Siamo mortali perché
muoriamo. Appena cominciamo a esistere si schiude subito l'orizzonte della nostra
mortalità, la cui confutazione è insita nella nostra stessa esistenza. Questo
perché esistiamo e vogliamo esistere. È innato in noi il desiderio di essere
immortali. Illusione, vanità, passione
inguaribile. Eppure questa passione esercita una influenza decisiva sulla nostra
vita.
La corruzione ci
tende agguati ma non ci elimina. La corruzione del nostro corpo, la corruzione
della generazione cui apparteniamo, la corruzione delle cose. Se non la loro
metamorfosi. Abbiamo la consapevolezza di essere vittime di un procedimento
che si ripete senza fine, o di un vuoto che si apre impietosamente in noi quando
tale procedimento manca. E diventiamo figli del tempo che, inavvertitamente,
ci annienta.
Per questo un giorno
fulgido come quello della resurrezione ci stupisce. È come se uscissimo da un
letargo. E affrontiamo questo giorno impreparati, ma con il sospetto che stia
accadendo qualcosa di grandioso, come la luce che lo illumina. Questo è un giorno
per rendere grazie. Rendere grazie per la luce, per la vita, per l'amore che
trionfa nei cuori, per la vittoria sulla morte secondo la testimonianza di Gesù
«qanavtw qavnaton pathvsa"».
Anche se ne sentiamo
per un solo istante l'esaltazione che ci conduce lontano, fino alle radici del
nostro essere. E diciamo con mille voci: «Dolce è la vita, la morte è tenebra.»
Siamo assetati di eternità e vogliamo vincere la morte, l'annientamento della
vita che sta in agguato dentro la vita, con la conseguente perdita dei nostri
amici, e con la scomparsa definitiva di noi stessi. Se l'amore, la passione
ardente per la vita, ci abbagliano con la loro magia e ci rivelano il senso
di tutto ciò che esiste, la decadenza dell'amore, la repulsione ontologica,
lo spirito che nega, ci annullano. Come potremo vincere la morte con la vittoria
che proprio in questo giorno celebriamo?
Viviamo con timore
reverenziale o con nostalgia il dramma della passione e della redenzione, del
seme che viene sotterrato e che rinasce, del Dio dell'amore che testimonia,
muore e resuscita per noi. Nella nostra memoria si destano le figure e le vicende
remotissime di Persefone, e anche quelle di Dioniso che, sbranato dai Titani,
riemerge trionfante dalle loro ceneri. Ci consola il trionfo della vita palpitante
che rinasce sotto nuove forme sconfiggendo la corruzione.
Oggi il ciclo del
tempo continua a confermarci che il portento della palingenesi si ripete. Mentre
la luce sempre nuova del giorno illumina gli uomini, una generazione si succede
all'altra. Eppure questo ciclo ci assedia minacciosamente perché non esiste
via d'uscita, perché il suo reiterarsi conduce a una vana ripetizione priva
di senso, perché anche questo ciclo è minacciato oltraggiosamente dalle nostre
opere. Nietzsche, scagliandosi contro la corruzione che sta desolando il suo
secolo, voleva sfuggire al cappio soffocante del tempo ritornando allo spirito
della palingenesi. L'eterno ritorno del ciclo delle creature che dileguano e
ritornano, diventa per lui l'affermazione dionisiaca dell'eternità. Il Dioniso
crocifisso viene redento nell'estasi dell'eterno ritorno. Così dalle rive della
Silvaplana si smarrisce in una visione – surrogato della morte di Dio – i cui
rimorsi sono pagati oggi dalla gioventù che si rifugia nel torpore delle allucinazioni.
Ma la morte sta
in agguato e oggi insidia non solo lo spazio terreno che ci è così famigliare,
ma l'anima umana stessa. Ed è a essa che è rivolto il gioioso messaggio della
resurrezione.
Oggi l'anima è minacciata
dalla corruzione totale. Perché ha perduto le sue fondamenta: la fede nella
luce, l'accettazione della vita, la fede nel fondamentale valore e nella sacralità
dell'esistenza umana. E si commisera in un mondo che vacilla senza senso. Per questo si sveglia stupita
nella luce divina della resurrezione, sussultando in essa anche solo per un
istante, percependo qualcosa di simile al fremito dell'immortalità di quella
luce, come se la tenebrosa notte della morte non dovesse più colpirla. La luce
di resurrezione che l'ha generata s'aggira in luoghi incerti, accendendo nella
notte della morte la propria luce che risveglia.