DUE MONOLOGHI DI
COSTANTINO BURAS DA

NELLA COSTELLAZIONE
DI ECATE

Titolo originale:
STON ASTERISMO THS EKATHS
Atene 1997

Traduzione a cura di
Mauro Giachetti

 

CASSANDRA

[monologo]

    Il mio problema è che non tolleravo freni. Per questo sono diventata sacerdotessa d'Apollo, per non sposare un guerriero che sarà ucciso in battaglia. E quando il gran sacerdote d'Apollo, travestito da dio e cosparso di polvere d'oro,  venne a violentarmi, accettai con gioia perché era bello e somigliava veramente al dio, esausto e ansimante sul mio petto. Il mio problema è che non ho messo freni alla mia lingua, pareva mancasse qualcosa, quell'essenza che rende gli uomini logici. Poi, col tempo, escogitai un trucco: mi misi a parlare per enigmi. Così mentre io mi sfogavo e mi sentivo soddisfatta, loro capivano quello che volevano. Se questo non mi bastava andavo nello Scamandro, in un punto dove l'acqua sprofondava nelle viscere della terra con un fracasso infernale, parlavo finché i polmoni non mi si stancavano, e mi rinnovavo nel silenzio. Leggevo molto. Il mio gran sacerdote mi dava in prestito libri della sua biblioteca segreta. Adoravo le lettere d'amore e le memorie, perché mi facevano sentire più vicina al dolore degli uomini quando si trovano di fronte alla fine che li aspetta, forse per la prima volta.

    Sono cresciuta con sogni di morte, ma sereni: una spiaggia con gigli e uccelli migratori, tutti con sfumature lilla.

    E, qualche volta, di nuovo silenzi e accordi di luna, nel pozzo spaventoso, dove nuotavano pesci fosforescenti della nostra giovinezza.

    Con questi pesci un profeta, secoli dopo, avrebbe nutrito migliaia di affamati.

    Sono cresciuta con sogni di morte, forse per questo la morte non mi ha mai spaventata. Mi spaventa la vita, la guerra, la violenza, la stupidità degli uomini. E poi quell'assurdità d'uccidere per esorcizzare paura e morte.

    Ma io non temo la morte, e anche per questo non posso uccidere. Nemmeno l'allodola che mi sveglia alle prime luci dell'alba. Ora vado a Micene. Vedo il crepuscolo per l'ultima volta. Mi attende la scure bipenne.

    E poi chissà! Può darsi che diventi un giglio marino che sarà calpestato da mostri preistorici. Ora ritorno al luogo di partenza. Luce! Fatemi luce! Il crepuscolo agonizza e sta per dileguare.


 

PIZIA

[monologo]

    Che orrore vedere il futuro degli altri e ignorare il proprio. Spesso lascio che le voci dei morti mi narrino gli innumerevoli misteri del mondo. Tutti mi promettono che vedrò molte volte il disco del sole e l'avvicendarsi delle stagioni. Questo dovrebbe rendermi tranquilla. Invece sono spesso inquieta. Anche se fumassi tutte le foglie d'alloro di Delfi. Anche se mi portassero tutte le foglie che rendono meno inquieto il corpo e liberano l'anima sull'orlo di questa vasta terra. Non compatisco le persone che vengono a parlarmi delle loro pene. M'impappino e rispondo loro per enigmi, così non sciolgo il groviglio del mio pensiero e non li atterrisco. Si potrebbe pensare che non amo la gente, ma perché dovrei amarla? Mi sembrano più dignitosi gli alberi per come sopportano in piedi il proprio destino. Anche gli uccelli mi paiono più utili per come infestano i boschi con la melodia della loro pena.

    Altre volte sprofondo in un sonno con gli occhi aperti e divento buona con gli uomini, buona con la gente, amichevole. Come gli scogli nel mare con le onde.

    In quella condizione, vedo i sogni degli altri, i loro incubi. Amori presi in prestito, vizi altrui.  Per me l'amore non significava nulla. Il vento passa attraverso gli aghi dei pini, mi sfiora il corpo più a lungo e fa trasalire la lira della mia anima.

    Quando m'addormento distribuisco sorrisi agli uomini e allora le città diventan prospere. Quando mi sveglio scoppierà una nuova guerra, le madri seppelliranno i corpi fatti a pezzi dei loro figli e gli orfani dormiranno abbracciati agli abiti insanguinati dei loro padri.

    Allora tutti, come impazziti, si mettono a chieder profezie, e io mi stanco terribilmente a forza di parlare.

    La verità sta sotto un velo difficile da penetrare, la verità esiste per gli dei e per i profeti. Nei pochi istanti che riesco a dissipare la nebbia che me la tiene nascosta, m'inebrio, sì, ma non con l'alloro, come si è soliti credere, bensì per la rivelazione stessa. Allora parlo a doppio senso, perché solo così si può gelare la chimera, perché solo così si può cogliere l'inconcepibile.

    La verità esiste fuori di noi e dentro di noi; solo che nessuno le resiste a lungo.