QUADERNI DI HELLENISMÒS
PER LA DIFFUSIONE DELLA LETTERATURA NEOGRECA
IN EDIZIONE CARTACEA
MAURO GIACHETTI
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FONDAZIONE KOSTAS ED ELENA OURANIS
DELL'ACCADEMIA DI ATENE
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IDRUMA KWSTA KAI ELENHS OURANH
THS AKADHMIAS AQHNWN
I SEGUENTI «QUADERNI DI HELLENISMÒS» IN EDIZIONE CARTACEA
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PIAZZA DELLE REPUBBLICA -- FIRENZE
KOSTAS E. TSIROPOULOS
Cultura del corpo
Quaderni di Hellenismòs, € 5.90
A Delfi, davanti all'Auriga, una mattina d'autunno. La pace assoluta mi dona una rara facoltà intuitiva. Il mio essere è predisposto ad accogliere nella maniera più assoluta l'effusione erotica di cui è preda per conoscere – sebbene possa essere bruciato, fulminato da quel soffio di conoscenza. Tale soffio di libertà che fa schiudere il mio essere mi permette di vedere tutto ciò che, per tutta la vita, mi era rimasto celato, enigmatico. Devo guardare la statua come se rappresentasse la tragicità del mio essere, vale a dire, devo guardarla in faccia come farò con la morte quando dovrò affrontarla.
La statua: per mezzo della vista ne riconosco il corpo, la mano ferma, i piedi nobili e delicati. Ne sfioro di nuovo il volto, le labbra forti sotto gli occhi immortali, virili e bellissimi nella loro purezza. Ne riconosco la forma come prova della sua presenza nello spazio, come impronta di bellezza resa perfetta dall'assenza di mortalità. Ma non la conosco realmente. Perché conoscere veramente gli altri significa conoscere il destino costituito dal risultato della loro lotta contro la morte. Questo si ha solo quando si realizza una unione organica e ontologica – simile alla esperienza profonda che gli uomini, esseri oscuri, fanno con la spasmodica unione carnale dei loro corpi – allorché l'amore giunge a compimento quale morte momentanea di un individuo in un altro.
Solo così l'uomo conosce l'opera d'arte. E ciò avviene con una intensità graduale, analoga a quella che prova lo scultore – colui che plasma l'opera d'arte – quando concepisce e crea, con travaglio di corpo e d'anima, una figura perfetta, e la colloca sulla linea di confine del tempo. Felice colui che con timore reverenziale rende visibile la natura concepita astrattamente plasmando un'opera d'arte perfetta. «Chi oserà denigrare la bellezza umana prediletta da Dio?» (Fernan Pérez de Oliva, Diálogo de la dignidad del hombre, Madrid 1982, p. 97). E nemmeno io oso, quando osservo un'opera d'arte e partecipo ad essa. (Aristotele, Poetica, IV, 1-6).
Ma una oscura malinconia turba questa mia gioia personale. Lo stillicidio di amarezza nel più profondo di me, è causato dalla bellezza o è forse dovuto al fatto che la statua, riuscendo a prevalere sulla corruttibilità, a vincere il tempo, a sopravvivere alla mia morte e a durare, adombra la mia esistenza?
L'Auriga fu creato nel tempo da una creatura del tempo, lo scultore, il quale visse il proprio pathos creativo con un impeto di pienezza. Anche lo scultore deve morire. Ma mentre lo scultore, creatura mortale, soccombe alla propria temporalità (ricordiamo le parole di Anassimandro: «Gli esseri ritornano, corrotti, là ove furono generati, conformemente a una necessità; poiché pagano l'un l'altro l'ingiustizia che compiono secondo la disposizione del tempo»), l'opera d'arte che egli plasmò, fatta da un essere temporale e mortale, non muore. Essa attraversa la corruttibilità del tempo come se la sua immagine e la sua enigmatica essenza possedessero l'eternità e l'eterna giovinezza di cui parla Anassimandro. Nonostante il fluire dei secoli, la statua, immune dall'oltraggio del tempo, costituisce una prova della propria bellezza. E la glorifica. Infatti l'azione del tempo sul mondo è duplice: ora lo oltraggia, ora lo purifica. (Ammiro la purezza speculativa di taluni uomini avanti negli anni, che ho avuto la fortuna di conoscere).
La caratteristica dell'Auriga, così come di ogni autentica opera d'arte, non è la mortalità come accade agli uomini. Eppure l'Auriga è malinconico. Perché i fiori della cultura vengono seminati entro la morte degli uomini.
