© CHRISTOS MALEVITSIS
LA
LIBERTÀ PRIMIGENIA
IN ARISTOFANE
La prima cosa che
Aristofane offre al mondo dello spirito è la sua poesia. Non si tratta soltanto
del suo logos poetico, ma anche della concezione di situazioni utopistiche
della vita, traboccanti di visioni poetiche che accendono la fantasia e
affascinano l'anima. Questa eccezionale poeticità del suo logos e dei suoi
concetti, dovrebbe costituire il motivo principale della sua sopravvivenza,
perché egli è l'unico commediografo della commedia attica antica giunto fino a
noi.
La seconda cosa che offre Aristofane è
l'insegnamento di libertà. La nostra mente va subito alla libertà politica, e questo è giusto. Ma in Aristofane si tratta
anche di un'altra libertà, cioè di quella esistenziale. È questa seconda
libertà che fornisce la base più ampia su cui è fondata la giustificazione
della libertà politica. Perché Aristofane non mette in ridicolo soltanto i
demagoghi, ma mette in ridicolo anche i massimi esponenti della classe
intellettuale ateniese, quali Eschilo, Socrate ed Euripide. Questo accade
perché Aristofane prende le mosse dalla libertà primigenia dell'uomo la quale
non solo non si sottomette agli schemi politici, ma nemmeno a quelli
intellettuali. Per la libertà primigenia perfino le concezioni del mondo dei
poeti e dei filosofi creano servitù, perché ogni affermazione è anche una
negazione. Perché ogni affermazione è anche un atto dominante. E infine perché
ogni definizione costituisce anche una limitazione. E tuttavia non è Aristofane
che rivelò la libertà primigenia dell'uomo. L'aveva presa dalle celebrazioni
religiose popolari. In sostanza si tratta di comportamento archetipico
dell'inconscio collettivo. Per questo tali dati, per loro natura religiosi, si
manifestarono nelle religioni antiche, e quindi passarono nel cristianesimo,
specialmente nel corso del medioevo, con la «festa del gavi>daro» ecc.
Nell'antica Attica, tale libertà
primigenia si manifestò nelle feste della fertilità, per questo Aristofane dice
che la commedia deriva da «tw'n ejxarcovntwn ta; fallikav», che ancora oggi si conservano e si
festeggiano in molte città (Peri; poihtikh'", 144, 9a). In queste feste vi era libertà nel linguaggio
(turpiloquio, ingiurie ecc.) per favorire la fertilità della terra, e
naturalmente sempre nell'ambito del comportamento religioso. Così la
sopportazione da parte del pubblico e dagli arconti
della libertà di linguaggio dei poeti comici non derivava soltanto dalla
libertà democratica della città, ma anche dal precedente religioso di questa
condotta. Una tale libertà si conserva ancora e sopravvive nel carnevale di
oggi.
Le opere di Aristofane conservano con
chiarezza i motivi delle celebrazioni riguardanti la fertilità. Fondamento di
tali celebrazioni è la cacciata del vecchio tempo e la gioiosa accoglienza di
quello nuovo. Anticamente questo avveniva con l'uccisione del Re, che incarnava
il Demone-Anno. La lotta del nuovo contro il vecchio è la lotta che nel nostro
comico assume la forma di logomachìa,
disputa, alterco, sui motivi della morte e della resurrezione. Infine abbiamo
il motivo del matrimonio sacro e poi la gioia, la baldoria. Nei Cavalieri, verso 1333, il Coro,
rivolgendosi al vincitore Allantopòlis
(venditore di salsicce) gli dice: «Salve, oh re degli elleni», reliquia
espressiva proveniente dalle antiche celebrazioni sulla fertilità Lo stesso
accade anche con la parola pharmakòs
nel verso 1405, dove si allude all' apodiopompaîos
tràgos di tali cerimonie. Così i dettagli della commedia aristofanea
venivano spiegati da vicende politiche della sua epoca, ma la loro costruzione
tipica si basa su precedenti esperienze di celebrazioni religiose che tra
l'altro forniscono sia il fondo emotivo che la tolleranza da parte degli altri.
La terza cosa offerta da Aristofane è la
critica spietata dei demagoghi di Atene. Egli si serve della esagerazione, che
è un elemento proprio della caricatura, però in maniera ben mirata e
schiacciante. Egli non mira alla verità storica, ma alla verità dell'esistenza
che vivifica il mondo senza venir meno alla sua verità radicale, perché questa
è la sua ricchezza primigenia e l'unica cosa che garantisce la sua libertà
politica. Tuttavia, dal momento che condanna il proprio presente storico, che è
quello della guerra del Peloponneso, deve avere un criterio. In fin dei conti
siamo nel buon vecchio tempo dei combattenti di Maratona e della battaglia di
Salamina. Questo uomo perspicace deve aver compreso che la storia non ritorna
indietro e che i personaggi che mette in ridicolo sono prodotti delle nuove
condizioni sociali ed economiche. Forse lo intuiva. Ma egli era un buontempone.
Infondo officiava la liturgia della risata e quella libertà senza limite
alcuno, nemmeno il limite della costrizione dello spazio e del tempo. Per
questo costruì la sua città sulle nuvole. E non dimentichiamo che i buontemponi
stavano festeggiando. E festa significa confutazione della classe naturale. Ma
la festa primigenia conduceva anche alla confutazione della classe sociale e
intellettuale. Giungeva, cioè, alla libertà assoluta, nel senso vero del
termine, quella libertà che si scrolla da dosso ogni vincolo e tocca i limiti
del soprannaturale. Questa libertà soprannaturale è soggetta all'opera di
Aristofane e le conferisce la sua profondità esistenziale.
Questa corrente primigenia di libertà
illimitata, che rivela tendenze radicali dell'anima umana, penetrò anche nelle
chiese cristiane del medioevo. Da Natale fino al nuovo anno, le chiese si
trasformavano in luoghi di felicità scandalosa e di sacrilegi orrendi. Parodie
dei testi sacri, canti osceni con grugniti
altre voci di animali, modificazioni ridicole dei paramenti sacri,
grandi abbuffate senza ritegno perfino sugli altari. Un teologo dell'epoca dà
la seguente spiegazione: «I barili pieni di vino si sarebbero rotti se di tanto
in tanto non li avessimo aperti per essere aerati. Noi cristiani siamo vasi
deboli che il vino della grazia divina spezzerebbe se li lasciassimo
ininterrottamente esposti all'agitazione della devozione. Per questo talvolta
ci abbandoniamo alle ridicolaggini e al turpiloquio affinché, più tardi, ci
possiamo abbandonare con maggiore zelo agli esercizi della devozione.»
Per comprendere dunque, Aristofane, è
necessario conoscerne gli punti religiosi e psicologici, così come si formarono
nella mentalità primigenia la quale non manca nemmeno dalla profondità
dell'anima dell'uomo contemporaneo.
CHRISTOS MALEVITSIS
Da Efthyni, 285, settembre 1995, pp. 451-53