© KOSTAS E. TSIRÒPULOS
Il problema principale che l'uomo – creatura problematica e creatrice di problemi – deve affrontare esistendo in questo mondo, è la duplice questione dei propri rapporti con se stesso e dei propri rapporti con l'altro. E questo altro, nella dimensione verticale della funzione dell'uomo, è Dio; ma dal punto di vista della funzione orizzontale è il prossimo. La storia intera sembra fondarsi su questo problema con tutte le conseguenti implicazioni etiche, sociali, economiche e ideologiche. E la vita stessa vi ha nascosto profondamente le sue sacre radici e la felicità dell'uomo solitario, isolato. Perché l'uomo è fin dalla propria origine un essere solo che lotta disperatamente per domare, se non per distruggere, la propria solitudine.
Getta senza sosta scale verso gli altri; cerca di rinforzare i ponti di comunicazione; e impugna i ganci del cuore perché altri li afferrino in una irrefrenabile fioritura di amicizia e di amore. Riuscendo talvolta a traghettare e a far congiungere l'io con il tu, l'uomo vive l'indicibile gioia di una libertà, di una sua liberazione dal soffocamento della sua solitudine e sente la fecondità di tutta la sua esistenza come splendore e celebrazione dell'essere che, secondo la divina affermazione, non è bene che rimanga solo.
Ma nella sua ricerca fondamentale di amicizia e di amore l'uomo s'imbatte in sorprese inopinate. Cuori che si erano schiusi sotto il sole ardente dell'amore e che avevano vissuto la misteriosa e nel contempo misterica società/comunicazione degli esseri, d'un tratto si raffreddano, si chiudono di nuovo. Si rompono amicizie, s'indeboliscono amori, e l'incomprensibile medusa della solitudine primordiale dell'essere emerge di nuovo nella sua vita raggelando ogni cosa.
Dopo la giuliva dilatazione delle creature, sopravviene il loro infausto, spesso inspiegabile, incomprensibile restringimento. Poiché l'uomo stesso non riesce a dare una spiegazione a questo crollo, esso gli rimane del tutto inspiegabile. E nemmeno l'Altro si cura di illuminare con interpretazioni e spiegazioni fondate la rovina che vive nel proprio cuore: l'inaridirsi dell'amicizia, il pietrificarsi dell'amore. E allora questa vita incomprensibile, incomprensibile per sua natura, si presenta ostilmente enigmatica, negativamente sibillina, vita di rapporti enigmatici e nascosti così profondamente che perfino il cuore ne rimane atterrito.
La crisi dei rapporti umani squisitamente personali si produce di solito perché tra la coppia Io e Tu si interpone un terzo, un altro Altro. Il quale compie una missione che può essere stabilita e interpretata solo metafisicamente da quanto è antisociale e antiumana. Si tratta della missione dell'avvelenatore di cuori.
È il postino del Male, di colui che avendo rapporti organici con le forze negative che solcano la vita, si avvicina ai cuori dai quali s'irradiano l'Amicizia, l'Amore, la Passione e li avvelena con la calunnia, la menzogna, la deformazione dei fatti, la violenta forzatura delle realtà sentimentali. E allora tutti i rapporti che l'uomo stabilisce per mezzo del calore, dell'unione e della gioia, improvvisamente appassiscono. Le luci si abbassano, i fuochi languono, le parole si confondono e l'Altro sperimenta un avvelenamento del cuore, il cui ricordo e la cui esperienza lo segneranno per il resto della sua vita. E il veleno che viene versato è tanto più efficace quanto più alta è l'Amicizia, quanto più sconvolgente è la Passione, quanto più pieno, nobile e disinteressato è l'Amore.
Perché questo avvelenamento avviene spesso senza che l'avvelenatore ci guadagni qualcosa? Perché questa armata di forze negatrici della vita si incarnano continuamente in uomini la cui aridità di cuore li rende apostoli del male? Mistero inesplicabile, come la stessa presenza del Male nel mondo.
Forse tale avvelenamento avviene perché si possa provare la nobiltà dei cuori, l'integrità dei sentimenti, la determinazione dell'amore che vince ogni cosa. Forse avviene perché possa essere sottolineata l'amara assurdità dell'uomo e della stessa vita in questo mondo.
Kostas E. Tsiròpulos
Da Efthyni, 285, 1995, pp. 450-51
trad. dal neogreco di M. Giachetti