KOSTAS E. TSIRÓPOULOS è nato a Larissa, in Tessaglia, nel 1930. Poeta e saggista. Appartiene alla cosiddetta generazione del dopoguerra. Scrive le prime liriche sotto l'influenza di I. Th. Vafópoulos, corifeo della scuola di Salonicco, città in cui Tsirópoulos studiava giurisprudenza. Attualmente vive ad Atene dove dirige la rivista letteraria Efthyni (Responsabilità) e la casa editrice Ekdoseis ton Filon (Edizioni degli amici). Tra le sue opere più rappresentative segnaliamo Odeon per voci solitarie (1962), Quaderno di allucinazioni (1979), Musica (1982), Mistero (1988), Appunti di prova generale (1995), Sulla tenerezza (1996).
EMANUELE ROÍDIS
Il lamento del becchino
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Frequenti viaggi in contrade lontane e altre brighe, mi avevano costretto a trascurare per anni l'amico Antonio. Quando mi risovvenni di lui e andai a trovarlo, fu più che normale che trovassi il suo asilo alquanto cambiato. I cipressi erano cresciuti, la popolazione dei defunti era triplicata e le croci erano diventate fitte al punto che non vi era più spazio per i rovi e le camomille. A tutto questo occorreva aggiungere il senso di colpa che mi era venuto perché nel corso della mia lunga assenza la tomba del mio amico si era totalmente degradata.
Il piccolo recinto di legno era distrutto, i vasi caduti per terra e, quanto all'epitafio, non ne restava alcuna traccia sulla croce nera diventata rossastra per la ruggine. Decisi di cercare il vecchio becchino per dirgli di dare una sistematina a tutto quel disordine, ma come appresi da una signora vestita di nero che stava incensando la tomba la tomba accanto, costui era stato calato da lungo tempo là dove egli, prima, calava gli altri. Però c'era il suo successore, di cui la signora mi indicò il capo che proprio in quell'istante stava spuntando dalla cripta dell'ossario.
Dopo il capo apparve il torso e poi le lunghe tibie alle quali due o tre passi bastarono per portare il loro possessore accanto a me. Mi misi subito a spiegare al mio uomo quello che ami aspettavo che facesse. E cioè che rimettesse a posto - pagando il dovuto s'intende - la tomba del mio amico. Il becchino seguitava a osservarmi dalla testa ai piedi con una ostinazione di cui non riuscivo a capire la causa, sapendo bene che la mia persona non è mai stata fornita di alcunché di degno di ammirazione o, comunque, di insolito. Ma la mia sorpresa superò ogni limite quando, all'improvviso, mi sentii chiedere con un tono del tutto familiare:
- Ma non ti ricordi di me? ...
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1836 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora fanciullo fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione sulla questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1869), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
EMANUELE ROÍDIS
Milià
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
C'era una volta, in un villaggio della Magna Grecia, una fanciulla così compassionevole e graziosa che tutti le volevano bene. Anche se non era ricca, trovava sempre il modo di aiutare i poveri: divideva con loro ciò che le veniva dato, e quando le sue mani erano vuote, il suo cuore e la sua bocca erano sempre pieni di buoni sentimenti e di buone parole per consolare i miseri. E non soltanto la gente e gli animali domestici l'amavano, ma persino gli uccelli del bosco. Quando la vedevano passare, scendevano dagli alberi e la seguivano come dei cagnolini, perché lei desse loro metà del suo pane.
Era stata chiamata Milià* prerché l'avevano trovata una mattina d'aprile sotto un melo, ricoperta di fiori bianchi che il vento della notte aveva fatto cadere.
L'anziana coppia che l'aveva dottata era così povera che riusciva a malapena a far tacere la fame con ciò che la vecchia racimolava lavorando a maglia e con quello che il vecchio guadagnava tagliando la legna. Anche Milià faceva quello che poteva per aiutarli: raccoglieva fragole selvatiche, viole mammole e altri fiori nel bosco e li offriva ai passanti con un sorriso così dolce che raramente le negavano gli spiccioli che avevano da darle.
Ma coloro che potevano permettersi di farlo non erano molti in quel povero villaggio, e il pane e le castagne che il vecchio e la vecchia mangiavano erano sempre meno di quanto il loro appetito avrebbe richiesto, e ancora più piccola era la parte che mangiava Milià, dopo che l'aveva divisa con i poveri e con gli uccellini.
* Milià, in neogreco, significa melo.
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1836 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora bambino fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La Papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione circa la questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del Medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1869), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
EMANUELE ROÍDIS
Le maghe del Medioevo
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Come nacque la maga nel medioevo? O piuttosto, perché la Pizia e la Sibilla, radiose figlie di dèi, furono trasformate in demoni? Perché la Chiesa trasformò anche gli dèi in demoni! Gli antichi adoravano e divinizzavano l'uomo e la natura. La luce del sole, l'erba dei campi, lo sciabordio del mare, il sorriso delle vergini, l'amore per la patria, la pietà per i sofferenti, la saggezza, l'ardimento erano chiamati Apollo, Pan, Posidone, Afrodite, Asclepio, Atena, Ares, ai quali erano dedicati templi e altari. Ma appena il cristianesimo vinse, subito si affrettò a distruggere altari e recinti sacri, e si udì una voce gridare forte: «gli dèi sono morti». E non si creda che tale grido significasse che soltanto i nomi si estinguevano e che venivano abrogati i tipi della religione antica.
