IL POEMA EPICO MASSIMO

di Christos Malevitsis

Sono stati scritti molti grandi poemi epici, ma il più grande di tutti, quello massimo, non è stato mai scritto. Si tratta dell'epos della kosmikh; fanevrwsi", la manifestazione del mondo. Il grande poema epico di Omero è soltanto una frase all'interno del poema massimo. Una frase importante tuttavia, per quanto possa giudicare l'uomo, il quale prende parte come Ulisse a entrambi i poemi. Solo che nel poema massimo la frase di Omero è invertita. Secondo la visione di Tiresia (XXX, 121-137), alla fine del suo errare sul mare Ulisse procederà sulla terra ferma fino a una regione in cui gli uomini non avranno mai sentito parlare del mare. Nel poema epico massimo la materialità della manifestazione del mondo è la terra ferma, che precede. E la spiritualità della materializzazione è il mare, che segue.

La nostra coscienza interpreta l'esistenza del mondo come una realtà scontata e semplice. L'esistenza della vita soprattutto. Allo stesso modo considera scontata e semplice l'esistenza dell'uomo. Perfino il pensiero più elementare considera concepibili questi concetti inconcepibili e vertiginosi. E li considera soprattutto facilmente accessibili. Dietro a questa semplicità di coscienza vi è una causa assai profonda. Se potesse concepire l'immensità di ciò che è inconcepibile e vertiginoso non reggerebbe e crollerebbe. Cadrebbe in delirio.

Eppure vi sono momenti in cui abbiamo un vago sospetto di ciò che accade oltre la logica. La mente non riesce a comprenderlo in modo sufficientemente chiaro né per mezzo della scienza, né per mezzo della filosofia, né per mezzo della religione. Lo comprende il mito a modo suo. Perché il mito possiede la destrezza di parlare per immagini e allusivamente. E se la nostra anima ne ha un vago sospetto, è perché essa possiede una dimensione mitica. Al punto che sia la filosofia e ancora di più la religione ricorrono a formule mitiche. Sono queste che narrano qualcosa del grande epos del manifestarsi del mondo. Perciò anche la Bibbia, narrando miticamente la creazione del mondo, è più vicina alla verità poiché fa parte del grande epos del manifestarsi del mondo.

Perché deve esistere il mondo e non il nulla? Non possiamo dare una risposta a questa domanda. Perché ignoriamo il principio. E il fatto che ci troviamo nel mezzo della procedura di questa manifestazione ineffabile non è poco. Il mondo "scricchiola come una macina", per usare una frase di Sikelianòs. È il divenire dell'esistenza. È la guerra del Maha-Bharata. Sta accadendo una gigantomachia il cui teatro di guerra è l'universo intero. Le gigantesche sfere vengono lanciate nel caos. Roteando come ferri roventi, miliardi di soli illuminano l'esistenza scampata. Rotolano le galassie nei terribili spazi. Gemono infinite volte le infinità degli elettroni. I quali tramano unioni per tessere l'ordito. Per giungere alla vita. La vita come manifestazione delle manifestazioni ci fa sorgere tremendi sospetti. Sembra che l'intera lotta universale avvenga per portare all'esistenza la vita, questo mistero dei misteri. E la materia vivente scagliata nell'occhio divenne diafana e il mondo s'illuminò. Poi la materia illuminata fu scagliata nell'encefalo dell'uomo e divenne diafana e si ebbe percezione del mondo. È questa la meraviglia delle meraviglie. L'uomo, l'unico essere nell'universo che sa di sapere, che ha coscienza di se stesso: che esiste; e allora esultò, e allora fu atterrito; e allora udì una chiamata, che denominò chiamata di Dio, e sentì nostalgia del mare mentre si trovava gettato sulla vetta della montagna cosmica della materialità, come Edipo sulla vetta del Citerone. E prese la strada della discesa verso il mare, che si trova lontano, molto lontano, oltre le montagne che costituiscono il paesaggio impervio e pericoloso della vita sulla terraferma, della vita nella materialità. Ma la nostalgia del mare è irresistibile. Se il mare è situato all'estremità dell'Omega, la sua chiamata fu udita già al punto di partenza, nell'Alfa. Omega è la fine, ma fu udito già nell'Alfa. Altrimenti non esisterebbe nemmeno l'Alfa. Siccome esiste l'Omega esiste anche l'Alfa. Se l'W lo chiamiamo Dio, allora la coscienza di sé, cioè l'uomo, e Dio, coesistono, non possono sentirsi come essenze indipendenti l'uno dall'altro. La verità è che l'esistenza di entrambi è costituita dal loro rapporto. Sono entrambi percepiti entro il loro rapporto; senza tale rapporto l'uomo ritorna alla luce dell'occhio, non alla luce della mente, e Dio ritorna nel nulla divino. Se Omega è l'estremo, allora poiché si manifesta insieme alle altre cose, l'uomo è l'Alfa e l'Omega, è l'essere escatologico, ejx ajrch'". Per questo l'uomo non si sviluppa come essere spirituale, cioè da quando avvenne la rottura della sua condizione nel mondo e comparve la sua autocoscienza assoluta di per sé. E in quanto assoluta comunica con l'assoluto, che è ciò che chiamiamo Dio, e che è comunicazione di spirito. L'uomo quale essere spirituale agisce sotto illuminazioni alternanti. Questo è il procedimento previsto da Sofocle per Edipo che si muove in virtù di successi oracoli di Dio e sempre in connessione con le misteriose parole di questo Dio, cioè del punto W. Il quale parlò di Edipo ancor prima di egli nascesse, perché l'W procedette dall'A e determinò l'A quale punto iniziale dell'W. Vale a dire l'A è già W.

Percorrendo la terraferma l'uomo giungerà inevitabilmente - dal momento che va avanti, anche se potrebbe fermarsi da qualche parte definitivamente - giungerà all'estremo promontorio della materialità, da dove vedrà il mare infinito che dovrà attraversare. È il mare della spiritualità per il quale l'uomo è stato creato uomo. Il viaggio sulla terraferma viene fatto a piedi. Per il viaggio sul mare i piedi sono inappropriati. Che sono inappropriati lo capì Sofocle dando a Edipo dei piedi incerti. L'uomo, provenendo dalla terraferma, non dispone di alcun mezzo per solcare il mare, per questo si serve di un elemento marino, cioè dello spirito, vale a dire la zattera. Sono gli inviati da Dio, sono i profeti, sono le rivelazioni, sono gli oracoli, è la missione dello stesso figlio di Dio, è la Chiesa che viene gettata come zattera per raccogliere le anime e traghettarle al di là del mare. È il legno della vita, della morte e della resurrezione. È la nave magica dei Feaci. Che si accampano sul promontorio della materialità indifferenziata dell'acqua e sono marinai. Per questo Posidone, che è la divinità dell'elemento indifferenziato primordiale, per annientare ogni possibilità di passaggio, pietrificò la nave e chiuse il porto circondandolo di monti.

Da Efthyni, 288, 1995, pp. 596-598
Trad. dal neogreco di Mauro Giachetti