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MAURO GIACHETTI
LE POESIE «GRECHE» DI RENZO CREMONA
Il volo di Icaro
A sera siedo qui.
Osservo il cielo e disegno
le nuvole
stanchi rigonfiamenti d'aria.
Le mia mani ricolme d'argento.
Cerco un modo per raggiungere il sole, ma
la distanza è incolmabile.
Volo d'Icaro,
turbinio di polvere d'oro.
Fin dalla mio primo incontro con le liriche
di Renzo Cremona, sono stato colpito sia dall'afflato entusiasta – nel vero
significato etimologico del termine! – con cui egli riesce a lambire le
corde della nostra sensibilità, che dalla sua tensione tutta volta a voler
ridurre a metafore universali le sue esperienze per donarcele in forma di
versi. E sono stato piacevolmente turbato nel ravvisare in gran parte di questa
poesia soprattutto quella costituita da liriche
brevi e epigrammatiche , numerosi riecheggiamenti risolutamente
alessandrini, kavafiani. Ma anche affinità penniane:
breve
discorso sulle differenze
diverso
mi
vollero.
per
timore di essere
uguali.
e riverberi scritturistici dal Cantico dei cantici:
lo
schiavo bianco
bello
come
il sole sei,
amante
mio
come
le rocce di un promontorio scosceso, come
una
pianta che cresce aspra nel deserto
in
una sete incontenibile
di
luce.
Non conosco personalmente Cremona, e ho
solo scarne notizie circa la sua biografia. Ma dopo aver letto le sue liriche
posso affermare che in un determinato momento della sua esistenza egli ha
deciso di affrancare se stesso e la sua arte dagli elementi scontati e dai
logori luoghi comuni, e ha trasfigurato il mondo rassicurante o inquietante in cui si aggirava, in un turbinio di
polvere d'oro, in espansioni d'estasi dove i confini non sono più
riconoscibili. Le sue parole, caratterizzate da una umiltà nuda e prudente,
riescono sempre a rivelarci realtà semicelate e misteriose in cui palpita
l'evento di cui, senza la mediazione del poeta, noi non ci accorgeremmo.
Decisamente invaso dal suo daímon, Cremona è riuscito a scoprire se
stesso e a trasfondere a goccia a goccia la sua vita nella sua opera. Perché
solo quando il poeta viene invaso dal suo daímon
può trascendere le vicissitudini personali e mutarle in poesia dai significati
simbolici universali.
L'opera poetica di Cremona è fatta di
distanze incolmabili ed è gremita di bagliori provenienti dai limiti supremi.
In questa dimensione può capitare d'intravedere il mistero dell'anima sul
confine definito da un tralcio di rugiada, oppure di udire il mormorio
d'un'argentea fontana, trafitto da un raggio di sole. A mano a mano che
entriamo sempre più all'interno di questo cosmo poetico, può anche accadere
che, tra barbagli d'ombra, c'investa un effluvio di salso e che – esperienza
agghiacciante! –, granelli della sabbia di tutta la vita trascorsa penetrino
nei nostri occhi e ci riempiano la bocca.
Ben presto ho notato che tra i fili
conduttori, o meglio, tra le tematiche che caratterizzano questa poesia, ve n'è
una che predomina decisamente sulle altre e che Cremona deve amare in modo
particolare: la mitologia greca e il mondo greco, con una particolare
attenzione a Bisanzio. Infatti da Il volo
di Icaro, la lirica che dà l'avvio alla sua prima silloge (Foreste sensoriali, 1993), a Ecuba, la poesia che chiude la sua
ultima raccolta (La pergamena delle
mutazioni, 2002), assistiamo a un susseguirsi sempre più incalzante di
personaggi e luoghi della mitologia greca, a cui si frappongono qua e là
sprazzi che ci prospettano inattese visioni di Bisanzio e vicende della sua
storia. Le liriche intitolate In un monastero bizantino e Bisanzio sono state per me una
folgorazione! Pur essendo senza alcun dubbio autenticamente sue, le ho messe subito in relazione con le poesie bizantine di Yeats, delle quali
mi sono sembrate un proseguimento onirico (e dissimile, certo, ma) naturale e
organico. Leggiamole.
In
un monastero bizantino
Quasi
naufragando tra poco arriva il nuovo giorno.
Come
nella foschia
antichi
villaggi fiamminghi
dispersi
nella
campagna
tornano
a visitare i miei orizzonti prima dell'alba.
L'autunno
è alle porte,
lo
sento
dal
ricordo che si è fatto più acuto, dalla tua
immagine
che
torna a trovarmi come un tempo.
E
nel mio sogno vedo
orme
di
viaggiatori medievali
in
cammino verso le frontiere del sole,
nell'allucinazione
indistinta del dormiveglia
intravedo
forse
me
stesso
tra
le righe di un manoscritto
in
mezzo all'inchiostro delle mani e nella follia dei
miei
giorni
navigare
alla deriva
nelle
geografie dell'estasi.
Bisanzio
In
uno stato di delirio per nulla apparente
mi
alzo
la
notte
in
cerca della memoria che si sta perdendo. E la sento,
è
un'eco che perde forza mano a mano che percorro le pareti e
disincaglio
le dita dalle ragnatele dei ricordi,
mentre
scruto carte
e
diari di bordo
per
trovare una rotta qualsiasi in una geografia appannata.
Quasi
sempre è un corridoio,
e
succede di vedere
la
luce di un televisore acceso altrove
che
illumina immagini di qualcosa che io non sono più,
in
una stanza che non riesco a raggiungere, per quanto
continui
a camminare, dove si pronunciano parole
che
io
non
conosco.