Al contrario, lo studio delle opere ecclesiastiche ci convince che il cristianesimo aborrì la natura, che sua speranza aurea e suo desiderio ardente era la rovina del mondo, la scomparsa della vota, la fine del tempo che presentava come vicina e desiderabile. Il neofita, per inerpicarsi fino alla vetta della perfezione ideale, doveva calpestare quei sentimenti che, sotto vari nomi, i suoi padri avevano divinizzato, preferire la rinunzia al piacere, il deserto alla società, la servitù alla libertà, la morte alla vita. Esecrando tutta la natura, doveva considerare come una insidia di Satana il profumo dei fiori e il canto dell'usignolo.
E mentre era obbligato a distogliere gli occhi dalla terra, non poteva posare senza paura lo sguardo nemmeno sul cielo, perché anche lì la Chiesa aveva collocato demoni e tentazioni. Il sacro astro del mattino che così tante volte aveva illuminato Archimede dopo lunghe veglie dedicate alla ricerca delle leggi della natura, oppure Platone alla ricerca dell'immortalità, era stato trasformato in un diavolo ripugnante chiamato Lucifero; mentre la stella della sera, il cui dolce scintillio indicava ai mortali che era giunta l'ora del riposo o del piacere, era un altro immondo demone, Afrodite, strumento di tentazione e di rovina. La Chiesa era riuscita a trasformare in inferno anche il cielo.
Questa situazione convulsa, la incomprensibile avversione per la natura e il sovvertimento di tutti i sentimenti umani era impossibile che durassero a lungo.
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1863 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora bambino fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione circa la questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1869), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
EMANUELE ROÍDIS
La festa dell'asino nel medioevo
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Dopo aver sistemato il tempio, tutti coloro che si distinguevano per voce roca, gutturale e stonata, erano invitati a cantare, e ognuno imitava, cantando, la voce di un animale volgare come il raglio dell'asino, il gracidio della rana, il grugnito del maiale, il latrato del cane e altri suoni del genere, per mezzo dei quali il sig. Soutsos si compiace di glorificare il Messia. E anche l'abbigliamento dei cantori doveva corrispondere in qualche modo all'intonazione delle loro voci. Pelli d'orso, piume di gallo, teste d'asino, corna e code lunghe ornavano in quella giornata solenne i corpi dei fedeli. Molti dei quali, per rendere più perfetta l'imitazione, si mettevano a camminare a quattro zampe, mentre vescovi, abati, canonici e altri dignitari ecclesiastici si distinguevano tra tutti per la mostruosità del travestimento.
Il testo del rituale era perfettamente appropriato all'abbigliamento e alle voci dei partecipanti a quella cerimonia religiosa: un miscuglio di parodie sacrileghe, di espressioni scurrili e di idiozie in un linguaggio barbaro. Per tutta la durata della funzione, fumavano carni arrostite, nei turiboli bruciavano sostanza maleodoranti, ruzzolavano dadi, tintinnavano bicchieri, si spezzavano bottiglie vuote e, per completare quell'armonia, al piano superiore della chiesa i bambini giocavano dando calci a delle palle per imitare il suono del tuono. Il volgo mascherato passava attraverso tutta quella santa crapula e usciva nelle strade recando in giro per tutta la città il suo abbigliamento animalesco e la sua allegria bestiale.
Alcuni stavano in groppa a un mulo, tenendo la bestia per la coda, altri cavalcavano un bastone mentre altri ancora, seduti, come ai tempi di Tespi, su un carro a due ruote trainato da un cavallo zopo o da un bue asmatico, gettavano sulla folla manciate di farina o filze di dileggi e ingiurie. Cose simili avvenivano in Germania e nei Paesi Bassi in occasione della celebrazione della festa degli Innocenti, degli ignudi e dei Cornuti. In quei Paesi la cerimonia iniziava prima che sorgesse il, sole. E se uno dei sacerdoti o dei fedeli, uomo o donna che fosse, tardava a presentarsi, i vicini andavano con bandiere e tamburi a casa sua, lo tiravano giù dal letto e lo trascinavano in chiesa senza camicia da notte, tutto nudo, il che era causa non solo di scandalo, ma anche di reumatismi.
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1863 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora bambino fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione circa la questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1869), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
EMANUELE ROÍDIS
Psicologia di un marito di Siros
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Mi vergogno ad ammetterlo. Sono passati otto mesi da quando mi sono sposato e sono ancora innamorato di mia moglie. L'ho sposata perché la condizione dell'innamorato non mi piaceva affatto. Avevo perso l'appetito, il sonno e la voglia di lavorare o di divertirmi. A parte Cristina, tutto mi pareva insipido, scipito, scialbo e noioso. Ricordo che un giorno, all'albergo, avevo suscitato l'ilarità generale lamentandomi d'aver trovato insipida perfino la salacca.
