancora più grande» e che «costituisce per noi una occasione unica per mostrare ciò che veramente siamo».

    Da parte sua, ha già espresso il suo modo di contemplare una Olimpiade della cultura, con centro a Delfi, e dove «l'essenziale ai suoi occhi non è il fatto di organizzare delle feste da una parte piuttosto che in un'altra, bensì di situarsi all'interno dell'essenza stessa della civiltà che propone». E se avesse una proposta da fare, sarebbe quella di realizzare il suo sogno di sempre, cioè che l'uomo, alleviato del suo lavoro-fatica potesse essere in grado di darsi ai piaceri della conversazione e della creatività.

    Quindi Mikis Theodorakis parla dei suoi progetti per l'autunno 1998 e per l'anno 1999: prevede altri concerti e recital, e tra l'altro l'esecuzione di composizioni come l'Axion esti, il Canto general o, la sua Prima sinfonia, ma anche la presentazione di lavori nuovi come la Rapsodia per chitarra, la Rapsodia per violoncello e l'opera Medea.

    Nel corso dell'intervista si è parlato della edizione di alcuni libri: Il musicista Mikis Theodorakis di A. Kutulas, edizioni Litanis, il secondo volume del libro Poesia e musica per i tipi delle edizioni Ypsilon, e di un disco intitolato Asmata, un disco molto eclettico secondo la sua interprete Maria Faranduri, poiché riunisce insieme canzoni su testi di Manolis Anagnostakis, Kostas Kyriotakis, Manu Eleftheriu, Léopold Senghor, Michalis Gana, Ina Kutula. Questo disco realizzato all'insaputa del compositore ha per lui un significato particolare perché contiene le due ultime canzoni che scrisse insieme a suo fratello Giannis, oltre a Lyrikomata, la sua composizione più recente, e la commovente Ho avuto tre vite.

 

 

Theodorakis: «Viviamo in un Sahara spirituale». 

(Estratti da un intervista con Katia Arfara, To Vima, 15/11/1998)

 

    Elettra, un'opera contemporanea o, più esattamente, una "tragedia lirica", come la chiama il suo compositore che ci rivela il percorso che l'ha condotto a questa creazione artistica.

 

    - Cosa significa "scrivere un'opera ispirandosi a una tragedia antica"?

    - Ho deciso di mettermi a comporre una musica basata sulla tragedia antica solo quando mi sono sentito maturo per farlo. Fino ad allora non avevo contemplato il problema di esprimere musicalmente un personaggio e, per estensione, la maggior parte dei caratteri-personaggi (come quelli che incontriamo nelle tragedie) che provengono dai miti dove sono abitualmente esaltati in qualità di archetipi. Ciò significa che seguendo gli sviluppi inestricabili del mondo interiore di Medea e di Elettra, entriamo in contatto con la febbre del carattere umano, là, nell'universo segreto ove si nasconde il mistero della creazione.

    L'uomo è nato a immagine e somiglianza dell'armonia universale? E a quale prezzo può essere in comunicazione con il centro di questa armonia, al punto di diventare davvero luce? Penso che nell'ultimo minuto dell'Elettra l'eroina diventa veramente luce. Vale a dire, essa acquisisce la sua pienezza pagando il prezzo insostenibile della sua partecipazione al matricidio.

    - Nella sua qualità di compositore, qual è il suo rapporto con il tragico e con la tragedia?

    - Io sono un greco di questo nostro tempo. Forse anch'io ho capito qual è il prezzo insopportabile pagato da quanti hanno cercato di capire il passato drammatico vivendo personalmente una tragedia.

    - Oggi, Elettra, non potrebbe servire da "cerimonia religiosa funebre", come lei stesso dice in maniera assai caratteristica nella nota che ha previsto per il programma del palazzo della musica?

    - Elettra, come le altre due tragedie Medea e Antigone, possono essere considerate opere vive e forti, capaci di affrontare l'usura del tempo e  credo che la loro influenza sarà di lunga durata.

    Esse richiedono delle esecuzioni pubbliche, registrazioni, analisi e ricerche. Parallelamente è indispensabile che la nostra esistenza riceva un supplemento di anima perché da qualche decina di anni a questa parte la nostra vita si trova su un terreno inaridito e sterile, direi quasi un Sahara spirituale, e in tale situazione in cui sarebbe piuttosto ridicolo parlare di "cerimonia religiosa" che presuppone almeno una condizione spirituale e psicologica di una certa chiarezza interiore per poterci elevare al di sopra della routine di una vita di miseria, senza ideali né bellezza.

    - Quale nuova dimensione vorrebbe dare al mito di Sofocle?

    - Come ho già detto, abbiamo a che fare con degli archetipi. Archetipi di caratteri, di sentimenti, di situazioni, che mettono alla prova i limiti fondamentali della condizione umana. I cammini che deve seguire il compositore per studiare lo sviluppo del mito, lo mettono a dura prova dal punto di vista spirituale...

    - L'opera non è un mezzo non convenzionale per mostrare una tragedia antica?

    - L'opera, come genere, esiste da circa quattrocento anni. In effetti ci sono vari tipi di opera, diverse scuole, compositori diversi, che differiscono considerevolmente tra loro. Quanto a me, chiamo le mie opere... tragedie liriche. Tuttavia l'esistenza dei mezzi universalmente conosciuti come gli a solo, i cori, e soprattutto l'orchestra sinfonica, le fanno classificare, che lo vogliamo o no, in quello che normalmente si chiama opera.

    Bisognerebbe che in futuro ci fosse un allestimento assolutamente originale della scenografia, di modo che le tragedie liriche possano cominciare a differenziarsi dalla tradizione operistica occidentale.

    Inoltre vorrei parlare di un particolare "modo ellenico" per quel che riguarda la maniera di cantare gli a solo, che per il modo di pronunciare le vocali, ma anche le consonanti, si avvicina allo stile dei nostri cantanti classici e popolari.

    Infine, la parte predominante svolta dal coro che è la stessa parte che svolgeva il coro antico, pone al regista dei problemi completamente nuovi, soprattutto riguardanti il movimento e l'equilibrio degli interpreti degli a solo.

 

 

Da Bulletin Franco-Hellénique,

n° 30 - inverno 1998, pp. 12-14