Ho attinte queste due liriche alla
raccolta Lettere dal mattatoio (2002),
ma nella tematica bizantina di
Cremona vi è un mirabile antefatto, una poesia inedita del 1991, La caduta di Bisanzio, che, tra l'altro,
sposta indietro di almeno una decina di anni l'interesse del poeta per la
Seconda Roma. In questi versi scarni è magistralmente delineata con poche
parole dal tono oracolare, l'atmosfera che doveva gravare effettivamente su
Costantinopoli, quella notte suprema del 29 maggio 1453, soprattutto in Santa
Sofia, dopo che i cristiani, greci e latini insieme, vi celebrarono la loro
ultima funzione religiosa:
Cattedrali
mute. Orde
di
incubi
oscuri.
L'ultima silloge di Cremona, La pergamena delle mutazioni, è
suddivisa in quattro parti: Le braci, La
pergamena delle mutazioni, Esperienze di pre-coma: storia di Ofelia e Coma profondo. Quest'ultima sezione è
tutto un susseguirsi di liriche ognuna delle quali è un monologo drammatico,
spesso venato di ironia, espresso in prima persona, e che il poeta mette sulle
labbra di alcuni personaggi della mitologia greca: Cerbero, Persefone, Tiresia,
Atena, Crisotemi, Orfeo, Euridice, Aracne, Clitemnestra, Cassandra, Achille,
Penelope, Ecuba.
Le narrazioni proferite dalle figure di
questo colto catalogo sono episodi, aneddoti, narrazioni rivelatrici (e ci
piacerebbe sapere fino a qual punto autobiografiche), che intrecciandosi con
taluni personaggi del mito creano nuove vicissitudini legate a loro – Orfeo ed
Euridice, ad esempio, Penelope e Atena, Clitemnestra e Agamennone – che costituiscono vere e proprie esaltazioni
della kosmoqewriva poetica di Cremona quale yuch;
kovsmou.
Eccellente
rinnovatore di antichi modelli mitologici, Cremona crea narrazioni
poetiche sulla falsariga degli antichi miti che egli modernizza e trasfigura
attraverso le sue sensazioni personali, sì, ma che al di là della sua
interpretazione soggettiva, continuano a svolgere la funzione precipua dei
miti, come porre le cose sconosciute in rapporto con quelle conosciute o di
rimettere un lontano passato mitologico in contatto con il presente e, quindi,
con noi.
Dal momento che la familiarità con la
maggior parte dei miti è data per scontata, il poeta si prende la libertà di
introdursi in un racconto senza giustificazioni o preamboli, e appone sin dal
principio la propria impronta su un mito già noto. Purché egli si attenga ai
tratti fondamentali di un determinato mito, gli è permesso di fare del resto di
esso quasi tutto quello che desidera, come creare una interpretazione sua,
inserire nuove vicende e nuove figure, mettere gli antichi personaggi del mito
in nuove relazioni e perfino portare a compimento l'episodio con un epilogo
inatteso, facendo collimare concetti di importanza universale con aspetti più
quotidiani della vita, trascendendo l'evento, l'episodio, l'eterogeneità dei
tempi. I miti greci furono e continuano a mezzi estremamente efficaci a tale
scopo. Vediamo ora l'interpretazione cremoniana del mito odissiaco.
penelope
giunse
un giorno atena e così mi parlò:
‘di
questa tela che tessi vedi i cammini:
se
guardi bene
ti
accorgerai
che
stai costruendo la strada della tua vita’.
la
dea non mente:
guardo,
infatti, e intravedo i primi passi di mio figlio,
ne
riconosco il padre in un cavallo di legno,
vi
leggo mappe tracciate e lunghi percorsi.
anche
scogli, vedo, e un ritorno attardato al crepuscolo.
ne
sono felice,
dopotutto
gli dèi con me sono stati benigni.
fin
qui la trama
ma
i conti non tornano perché,
se
osservo l'ordito, ecco che
sotto
le mie dita si disegnano
telemaco
divelto dall'aratro,
odisseo
fuggito per il rimorso,
case
che crollano e voci
che
si affollano nella notte.
e
non sono ancora arrivata a metà che già
vedo
una mano scivolare bianca
dalla
lettiga di una sala operatoria.
così
mi fermo.
non
oso risalire l'avambraccio e vederne il volto.
ecco
perché da allora trascorro notti inesausta
cercando
d capire quale destino io debba leggere,
quale
sia il filo da bruciare,
in
che direzione i miei piedi possano procedere.
ecco
perché da secoli
continuo
a
tessere
e disfare
la
tela.
La lettura di Cremona ha corroborato
alquanto il mio antico convincimento secondo cui che le vite dei veri poeti,
anche molto distanti nel tempo e nello spazio, sono parallele come quelle di
Plutarco, se non di più. Ho letto le sue liriche e ne sono rimasto affascinato.
Un motivo in più, quindi, per riconoscere a questo giovane cantore il pieno
diritto di dimorare, kavafianamente, «nell'Eccelso Mondo di Poesia» (C.
Kavafis, Passaggio, 1917), e di
essere accolto unicamente per quello che è. D'altra parte la autenticità di un
poeta è una sola e irripetibile, scaturisce dal tempo di cui è fatta l'essenza
della sua vita, quel tempo della cui validità egli costituisce l'elemento più
significativo e, poiché con la poesia ha trasceso la vita, ne costituisce anche
l'elemento più prezioso.
Mauro Giachetti
Firenze, 16 novembre 2002 A.D.
BIBLIOGRAFIA
MAURICE
BOWRA, Mito e modernità della letteratura
greca, Milano 1968
——— , L'esperienza
greca, Milano 1973
CARL J.
JUNG, La simbolica dello spirito,
Torino 1975
JAMES HILLMAN,
Saggio su Pan, Milano 1977