I miei genitori non ne volevano proprio sapere di questo matrimonio perché lei non aveva nulla e, a dire il vero, non avevo un gran che nemmeno io: la casa di famiglia, una rendita di tremila dracme proveniente dall'affitto di due magazzini, e un impiego che mi rendeva centosessanta dracme. Come ci sarebbe stato possibile campare se si pensa che la ragazza, che era figlia unica, viziata e senza dote, amava la buona società, i bei vestiti e i balli?
A tutto quello che mi dicevano non trovavo nulla da ridire! E non posso nemmeno giustificarmi affermando di essere stato accecato dalla passione, perché non credo che esista un uomo più sensato di me. Gli altri innamorati immaginano che gioire della propria amata sia una felicità così grande che non temono d'ingannarsi anche se la comprano a un prezzo altissimo. Ma io non ero romantico. Non mi aspettavo nulla di eccezionale, speravo solo che le cose ritornassero allo stato in cui erano prima d'innamorarmi. Mi ricordavo della serenità che era stata mia con il vivo desiderio del malato che si ricorda del tempo in cui stava bene.
Cristina la volevo soltanto per godere di lei, per saziarmene e per ricominciare, poi, a mangiare, a dormire, a uscire per andare al Circolo a giocare a scopone e a calabrache come prima. Comunque non mi sarei mai deciso a sposarla se proprio in quel periodo non fosse venuto a mancare, a forza di privazioni e di sofferenze, un mio vecchio zio che tutti credevamo povero in canna, dato che andava in giro vestito come Diogene e si nutriva come un asceta.
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1863 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora bambino fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari.. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione circa la questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1869), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
EMANUELE ROÍDIS
Storie di animali
Quaderni di Hellenismòs € 4.90
Da quanto ho la fortuna, o la sfortuna, di sapere, io credo di essere l'unico uomo che non si riterrebbe oltraggiato se lo chiamassero animale. Quanto più frequento gli animali, tanto più sono convinto che tra loro e gli uomini non vi è alcuna differenza – come vorrebbero sostenere taluni personaggi bizzarri –, e che le cose per le quali noi ci distinguiamo dagli animali, non costituiscono affatto una prova della superiorità umana.
Ciò che distingue principalmente gli animali da noi, è che essi hanno preso dagli uomini tutto ciò che hanno di buono, evitando di imitarne le abitudini inutili, dannose e ridicole. Gli animali non perdono mai tempo a chiacchierare delle visite da fare all'inizio dell'anno nuovo, del tabacco. delle tasse sulle sigarette o di altre cose simili; non giocano a carte, bevono solo acqua oppure latte quando sono piccoli; non mantengono eserciti, ignorano cosa significhi patria o proprietà e, di conseguenza, non intentano processi né muovono guerre, ma si limitano a fare duelli per affari che li riguardano in maniera diretta e personale come, ad esempio, l'usufrutto di un prato ricco d'erba oppure il favore di una qualche bella della loro stessa razza: una gatta, una cagna, una leonessa, una giumenta o una cerbiatta. E gli stessi legami familiari si limitano soltanto a quelli necessari e non fastidiosi. Gli animali hanno, sì, un padre e una madre, ma non hanno né zii, né cugini, né nipoti e, cosa pi importante d'ogni altra, non hanno né suoceri né suocere.
Vivendo secondo il precetto evangelico di ciò che invia loro la provvidenza divina, gli animali non sono soggetti all'obbligo di redigere testamenti e ignorano che al mondo esistono notai così come carnefici, tribunali, medici, prigioni, caserme, ospedali, ospizi e mense per i poveri. Asserendo ciò, non intendo contestare l'utilità e la necessità di tali cose, bensì dire che è difficile felicitarci con l'uomo per quanto è stato reso necessario dalla cattiva natura del suo corpo e della sua anima, a considerare come piccolo vantaggio per gli animali il fatto che possono mangiare senza cuochi, vestirsi senza sarti, sposarsi senza prete, partorire senza l'aiuto di una levatrice e morire senza la collaborazione d'un medico o d'un carnefice.
EMANUELE ROÍDIS nacque nel 1863 nell'isola di Siros (Cicladi). Ancora bambino fu condotto dal padre a Genova, dove visse per otto anni e fece gli studi primari. Frequentò il liceo a Siros, quindi compì studi universitari in Germania, recependo grande erudizione. Soggiornò a lungo anche in Romania e in Egitto. La eleganza e il tono europeo della sua cultura suscitarono meraviglia nella Atene piccola e provinciale dove si stabilì verso il 1860. Nel 1865 pubblicò il romanzo storico La papessa Giovanna, che riscosse subito grande successo di scandalo. Anche la sua posizione circa la questione della lingua fu alquanto singolare: pur movendo guerra alla vecchia tradizione dei puristi ottocenteschi di scuola bizantina, e raccomandando l'uso del volgare, egli stesso non lo usò mai tranne nel racconto Milià (1885). Tra le sue opere più significative segnaliamo Le maghe del medioevo (1868), La festa dell'asino nel medioevo (1868), Psicologia di un marito di Siros (1894), Il lamento del becchino (1895). Morì ad Atene nel 1904.
PLATON RODOKANAKIS
De profundis (poesie in prosa, con testo greco a fronte)
Quaderni di Hellenismòs, € 6.90
Io sono la luce del mondo.
GESÙ
(Dialogo)
Il semplice: “Che cose terribili. Ma non capisci che con ciò che scrivi accenderai nella tua testa un grande fuoco?”
L'erudito: "Accenderò quello che mostrava il colosso di rame ai marinai erranti. Dio della luce, m'innalzerò all'ingresso del porto entro il quale garantirò salvezza ai profughi che molto hanno sofferto. –
Passerete tutti sotto le mie gambe!”
LA COSTELLAZIONE DELLA BILANCIA
Si gettò sull'aquila Zeus, e dalle vette cristalline d'Olimpo scese turbinando sulla terra per ripartire equamente le ricchezze. Montagne d'oro e d'argento s'ergevano dinanzi a lui. Finché un bel giorno s'accorse che nella parte d'uno sconosciuto v'erano due granelli di troppo. Questo causò contese, rapine e spargimento di sangue perché prevalesse la giustizia. Allora il figlio di Crono, irato, afferrò la bilancia, la roteò con veemenza e la scagliò nell'infinito. Ma i piatti metallici della bilancia, volteggiando rumorosamente nel cielo, fecero splendere cinquanta luminosi diamanti. ...
NOTTE-PENELOPE
Come astri dai chitoni dorati, i pretendenti si muovono intorno alla sposa pudica. Ma quella tesse ogni sera la tela nera, mantien la promessa. E fedele all'eroe assente, disfa la tela ogni mattina. – Aspetta il ritorno del suo sposo Caos. Così ritrae il cinto dal fuso. E avvolge nel sudario il Creato.
PLATON RODOKANAKIS
La tonaca ardente
Quaderni di Hellenismòs, € 5.90
Ogni pomeriggio, quando uscivamo dal vespro, ci sistemavamo un po' i capelli quindi, a due a due, a tre a tre, andavamo a fare una passeggiata nel bosco. Spesso facevo la passeggiata con un amico. Molte volte la curiosità induceva la gente a salire fino lì dalla ville, e allora capitava che le risa e le graziose conversazioni di alcune floride donne, cadessero sull'erba sfogliandosi come profumati fiori di seta rosa che esse stesse si chinavano a raccogliere, li mettevano in un panierino e li portavano alle ville, dove li preparavano con lo zucchero, senza sapere che avevano già fatto dei dolci squisiti con le loro risa e i loro discorsi mondani.
I monaci abbassavano gli occhi quando vedevano le fanciulle andare e venire, perché erano certi che se li avessero tenuti alzati, sarebbero caduti in ginocchio dinanzi alla voluttà che passava vicina al punto che le loro tonache sfioravano come una carezza le sottane delle donne, come le dita di una mano, che si danno da fare sulla buccia dorata d'un'arancia con l'intenzione di separarne gli spicchi e rinfrescarsi la bocca con il loro succo profumato.
Il mio amico (che ora è vescovo) non prendeva le cautele necessarie contro la tentazione. Per questo una fanciullina piccina così, con le gambe paffutelle e che portava sempre le ghette bianche che le arrivavano fino al ginocchio, gli si presentava simile a un candelabro a sette bracci che, introdotto da una mano in buio bagno pompeiano, illuminava d'un tratto affreschi con voluttuose scene di nudità
E gli piaceva anche lanciare dolci occhiate a una balia esuberante che ogni giorno, verso il crepuscolo, faceva la sua passeggiata con il passo di Semiramide nei giardini pensili per prendere il fresco, senza immaginare che le ciliegie appese a quelle pareti d'alabastro, avrebbero punto il desiderio del monaco.
Un caldo pomeriggio in cui delle foschie purpuree si rifrangevano sul bosco, Charálambos volle provare, di sua propria mano, se il cuore femminile fosse accordato in modo da emettere note sentimentali. Cominciò a seguire la balia, trovò un pretesto, le parlò del peccato originale e gliene spiegò i particolari con un linguaggio talmente realistico, che la poveretta si mise a mugghiare come un mammut. ...
PLATON RODOKANAKIS
Storie insolite
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Lentamente si spense anche l'ultima fiamma nella stufa del sapiente che si ritirò per andare a dormire, chiudendo a doppia mandata la porta della sua biblioteca. Il dito del giorno perforava timidamente le tende abbassate dell'unica finestra e svegliava tutti gli oggetti carezzandoli leggermente per non spaventarli.
Il piccolo quadro sul muro, sopra lo scrittoio del sapiente, che rappresentava una battaglia con i guerrieri piegati sui cavalli e terrificanti con le spade sguainate, d'un tratto si animò, i cavalli si alzarono sulle zampe posteriori nitrendo, i cavalieri combattevano corpo a corpo, il metallo delle armi faceva strepito, quindi i vincitori si misero a inseguire i nemici nello sfondo azzurrino dell'acquerello, dove scomparvero dietro un monte innevato all'orizzonte, non più grande d'un petalo di giglio.
Si udì poi salire dal pavimento un delicato mormorio, come quello che fanno le pecore quando coi loro dentini tagliano l'erba tenera nel plenilunio delle notti d'estate. Era l'anima del tappeto che si destava anch'esso. I grandi fiori fantastici, soprattutto i ciclamini purpurei e le estatiche pansé all'interno di medaglioni neri e verdi, si ingrandivano con un andamento automatico, creando delle belle aiole su cui, poco dopo, andarono a svolazzare due farfalle rosse e dorate che si erano staccate dal velluto del cuscino appoggiato sul canapè, sul quale erano state ricamate con fili d'oro e di seta.
Il pesante orologio antico dal lungo pendolo tutto d'argento simile a un bastone che oscillava da desta a sinistra come per mostrare i secondi che, fuggendo atterriti, aprivano la strada al tempo, si fermò. Allora un uccellino venuto da cieli sconosciuti, dalle ali lunghe e gremite di bagliori preizosi simili a quelli della madreperla, si mise a cinguettare così festosamente da una cassettina appoggiata sullo scrittoio, che le legature dei tomi antichi si aprirono da sole e, d'un tratto, gli eroi e le eroine che hanno ispirato gli scrittori di ogni tempo, uscirono fuori e si sedettero sugli scaffali di legno di noce adornati di ghirlande di edera scolpite a rilievo.
Erano dee, maghe, imperatori romani, principesse bizantine, martiri cristiani, califfi medioevali armati di tutto punto, cortigiane, dame dai capelli incipriati.
PLATON RODOKANAKIS compagno do viaggio dell'estetismo kavafiano, nacque a Smirne nel 1883. Giovanissimo decise, contro la volontà dei genitori, di farsi monaco e andò a studiare nella Scula teologica di Chalki (Patriarcato ecunenico di Costantinopoli). Ma indotto dall'ardore delle passioni ad allontanarsi dal sentiero spirituale infdoicatogli dalla vita monastica, abbandonò il seminario e si stabilì ad Atene dove, imboccata la via della letteratura profana, si distinse come una delle personalità più significative del nascente estetismo greco. Morì ad Atene nel 1919. Tra le sue opere più importanti figurano De profundis (poesie in prosa, 1908), La tonaca ardente (autobiografia, 1911), La rosa scarlatta (racconti, 1912).
KOSTAS OURANIS
La Grecia e Chateaubriand
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Quando Chateaubriand, varcato il passo tra Koridalòs e il colle di Profitis Ilias, si trovò dinanzi alla piana di Atene, si fermò, estatico e commosso, come se avesse raggiunto la meta suprema. Non era il culto per l'antichità ellenica o il pensiero di essere arrivato nella culla di una grande civiltà a provocare in lui quell'estasi e quella emozione. Ciò che vedeva lo abbagliava come una rivelazione. La luminosa pianura ateniese racchiusa da monti scolpiti, il mare di un azzurro dorato e, sopra ogni cosa, il cielo infinito, componevano una immagine assai più straordinaria di quella che egli si aspettava di vedere. Per la prima volta nella sua vita, questo romantico, che nelle varie manifestazioni della natura aveva visto soltanto un riflesso di se stesso, capiva di trovarsi al cospetto di qualcosa che lo superava e lo assorbiva...
A me, personalmente, è stato concesso di avvertire meglio la spiritualità e l'unicità del paesaggio dell'Attica nel corso di un viaggio in Italia. Avevo visto luoghi belli, tanto belli da farmi morire di piacere. I giardini del lago di Como, la costiera del golfo di Napoli, le colline di Firenze – che paradiso incantato era quello! Ma la mia anima, simile ai colombi delle Isole Borromee visti da Barrès, imbevuta di profumi, di dolcezza e di voluttà, si era fatta troppo greve per poter volare. Il mio spirito si era come illanguidito. Essendo già sazio di tutto, non desiderava vedere altro. Finché, un giorno, la sorte volle che la mia strada mi conducesse a una spiaggia, Terracina: rupi giallo rossastre, il mare di un azzurro cupo, un cielo immenso – nient'altro. Ma era tale l'armonia, quella semplicità era così piena di significato, che sentii la mia anima spiccare il volo. Era un paesaggio dell'Attica in seno all'Italia, e la mia emozione a quella vista era simile, per qualità, a quella che si prova trovandosi davanti a un antico tempio greco su una spiaggia deserta della Sicilia. E come se un venticello avesse attraversato la mia anima rinfrescandola, tutta l'ebbrezza che si era accumulata in me per l'Italia si dissolse. ...
KOSTAS OURANIS (1890-1953) è, insieme a Nikos Kazantzakis, il fondatore della letteratura di viaggio neogreca. La sua vasta opera, in prosa e in poesia, è caratterizzata da accenti crepuscolari, che egli ha in comune con gli altri scrittori della cosiddetta generazione del '20, alla quale appartiene. Tra le sue opere più rappresentative Sinai (1944), Strade azzurre (1947), Viaggi in Grecia (1949).
MICHAÌL MITSAKIS,
Il suicida
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Quel giorno, esattamente come oggi, senza sapere né come né perché, mi ero trovato di passaggio a Patrasso. Arrivato la mattina, avevo buttato come al solito la mia valigia in una delle camere del "Grande Bretagne", quelle del terzo piano, lassù in cima, che guardano verso il monte Varàssova, e da dove si vede tutto il porto, in basso, poi scesi per andare in città. Appena uscito, il mio primo pensiero fu di fare una scappatina in prefettura per salutare il mio amico Christakis Palamàs, che allora ne era il segretario – perché sembrava che il destino avesse designato quell'uomo a occupare a vita un posto di segretario, di direttore o di prefetto nella prefettura di Patrasso – per lasciarlo presto alle sue scartoffie e ai suoi scritti, e vagabondare nei vicoli e nelle stradine che rendono così pittoresco questo strano quartiere.
Il mezzogiorno mi sorprese mente ero intento a contemplare da una china il magnifico panorama che il golfo di Corinto offre allo sguardo: il mare verde smeraldo, i fianchi rossastri e bruciati dal sole dei monti dirimpetto e il mare immenso in lontananza. Così decisi di scendere verso il mercato, dove, alla fine, m'infilai in una pizzicheria per mangiare un boccone. Dal punto in cui ero seduto potevo godere uno spettacolo variegato: al centro della piazza lunga e stretta vedevo una fontana alla quale un garzone di bottega stava riempiendo un secchio. La piazza riecheggiava tutta delle grida dei bottegai e dell'andirivieni dei compratori che si aggiravano tra una folla di contadini con mantello e zoccoli.
MICHAÌL MITSAKIS nacque a Megara, in Attica, nel 1863. Iniziò a scrivere giovanissimo e collaborò con tutte le riviste letterarie greche dell'epoca fino al 1894, quando si manifestarono in lui i primi sintomi di squilibrio mentale, che aggravandosi sempre più, lo portarono alla follia e ne causarono la scomparsa definitiva dal mondo delle lettere. Morì nel 1916. È uno dei migliori rappresentanti della scuola naturalistica greca. Tra le sue opere più rappresentative Un cercatore d'oro ad Atene (1890), Il suicida (1895).
MAURO GIACHETTI
Kavafis e Alessandria, pp. 50,
Quaderni di Hellenismòs € 4.90
Alessandria, ridotta per secoli a un povero villaggio di Pescatori, risorse a nuova vita. Mohammed Alî, macedone come il primo fondatore della città, la risvegliò dal suo lungo sonno, la ingrandì costruendo palazzi e piazze, intraprese opere per migliorare l'agibilità del porto fece riattivare il canale Mahmudieh che collegò Alessandria al ramo canopico del Nilo e, di conseguenza, al Cairo e all'alto Egitto, in modo che i traffici, una volta sparsamente convogliati verso vari centri minori del Delta, confluirono ora pressoché esclusivamente ad Alessandria, il cui porto divenne uno dei più importanti del Mediterraneo. Sembrava che quella strana città, emersa quasi all'improvviso dall'oblio, avesse travalicato i secoli, priva di memoria, per rivivere nella modernità del XIX secolo il perduto splendore.
Lo sviluppo economico di cui godé l'Egitto durante il governo di Mohammed Alî, fu dovuto in massima parte alle attività commerciali avviate dalle migliaia di stranieri che, a partire da questo periodo, si riversarono nel Paese, attratti, tra l'altro, dai privilegi garantiti loro dal regime delle Capitolazioni.. La maggior parte degli stranieri, per lo più europei, si stanziarono in Alessandria, conferendo alla città una atmosfera da centro cosmopolita, punto d'incontro delle più disparate correnti culturali, atmosfera reminiscente, per molti aspetti, della Alessandria ellenistica e bizantina. ...
MAURO GIACHETTI critico letterario e saggista, è nato a Sesto Fiorentino. Ha studiato lingue orientali all'università di Venezia e storia bizantina all'università di Pisa dove ha insegnato lingua e letteratura neogreca. Collabora con varie case editrici, riviste letterarie e istituzioni culturali in Italia e all'estero.
MAURO GIACHETTI
Kavafis e il silenzio di Ermippo
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
Costantino P. Kavafis nacque il 29 aprile 1863 ad Alessandria d'Egitto, nono ed ultimo figlio di Pietro e di Charìklia Fotiadi, ambedue discendenti da antichi casati di Costantinopoli. La presenza dei Kavafis nell'ambito della comunità greca della città, era attestata fin dagli inizi del XIX secolo. Pare, tuttavia, che la loro origine fosse asiatica, precisamente armeno-persiana, e che il cognome Kavafis fosse la forma grecizzata della parola turca kavaf, che significa 'ciabattino'. Questa notizia, apparentemente insipida, possiede invece un certo valore e si confà mirabilmente a uno dei tratti più caratteristici dell'opera artistica kavafiana, popolata da personaggi costituiti, per lo più, non da greci, bensì da asiatici ellenizzati i quali non solo sono orgogliosi di ciò, ma si vantano del sangue asiatico che scorre nelle loro vene, di essere ejn mevrei... ejn mevrei..., in parte..., in parte..., e di essere cittadini non della Grecia propriamente detta, ma dell'incomparabilmente più vasto mondo della diaspora ellenica. Tale disposizione spirituale è espressa assai bene in "Ritorno dalla Grecia", una lirica inedita del 1914, in cui è evidente che l'ellenismo al quale l'ignoto interlocutore e il silenzioso Ermippo sentono di far parte è situato in un meivzwn eJllhniko;" cw'ro", in una immensa Grecia dello spirito, che supera di gran lunga gli angusti confini della Grecia balcanica. ...
MAURO GIACHETTI critico letterario e saggista, è nato a Sesto Fiorentino. Ha studiato lingue orientali all'università di Venezia e storia bizantina all'università di Pisa dove ha insegnato lingua e letteratura neogreca. Collabora con varie case editrici, riviste letterarie e istituzioni culturali in Italia e all'estero.
MAURO GIACHETTI
Sonno sogno morte
Quaderni di Hellenismòs, € 4.90
La prima raccolta poetica di Tsiròpulos, jWdei'o gia; monacike;" fwne;" (Odeon per voci solitarie, 1962), è indubbiamente un'opera giovanile dalla quale emergono qua e là immagini di un mondo cicladico solo apparentemente semplice e incorruttibile.. Ma le case bianche, i marmi di antiche rovine, l'azzurro del cielo che pervadono queste liriche non devono indurci a credere che il poeta affrontasse la realtà in maniera ingenua:
Isola antica
uccelli
canneti acque verdi.
Marmi
pietrificato giardino
di bellezza.
Luce ed erotico silenzio.
Non rattristarti
in mezzo alle rovine.
Non sporgerti sui pozzi
udrai enigmatiche
voci.
Bevi un po' di luce
osserva i marmi
lo scultore Thanatos
sarà all'opera di notte.
Le tue carte sono sulla nave.
Infatti compaiono già distintamente alcune parole/concetti – quali acqua, marmo, pietra, pozzo, nave –, che permarranno costanti in una molteplicità di variazioni sul tema e che, con l'andar del tempo, assumeranno la configurazione di una sorta di sistema tsiropulosiano che si farà sempre più complesso a mano a mano che l'autore procederà verso la maturità. In questa lirica, inoltre, si intravede per la prima volta l'ombra di Thanatos, la Morte, che pervaderà tutta l'opera di Tsiropulos intrecciando stretti rapporti con Eros e Hypnos (il Sonno), dando luogo a un incessante oscillare tra sonno, sogno e realtà, tra Eros e Thanatos, tra il sogno della vita e il sogno della morte. ...
MAURO GIACHETTI critico letterario e saggista, è nato a Sesto Fiorentino. Ha studiato lingue orientali all'università di Venezia e storia bizantina all'università di Pisa dove ha insegnato lingua e letteratura neogreca. Collabora con varie case editrici, riviste letterarie e istituzioni culturali in Italia e all'estero.
QUADERNI DI HELLENISMÒS
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
ALÉXANDROS PAPADIAMANTIS
Sogno sull'onda, Intorno alla laguna
Amore sulla neve
ALÉXANDROS PAPADIAMANTIS
Spiagge del crepuscolo
PAVLOS NIRVANAS
Il passaggio del Dio, Sogno di vita,
Nella casa estranea, Primo amore
KOSTANTINOS CHATZÒPOULOS
Nell'oscurità, Il sogno di Clara
La torre di Aliveris, La sorella
KOSTAS KARYOTAKIS
Il teschio, L'ultima, Encomio del mare
Il giardino dell'ingratitudine